Da anni, a novembre, i siti di e-commerce e le vetrine dei negozi si sincronizzano sullo stesso codice visivo: sfondo nero, scritte bianche o gialle, promesse di sconti imperdibili. Il Black Friday è diventato un marchio globale, dalla grande distribuzione alle piccole realtà online, e il nero ne è il segno più riconoscibile. Ma questa scelta non nasce da un’intuizione grafica recente: ha radici storiche precise e un’evoluzione che parte ben lontano dallo shopping.
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Oggi il Black Friday indica il venerdì successivo al Giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti, il quarto giovedì di novembre. Dal 1952, quella data è considerata l’inizio della stagione delle compere natalizie, e negli anni è diventata il giorno di shopping più intenso dell’anno. Nei centri commerciali americani si registrano folle in coda all’alba, aperture anticipate, offerte lampo. Nel tempo, il modello si è allargato a Canada, Europa, America Latina, Medio Oriente, Australia, Nuova Zelanda. In Svizzera, per esempio, i primi negozi online iniziarono a sperimentare promozioni legate al Black Friday dal 2007. Nel 2015, invece, una grande catena come Manor registrò in quel giorno un fatturato triplo rispetto a un venerdì normale.
Ma la storia del nome comincia molto prima e racconta un’altra America.
La storia del Black Friday: crisi, traffico e conti che cambiano colore
Per secoli, in ambito economico e finanziario, l’aggettivo nero è stato associato a giornate di crisi: crolli in borsa, panico sui mercati, perdite improvvise. Uno dei primi venerdì neri entrati nella memoria collettiva è quello del 1869, quando il tentativo di alcuni finanzieri di controllare il mercato dell’oro negli Stati Uniti si concluse con un crollo dei prezzi e gravi ripercussioni sull’economia. In quel caso il nero descriveva esattamente l’umore dei mercati.
Bisogna aspettare il secondo dopoguerra perché il termine Black Friday inizi ad affacciarsi nella vita quotidiana dei consumatori. Nel 1951 e nel 1952 una rivista specializzata, Factory Management and Maintenance, usò l’espressione per riferirsi a un fenomeno molto concreto: il picco di assenze sul lavoro il giorno dopo il Ringraziamento, quando molti dipendenti si davano malati per trasformare il week-end in una mini-vacanza di quattro giorni. Quella definizione, però, non attecchì fuori dalle pagine della rivista.
Il traffico di Philadelphia
Quasi in contemporanea, a Philadelphia, la polizia e la stampa locale iniziarono a usare Black Friday e Black Saturday per descrivere il traffico congestionato, gli ingorghi e le strade intasate in occasione dell’inizio della stagione degli acquisti natalizi. Il nero, questa volta, indicava la fatica di gestire folle e automobili, il caos nei negozi, la città bloccata. Nel 1961 si provò persino a ripulire l’immagine di quei due giorni malvisti. Un consulente di comunicazione propose di ribattezzarli Big Friday e Big Saturday, ma il pubblico continuò a usare la versione originaria.
Dagli anni Settanta il termine iniziò a uscire dai confini di Philadelphia. Nel 1975 il New York Times parlò del Black Friday come del giorno di shopping e di traffico più intenso dell’anno in città. Nel 1985, però, alcuni quotidiani riportarono che molti commercianti di altre aree degli Stati Uniti non conoscevano la definizione. La vera svolta avvenne all’inizio degli anni Ottanta, quando cambiarono sia la percezione del Black Friday sia il modo di spiegarlo al grande pubblico.
Black Friday: la versione ufficiale
Nel 1981 il Philadelphia Inquirer registrò per la prima volta una nuova interpretazione, destinata a diventare quella ufficiale: gli esercenti trascorrono gran parte dell’anno con i conti in rosso, cioè in perdita, e grazie alle vendite del periodo natalizio tornano in nero, cioè in attivo. Nei registri contabili compilati a penna, infatti, le perdite venivano segnate con inchiostro rosso e i profitti con inchiostro nero. Il Black Friday diventa così il giorno simbolico in cui i numeri cambiano colore e l’anno inizia davvero a generare utili.
