Caparezza porta il suo ‘Exuvia Tour’ al Rock in Roma, rendendo finalmente viva e reale la selva in cui si è sentito imprigionato.

Exuvia – l’ultimo album di Caparezza – dopo lunghe attese arriva finalmente alla sua manifestazione live. E chi segue e conosce il mondo di Michele Salvemini, sa bene che il palco per l’artista è più di un semplice luogo espositivo dove la musica perde le sue regole. In piena controtendenza rispetto ai tempi, per Caparezza il tour è teatro, nell’accezione più originaria del termine. Un luogo in cui osservare la sublimazione dell’opera, che – nel caso del rapper (etichetta un po’ limitante, ma ci arriviamo dopo) – diventa un’azione escatologica, catartica. L’Exuvia Tour è dunque, proprio come ci aspettavamo, l’atto finale del progetto Exuvia. La sua rivelazione.

Indispensabile tanto quanto l’album del 2021 e ad esso profondamente legato. Non c’è l’uno senza l’altro. Non c’è limbo senza via d’uscita. Sul palco del Rock in Roma, Caparezza precisa sin da subito che Exuvia è un album a cui si sente intimamente legato. «Come tutti gli album difficili, per me è bellissimo» precisa l’artista, che – per dar vita alla rappresentazione di questo viaggio nei meandri della propria mente – si è affidato alla sua fidata squadra. Tra questi, spicca la maestria di Deni Bianco che – con i suoi mostri di cartapesta – riesce a rendere tangibili le paure e le gioie di Caparezza. La band è invece composta da Rino Corrieri (batteria), Giovanni Astorino (basso), Alfredo Ferrero (Chitarra), Gaetano Camporeale (tastiere) e Diego Perrone (voce).

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L’atto finale di Exuvia, però, prevede anche oggetti di scena, attori, costumi, rappresentazioni video realizzate ad hoc. Un’operazione su larga scala necessaria, perché entrare nella selva di Caparezza e carpirne le ombre è un processo totalizzante. In questo, l’artista ha dalla sua l’esperienza e una buona dose di indifferenza nei confronti delle banali aspettative. Ma ha anche un pubblico che lo ripaga di ogni singolo sforzo di non omologazione. I tour del rapper, anche per questo motivo, sono un unicum nel panorama italiano. Il pubblico è composto da persone che scelgono di abbracciare il messaggio di Caparezza, che ne comprendono i benefici e le sofferenze.

Sul palco, senza freni, Caparezza parla molto della società in continuo cambiamento. «La politica anche cambia, ma quella cambia sempre. – commenta – Sul palco mi sono trasformato in un uomo lumaca. Una sorta di metamorfosi kafkiana, anche se mi sono risparmiato lo scarafaggio. Mi sono sentito lento. Il mondo avanzava inesorabile e veloce, e io ero appesantito da questo guscio. Il peso dei miei pensieri, delle mie patologie, dell’età, del mio ruolo. Fino a quando non me lo sono scrollato di dosso e ho concepito Exuvia».

Exuvia è un rito di passaggio per Caparezza. Il cambiamento da esso provocato avviene in una selva – chiaramente immaginaria – che sul palco diventa reale tra draghi, immagini, danzatori e orpelli. Un’idea culturalmente storica, ed è lo stesso Caparezza a citare i suoi predecessori: da Dante a William Shakespeare, passando per Ciaikovskij e persino per Winnie The Pooh («Il più spietato»). E poi c’è spazio per la storia di Van Gogh (che anticipa Mica Van Gogh) o l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (che strategicamente introduce Vengo dalla Luna).

A condire un live di livello altissimo, ci sono però anche tanta ironia, amarezza e musica (suonata benissimo) e capace di arrivare nei meandri di ognuno di noi. In fondo, se è vero che ogni lettore altro non è che il lettore di se stesso (diceva Proust), Caparezza ha lo straordinario talento di parlare di sé dando voce a tanti di noi. Il suo live finisce dunque per essere un rito collettivo.

Nel parlare di contesti iper-comunicativi, Caparezza sul palco ha voluto differenziare l’atto di fede dall’atto di fiducia. La fede in se stessi – riassumo – non si fonda su un pensiero critico, al contrario della fiducia. I live di Michele Salvemini, in questo senso, sono ricchi di persone senza fede ma colmi di fiducia. Senza un’idea, però, di dove e come distribuirla. Caparezza, mi auguro, ci concederà il vezzo di riporre un po’ di questa fiducia in lui. O quantomeno nella sua capacità di farci sentire un po’ meno soli nella selva da lui descritta. Ognuno in fondo ha una foresta da cui uscire, di cui liberarsi. E, con Caparezza sul palco, è una selva popolata e ricca. Per una sera, un po’ meno oscura.