‘G’ è il nuovo album di Giorgia che torna con un progetto a fuoco in cui i sentimenti prendono forma come luccichii ostinati anche in tempi bui.

Il biglietto da visita che anticipa visivamente ‘G’, il nuovo album di Giorgia in uscita il 7 novembre, è già un piccolo manifesto di poetica. Rigorosamente in bianco e nero, l’immagine di copertina si concede al massimo le sfumature del grigio e un bagliore lunare che trova nei testi totale coerenza. Perché quel brillare al buio, illuminata dalla luce perlescente della luna nel corso della notte fa parte, infatti, delle atmosfere ricorrenti nelle nuove tracce. E nei testi questi termini sono proprio quelli che si rincorrono maggiormente a formulare una continuità emotiva e sentimentale.

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La copertina, dicevamo. Elegantissima e spoglia, a colpire è il contrasto tra luce e ombra che scolpisce la figura dell’artista ritratta di spalle. Niente orpelli, nessun colore a distrarre: solo un abito luccicante, quasi una costellazione addosso, che vibra come un bagliore inatteso nel buio. Un dettaglio non casuale che racconta la volontà testarda di brillare anche se tutto intorno si spegne.

Questa dialettica tra luce e ombra è evidente anche nel recente videoclip di Golpe, uno dei brani cardine del progetto, girato nella Chiesa Madre dei Santi Pietro e Paolo a Galatina. Tra le navate risuona, dunque, un pezzo che parla di scosse interiori, di frane emotive, di tutto ciò che arriva improvviso e rimette in discussione. La fotografia del video – anch’essa a tratti plumbea, tagliata da fasci di luce che piovono dall’alto – rimanda alle atmosfere dell’album: un buio che non schiaccia, ma apre.

Giorgia cover G
Giorgia cover G

G si insinua lì, in quello spazio fragile che sono i movimenti dell’anima e che sembra scritto in chiaroscuro senza alcuna cupezza ma, al contrario, aggrappato a ciò che illumina. In più testi, del resto, affiorano immagini lunari, confidenze sussurrate nel buio e confessioni sotto le stelle. Nel segno di sentimenti nei quali non è difficile ritrovarsi e su note che riportano Giorgia “in carreggiata”.

La genesi del progetto

È lei stessa a raccontare la genesi del progetto. «Questo disco nasce con l’intento di “rimetterti nella musica”, anche se non ero convinta di riuscire davvero a mettere insieme un disco. Non ero lucida su cosa cantare e avevo bisogno di una guida. Siamo partiti con Slait, poi è arrivata Marcella Montella: è lei che ha cominciato a mandarmi il grosso del materiale da ascoltare e da provinare. Abbiamo provinato tante canzoni. La cosa che mi stupiva era ricevere pezzi da autori – alcuni più conosciuti, altri assolutamente no – tutti molto giovani. Ma con una consapevolezza che io ho impiegato quarant’anni, o anche di più, a far mia. Soprattutto sulle relazioni, sull’evoluzione del sentimento, sulla gestione dell’emozione».

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«Ci sono pezzi, come Paradossale, che sembrano scritti da qualcuno che ha vissuto tantissime relazioni e ha imparato tanto – prosegue Giorgia –. E invece anche lì parliamo di giovanissimi. Mi ha fatto riflettere su questa centratura che vedo nei ragazzi oggi. Vivono meno tempo, ma hanno vissuti più densi, soprattutto dal punto di vista emotivo. È quasi come se arrivassero già con la disillusione, la delusione… e come se avessero già imparato a superarla. Penso, per esempio, a L’unica che Alessandro La Cava ha scritto per la sua ex. In realtà è lei che parla, non lui. Non so se lo potevo dire… ormai l’ho detto (sorride). Mi ha colpito molto: un uomo che si mette nei panni della donna e racconta».

«E  mi è piaciuto prendere parole che potevano essere mie, come in Carrillon dove alcune frasi sembrano scritte da me. Io sono intervenuta pochissimo, in realtà. Alla fine è stato il mio istinto a rimettermi in piedi. Mi sono un po’ ricucita i vestiti addosso. È stato un percorso diverso dal solito: ormai facevo i dischi chiusa nella mia stanzetta».

«Mi è stato consigliato di uscirne… e l’ho fatto. Mi sono rimessa a cantare con un’altra persona dall’altra parte del vetro che mi diceva: “Questo l’hai fatto male, rifallo”. Ho dovuto lavorare sulla vocalità. Sono stata in studio con gli autori: abbiamo fatto sessioni su Golpe, lavorato insieme. È stato tornare nella musica nel vero senso della parola, con uno scambio che avevo iniziato non a temere, ma da cui mi ritraevo. Pensavo che da sola potessi fare meglio. Invece questo disco mi ha dimostrato che avevo bisogno esattamente del contrario».

Sentimenti e umanità

Oggi che guardarsi attorno rivela tante, troppe, brutture come si conservano umanità ed empatia? «Ho attraversato diverse fasi – dice Giorgia –. C’è stato il momento in cui, come canta Mengoni, “credo negli esseri umani”. Oggi, con qualche anno in più, quella fiducia a volte vacilla. Però cerco sempre di mantenere uno sguardo rivolto verso l’alto: penso davvero che esista una via della trasformazione».

«Credo che nascere e morire uguali non abbia alcun senso. La vita è un viaggio di trasformazione, e in qualche modo abbiamo il dovere di compierla, questa trasformazione. La vita ti dà le occasioni: se le prendi è un bene, se non le prendi te le ripropone – forse in forme un po’ più difficili. Avere dei figli, poi, ti porta ancora di più a cercare il buono, perché senti la responsabilità di trasmettere qualcosa di positivo».

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«Con mio figlio – prosegue – parlo molto di ciò che sente e di ciò che viviamo. Ha quindici anni, quindi è grande, e mi fa piacere vedere che a scuola si parla di ciò che accade nel mondo. Gli vengono dati strumenti per percepire e elaborare una sua idea. Con lui cerco sempre un confronto: mi interessa capire come vede le cose lui. Io provo a dargli strumenti di positività, di speranza, anche se a volte è davvero complicato».

Allargando lo sguardo, poi, l’artista riflette: «Ogni tanto, ad esempio, quando devo fare un post per parlare del disco, dentro di me penso: “Sì, stiamo parlando di canzoni… ma nel frattempo succedono cose allucinanti”. E mi chiedo quanto peso possa avere un post su un disco. Eppure credo che la musica sia una delle poche cose capaci di toccare corde dell’anima che normalmente non sfioriamo mai. Perché non pensiamo mai all’anima: pensiamo alla materia. Siamo immersi in una vita tutta pratica, utile, immediata, che ci offusca completamente. Però dovremmo davvero chiederci che cosa ci portiamo via da tutto questo».

Immagini da Ufficio Stampa

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