Il 21 marzo è uscito S I L E N T, il nuovo album di Angela Kinczly, che omaggia la poetessa Emily Dickinson trasformando in musica le sue poesie.

In occasione della Giornata Internazionale della Poesia (21 marzo) è uscito S I L E N T, il quinto disco di inediti di Angela Kinczly, un album interamente ispirato alle poesie di Emily Dickinson. Undici brani inediti che sfruttano le parole della celebre poetessa statunitense, trasformandole in musica. Ci siamo fatti raccontare da Angela l’intero progetto.

Ciao Angela, S I L E N T è un progetto delicatissimo e anche molto ambizioso. Mi racconti com’è nata la voglia di mettere in musica proprio le poesie di Emily Dickinson?
Stavo preparando un reading insieme a un attore, Aldo Parolini, proprio su Emily Dickinson, si sarebbe poi chiamato Ali di farfalla da una sua idea. Lui aveva selezionato alcune poesie in traduzione italiana che avrebbe inserito nello spettacolo. Mentre pensavo a quale musica sarebbe stata adatta ho deciso di scrivere qualcosa ad hoc partendo dalle poesie in lingua originale. Amo la lingua e letteratura anglo-americana e non potevo accontentarmi di leggere le poesie in traduzione. Non appena mi sono trovata in compagnia delle liriche originali sono rimasta istantaneamente ammaliata dalla musicalità dei versi, dalla scelta e dalla fluidità delle parole, semplici ma evocative. Così sono nate le prime canzoni, ancora non avevo idea che sarebbero state tali, era il mio modo di contribuire a quell’occasione con quello che so e amo fare. E sono nate praticamente nella loro forma attuale North America, Alone, Mystic Green, A Something in a Summer’s Day e altre che non fanno parte del disco. Da quel momento le ho inserite nelle scalette dei miei concerti, suonandole dal vivo più e più volte e una di queste, Mystic Green è diventata una traccia di un altro disco, La visita, tutta un’altra storia, che ho adattato in italiano partendo dall’idea della Dickinson ma parlando poi del mio verde mistico. Quell’incantesimo è rimasto sospeso per tanti anni, appeso a bigliettini, appunti tramandati da diario a diario, e si è poi scatenato in una afosa mattina di luglio della scorsa estate. Intanto le canzoni già scritte avevano superato la prova del tempo, le ho sempre cantate con trasporto senza mai stufarmi di esse. Ho preso a sfogliare un’edizione delle poesie della Dickinson, seduta nella mia sala da pranzo dove c’è un’ottima acustica (e la mattina non batte il sole!), e chitarra alla mano ho scritto di getto tutte le altre canzoni in poche ore. Ero quasi incredula, è stata un’esperienza di scrittura per me nuova, mi sentivo inarrestabilmente rapita!

A livello artistico, qual è stata per te la sfida più difficile? Cantare in versi o costruire un tappeto sonoro adeguato?
È successa una cosa per me piuttosto rara, non sentire la difficoltà, mi sono totalmente abbandonata a quello che arrivava. Ed ero anche certa che quelle parole, le melodie e la musica con esse, non avevano bisogno di altro per stare in piedi.

LEGGI ANCHE: Poesia e tecnologia, Google Assistant declama i versi di Guido Catalano

Come avete lavorato in studio di registrazione?
Abbiamo messo al centro di tutto la mia performance vocale e strumentale che non si sarebbe dovuta piegare a nessun’altra esigenza se non quella di servire le canzoni per come erano già e far vivere la componente emotiva che le aveva generate e che continua ad alimentarle. A guidare tutta la produzione è stata la ricerca del suono più puro, senza compromessi, senza rimaneggiamenti, senza artifici. La chitarra è stata ripresa con quattro o cinque microfoni (Stefano Castagna, il mio produttore, si diletta molto in questo genere di operazioni in studio!) così che in fase di missaggio abbiamo avuto a disposizione molte tracce della stessa fonte sonora, come molti punti di vista sullo stesso oggetto, che ricomposti hanno dato origine a timbri particolari, effetti veri e propri senza usare effetti. La voce è stata registrata in alcune tracce in diretta insieme alla chitarra, in altre canzoni separatamente ma sempre con un’emissione il più naturale possibile, senza forzature, cercando la pienezza e la morbidezza del timbro vocale in cui più mi identifico.