È in quel momento che il nero smette di essere solo il colore delle crisi o del traffico urbano e diventa il colore dei bilanci positivi, dell’andare bene dal punto di vista commerciale. Il terreno è pronto perché quel colore, già presente nel nome, si trasformi in un vero codice di marketing.
Quando il nero entra in scena: dal significato contabile alla scelta grafica
Il passaggio dal racconto economico alla grafica pubblicitaria è quasi naturale. Una volta consolidata l’idea che il Black Friday sia il giorno in cui i conti dei negozi passano idealmente dal rosso al nero, il colore smette di essere un semplice dettaglio linguistico e diventa un elemento spendibile anche a livello visivo.
Il nero ha, in questo contesto, almeno tre vantaggi concreti. Innanzitutto è già inscritto nel nome della ricorrenza: usarlo in modo massiccio su banner, vetrine, newsletter e homepage significa rendere immediatamente riconoscibile l’occasione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. In secondo luogo, dal punto di vista grafico, uno sfondo scuro con scritte chiare offre un contrasto netto e funziona bene nei formati digitali: è leggibile, si distingue nello scroll infinito delle pagine web, si presta ad accogliere loghi e immagini di prodotto senza entrare in conflitto con i colori dei brand. Infine, il nero porta con sé, nel linguaggio quotidiano, un’aura di serietà e ufficialità che si traduce in messaggi percepiti come importanti, straordinari, da cogliere al volo.
Non c’è un’estetica artistica elaborata dietro questa scelta, ma una somma di fattori. Un nome già codificato, una storia di contabilità che valorizza il passaggio al nero come simbolo di buona salute economica, esigenze di leggibilità e di standardizzazione. Non a caso, quando il modello esce dagli USA, il colore continua a essere il cuore dell’operazione, ma con declinazioni locali. In Egitto e in Libia, per esempio, si parla di White Friday, mentre nei Paesi del Golfo alcune piattaforme hanno preferito ribattezzarlo Yellow Friday. Il principio è lo stesso: associare un colore forte a una giornata di sconti, rendendo immediatamente identificabile il messaggio.
Il nero come codice globale: un’estetica nata dai numeri
Dall’inizio degli anni Duemila, con l’espansione dell’e-commerce, il Black Friday si è trasformato sempre più in un fenomeno globale. I retailer statunitensi esportano campagne e logiche di sconto, i concorrenti locali le replicano per non perdere terreno, gli utenti imparano che – in quel periodo – vale la pena aspettare prima di acquistare. Nel frattempo, la giornata di venerdì si dilata: nascono il Cyber Monday, le Cyber Week, le settimane del Black Friday, le offerte anticipate di inizio novembre. In Svizzera, per esempio, nel 2024 gli esperti hanno stimato un fatturato di 470 milioni di franchi legato solo alle promozioni del Black Friday, con circa 120 milioni provenienti dagli acquisti online.
In questo contesto il nero diventa un linguaggio condiviso. Senza bisogno di slogan complessi, basta uno sfondo scuro e una percentuale ben visibile per evocare tutta la catena di significati costruita in più di mezzo secolo: il collegamento al weekend del Ringraziamento, l’inizio dello shopping natalizio, la promessa di conti in attivo, l’idea di un’occasione limitata nel tempo. È la sintesi visiva di una storia che parte dai mercati dell’oro dell’Ottocento, passa per il traffico di Philadelphia negli anni Sessanta, approda ai registri contabili degli anni Ottanta e arriva fino alle homepage dei grandi marketplace internazionali.
Alla domanda perché il Black Friday usa sempre il nero? si può dunque rispondere senza mitologie: perché quel colore è scritto nel suo nome, perché la contabilità lo ha trasformato in un simbolo di prosperità, perché il marketing lo ha adottato come segnale immediato di offerte e perché, nel tempo, consumatori in tutto il mondo hanno imparato a riconoscerlo come il codice visivo di un rito collettivo dello shopping.
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