Dalla nascita della casa editrice nel 2006 al premio Yellow Kid 2025 per ‘The Horizon’, Giovanni Ferrario e Rosanna Brusco raccontano visione, manhwa e futuro del fumetto.

Nel 2006 – in tempi assolutamente non sospetti – Giovanni Ferrario e Rosanna Brusco diedero vita al mondo di ReNoir Comics con un obiettivo: raccontare storie che emozionano, che fanno viaggiare, che aprono mondi nuovi. Oggi – a distanza di 20 anni da quell’incipit – ReNoir Comics vanta più di 300 titoli e il premio Yellow Kid 2025 come fumetto dell’anno (andato al sud coreano The Horizon). Una lunga strada che ha premiato proprio le intuizioni di Ferrario e Brusco, oltre all’approccio fortemente artigianale anche nella cura delle opere che vendono.

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Sotto ReNoir è infatti nata l’etichetta Gaijin dedicata al global manga, ovvero ai manga realizzati da autori non giapponesi: oltre agli euromanga, questa collana (a cui appartiene proprio The Horizon) in particolare ha puntato moltissimo sui manhwa, fumetti coreani spesso pubblicati prima online su piattaforme dedicate, e poi raccolti in libri.

C’è poi Nona Arte, l’etichetta editoriale specializzata in fumetto classico italiano e internazionale che ha portato in Italia i grandi classici del fumetto francobelga. È tornata a far parte del catalogo ReNoir nel 2025, dopo una lunga collaborazione durata dal 2012 al 2017. Insomma, Giovanni Ferrario e Rosanna Brusco hanno una visione chiara sul fumetto e sul suo impatto culturale nel mondo, ma ne abbiamo parlato direttamente con loro (di questo e molto altro).

La nascita di ReNoir Comics: una visione controcorrente

Iniziamo dal principio e dalla genesi di ReNoir Comics. Nel 2006, cosa vi ha spinto a dar vita a questa realtà?
Giovanni: «Mi sono laureato in Economia e Commercio, in Marketing, e ho fatto proprio una tesi sul mercato del fumetto. Ero già appassionato all’epoca e ho portato un po’ anche nei miei studi questa passione. Finita l’università, conoscendo un po’ la gente dell’ambiente, ho iniziato a lavorare per una casa editrice di Roma. Dirigevo una rivista di fumetti per bambini, cattolica, abbastanza di nicchia. Mi ha permesso di conoscere meglio i personaggi protagonisti del mondo del fumetto e di decidere nel 2006 di iniziare questa avventura con ReNoir».

Cosa esattamente vi ha spinto ad iniziare?
G.: «A nostro parere, nel mondo del fumetto, mancava qualcuno che proponesse opere in grado di lasciare qualcosa in più: un messaggio, un sentimento, oltre il divertimento. Avventura sì, ma anche una sensazione che resti dopo la lettura».

Gaijin e i manhwa: perché puntare sul fumetto coreano

La collana Gajin invece come nasce?
G.: «Dopo quasi vent’anni e con praticamente cinquecento volumi pubblicati, durante il Covid ci siamo appassionati ai k-drama, perché non sapevamo cosa fare. Abbiamo subito notato che queste serie tv proponevano un modo diverso di raccontare le cose, lasciando qualcosa in più rispetto ai soliti show americani, francesi o italiani. Hanno qualcosa di diverso che si è perso un po’. Poi quando abbiamo scoperto che molte di queste serie derivano dai fumetti del web, abbiamo detto: Caspita, ma allora ci sono dei fumetti che possono raccontare queste storie!. Fumetti che, però, non ci sono assolutamente da noi». 

C’è stato il boom dei manga, però…
G.: «I manga spopolano anche adesso, sebbene il mercato sia leggermente in flessione. Sono i fumetti che vendono di più, ma anche le storie dei manga non hanno questi risvolti che ti lasciano qualcosa di diverso. Abbiamo cominciato a studiare il mercato coreano di Webtoon e abbiamo capito che poteva essere un’opportunità per raccontare qualcosa di diverso nel mondo del fumetto e portarlo in Italia». 

The Horizon e il premio storico Yellow Kid 2025

Quanto ci è voluto, partendo da questi presupposti, per lanciare Gaijin?
G.: «Due anni direi. Ora abbiamo già 15 titoli in catalogo, siamo la casa editrice che propone più manhwa in Italia al momento e cerchiamo di mantenere questo livello di leadership. Abbiamo vinto a Lucca e quindi siamo contenti. Diciamo che siamo riusciti a intercettare la k-wave nel mondo del fumetto un attimo prima che partisse. Penso a KPop Demon Hunters, che è il prodotto più visto in assoluto nella storia di Netflix e la cui colonna sonora ha collezionato premi e primi posti in classifica. Indubbiamente l’ondata coreana esiste. I nostri competitor pubblicano fumetti coreani in Italia, ma ne esce uno ogni tanto mischiato agli altri manga. Il lettore non si accorge neanche di avere tra le mani un fumetto coreano se non va ad approfondire».