“Mi dimentico addirittura delle parole, restano i suoni, le articolazioni delle sillabe, i punti in cui la voce si adagia più bassa o più sottile e che si appigliano a emozioni profonde che alla fine sono io. Poi torno in me e ricordo che sono poesie scritte da una donna fuori dalla norma, vissuta più di centotrenta anni fa, oltreoceano rispetto a me, una donna silenziosamente sovversiva e tenace, profondamente spirituale, a tratti ingenua, sognatrice, e combattiva al tempo stesso”.

Angela Kinczly

Cosa rappresenta per te Emily Dickinson?
Talvolta mi sembra quasi di aver un po’ scavalcato la poetessa, perché mi accorgo che sento le parole alla base delle canzoni come del tutto mie, a dire il vero mi dimentico addirittura delle parole, restano i suoni, le articolazioni delle sillabe, i punti in cui la voce si adagia più bassa o più sottile e che si appigliano a emozioni profonde che alla fine sono io. Poi torno in me e ricordo che sono poesie scritte da una donna fuori dalla norma, vissuta più di centotrenta anni fa, oltreoceano rispetto a me, una donna silenziosamente sovversiva e tenace, profondamente spirituale, a tratti ingenua, sognatrice, e combattiva al tempo stesso. Una donna in carne e ossa, che ha rinunciato a vivere la sua fisicità per rifugiarsi nel mondo dell’invisibile e da qui comunicare attraverso piante, fiori, insetti e presenze con i suoi simili, come sospesa nel tempo e nello spazio, al punto da risultare attuale oggi stesso, così come ogni grande artista in grado di elevarsi sopra le coordinate del reale.

Come hai scelto le poesie da inserire nell’album e in base a quali requisiti?La verità è che le ho scelte a caso, espressione forse un po’ brutale per dire che sono tutte potenzialmente musicabili.

Tra tutti, come mai proprio Emily Dickinson?
Forse è stata una songwriter mancata d’altri tempi!

Poesia e musica è quindi un binomio possibile. Secondo te in che modo la musica può dare valore alle poesie di Emily e viceversa?
Mi sono domandata, non senza un certo timore reverenziale, cosa direbbe la Dickinson di quello che ho fatto con le sue liriche. La sua poesia fu comunque influenzata dalla metrica degli inni puritani, ha in sé un forte carattere cantabile e quindi agevola enormemente l’adattamento in canzone. Quanto al contrario, cosa aggiunge la musica alla sua poesia, credo che sostanzialmente permetta di veicolare il materiale letterario in maniera più efficace, soprattutto perché esalta la funzione emotiva del suono delle parole che restano agganciate alle melodie e toccano corde che il solo intelletto non raggiunge.

Quali tra questi brani è stato il più difficile per te? E quale il più semplice?
Per questo disco mi sono concessa il lusso di non avere pezzi che avverto come difficili, sarebbe stato del tutto incoerente con la motivazione originaria da cui sono scaturite le canzoni. Al tempo stesso, ogni canzone ha richiesto la sua speciale attenzione e cura, ma questo non ha molto a che fare con la difficoltà o facilità quanto piuttosto con una necessaria conseguenza dell’amore per ciò che si fa. A livello di produzione però ci sono stati un paio di brani che hanno richiesto più lavoro e sono quelli più “pop”, come A Something in a Summer’s Day e The Proudest Trees, ma credo che la cosa sia legata anche al fatto che questi sono due dei quattro brani in cui entrano basso e batteria e hanno quindi richiesto uno sforzo produttivo maggiore per arrivare a un risultato convincente, sempre però nella logica del togliere più che dell’aggiungere per mantenere al centro la canzone nella sua semplicità originaria.