Alcuni hanno avuto successo però. Come Solo Leveling
G.: «È forse il manhwa che ha avuto più successo. Le altre case editrici hanno cercato di pubblicare i fumetti coreani tralasciando però secondo me l’aspetto più bello, che è la produzione. Ogni anno escono migliaia di titoli, continuamente, ogni giorno. Per me, il cuore dei manhwa è il loro affrontare anche le cose quotidiane: alla fine l’avventura più bella è la vita dell’uomo. In questi fumetti, i protagonisti affrontano difficoltà comuni».

Perché i manhwa parlano al cuore dei lettori

Rosanna, sei d’accordo?
Rosanna: «Io ho studiato comunicazione e sono convinta che ogni forma d’arte ti debba dare la possibilità di vivere un’esperienza illuminante, altrimenti ha fallito. Quando finisci di leggere una storia, non puoi essere uguale a quando l’hai iniziata, ma ne devi uscire arricchito in qualche modo. Da quello che ha vissuto il personaggio, dalla funzione della storia, dall’empatia: i fumetti coreani questo riescono a farlo benissimo. Propongono alla fine anche slice of life molto semplici, ma che hanno il coraggio di parlare del cuore dell’esistenza dell’uomo».

Fatemi qualche esempio.
R.: «A me ha colpito a Lucca il panel di Na Yoonhee, una nostra disegnatrice bravissima, autrice di Whale Star e di A Hearthfelt Andante. Insieme a lei c’era lo sceneggiatore Kwang Jin, molto famoso in Corea. Lui, tra l’altro, firma anche un altro nostro bellissimo fumetto, The Great, molto profondo. Gli è stata fatta una domanda sulla k-wave: ma cos’ha la Corea da dare all’Italia? Cosa stanno cercando gli italiani? E lui ha risposto che c’è un detto in Corea: tutto ciò che è puramente coreano, è universale. Perché la Corea ha trattenuto, ha custodito una tradizione fatta dei valori fondamentali della vita di ogni uomo». 

La k-wave e il fumetto: intercettare un cambiamento culturale

Come riassumereste dunque l’influenza coreana nel mondo?
R.: «Direi che la Corea del Sud punta su valori come la famiglia, l’amicizia, l’importanza, l’amore ma vissuto nel modo più onesto. Il sacrificio, l’impegno per l’altro, la donazione. Alla fine è quello che avevamo visto noi nei manhwa. E infatti anche nelle storie di Kwang Jin c’è questa profondità. Gli autori coreani stanno riportando un po’ agli europei tutti quei valori che la modernità e i trend occidentali ci stanno invece portando a calpestare. È per questo che sta crescendo questa sete. È vero che la k-wave è beauty e molto altro, però secondo noi al cuore di questo amore che sta nascendo per la Corea, soprattutto nei giovani, c’è questo ritrovarsi. E anche il ritrovare i valori che stiamo smarrendo». 

Lo avete detto stesso voi: in Corea del Sud ogni giorno escono centinaia di fumetti. In base a cosa scegliete quali pubblicare in Italia, sia per la storia che per i disegni?
R.: «Sicuramente Giovanni è molto selettivo, sia sulla costruzione dei personaggi che sulla qualità dei disegni. Alla fine, se uno di questi elementi non lo soddisfa, il fumetto non esce. A volte è temerario se ritiene che ci sia un disegno un po’ pionieristico. Ad esempio, se il disegnatore dimostra di saper usare tutti gli strumenti, dal colore alle forme, allora lo pubblica. Anche se gli altri collaboratori dello staff dicono di fare attenzione perché non è il nostro target. Però ecco, gli elementi su cui si basa sono la storia e la costruzione dei personaggi. Se il personaggio non è costruito bene, il lettore non riesce a entrare nella storia a dispetto del disegno». 

Avete detto poi che è molto importante il senso di avventura.
G.: «Sì, ma non deve essere avventura fine a se stessa e solo per intrattenimento. È ovvio che se c’è un disegno fantastico o un disegnatore straordinario, lo valuto. Però direi che non è il primo criterio con cui valuto un’opera».

Manga, mercato italiano e crisi delle edicole

Dal 2006 a oggi, il mondo del fumetto è cambiato tantissimo. Ve lo aspettavate e, secondo voi, da cosa dipende questo boom?
G.: «È difficile da dire perché è un mercato molto particolare, soprattutto quello italiano. Ci sono fenomeni come Zerocalcare o Pera Toons, che sono i titoli che vendono di più e che vengono letti anche dai non lettori di fumetti. E poi direi che c’è stato sicuramente il traino del manga: ha trascinato tutto il mercato, anche perché sono volumetti corposi di basso prezzo. Anche i giovani, con 5 euro, possono comprarsi un volume e avere un’avventura in mano. Adesso sinceramente il mercato è un po’ in crisi, le edicole purtroppo stanno chiudendo e, secondo me, nel giro di qualche anno saranno tutti costretti a reinventarsi. Editori come Sergio Bonelli o altri che distribuiscono in edicola stanno cercando di trovare nuovi canali e nuovi sistemi per vendere i loro fumetti. 

manhwa Natale

Lo abbiamo visto anche all’ultima edizione di Lucca Comics: malgrado noi abbiamo avuto un exploit, abbiamo fatto più del 30% rispetto all’anno scorso, parlando con gli altri editori ci siamo resi conto che non è stato così per tutti gli altri. A noi ha aiutato la linea di fumetti coreani, ma spiegare in che modo ci ha aiutato è difficile. Se conoscessimo perfettamente il mercato e come si muove, sapremmo già dove investire. Abbiamo trovato questa via che secondo noi ci sta dando una buona risposta, perché effettivamente era quello che mancava al mercato. C’era un buco: tanto manga, tanta avventura, era tutto troppo». 

Il fumetto come arte e responsabilità culturale

Cosa fa effettivamente la differenza secondo voi, per il lettore, oggi?
R.: «Purtroppo è triste, ma è vero che al boom del fumetto, soprattutto per i più giovani, non corrispondono sempre storie indimenticabili. A volte c’è anche un intrattenimento poco sano, soprattutto per i più piccoli. Abbiamo recentemente ascoltato una conferenza in cui si parlava della crescita dell’utilizzo del digitale per cercare cose che in realtà non sono costruttive. Non aiutano e, al contrario, alcune volte diventano dipendenze.

Il nostro esserci nel mondo del fumetto deriva dalla volontà di riportare all’attenzione del pubblico il fatto che il fumetto sia veramente un’arte. Non è uno strumento inferiore come viene considerato da moltissimi nel campo dell’editoria. Se vedi cosa riesce a fare un disegnatore, comprendi subito che ci vuole un talento incredibile per realizzare moltissimi fumetti che noi pubblichiamo. A me piace pensare che il nostro sforzo sia anche quello di far vedere che il mondo in cui lavoriamo è un’arte alla pari delle altre e che ha una forza comunicativa che va sfruttata per passare messaggi veri, buoni e giusti. Questa finalità si stava un po’ perdendo».

Dal manga al global manga: le collane di ReNoir Comics

Parliamo anche delle altre collane che avete oltre a Gaijin, a questo proposito.
R.: «Sì, noi abbiamo affrontato l’avventura in tutte le sue varianti, dal western alla fantascienza, fino al thriller poliziesco e alle storie d’amore. Quindi abbiamo diverse collane. Quelle più degne di nota secondo me sono le biografie a fumetti. Anche perché abbiamo visto che alla fine l’avventura più bella è la vita. E la vita di alcuni personaggi è un’avventura fantastica. Abbiamo in catalogo le vite di Giorgio Perlasca, di Borsellino, di Ambrosoli. C’è una biografia molto bella di Stanlio e Ollio perché affronta non tanto le vite dei due, ma il loro rapporto fuori e dentro la scena. Poi c’è Michelangelo e il suo conflitto mentre dipingeva la Cappella Sistina.

Jimmy, illustratrice sud coreana

Un altro fiore all’occhiello è il Don Camillo a fumetti che pubblichiamo ormai da 15 anni: è l’unica serie italiana a fumetti periodica che va in libreria. Da anni collaboriamo anche con gli eredi di Guareschi ed è una cosa fantastica. Alberto Guareschi legge tutte le sceneggiature, controlla i disegni e poi ci manda i feedback. Se, ad esempio, il disegnatore di una scena al ristorante mette una bottiglia sul tavolo Guareschi ci risponde: ma non c’era la bottiglia, c’erano i fiaschetti. E ci manda dieci foto di fiaschetti dell’epoca. È bello lavorare a questo progetto perché ci arricchisce e ci fa capire com’era l’Italia di quei tempi. Molte cose non le sapevo neanche io e anche i disegnatori si appassionano a disegnare Don Camillo: rimangono fedeli pur lavorando per altre case editrici».

Fumetti muti, horror e sperimentazione

C’è tanto altro…
R.: «Sì, c’è la collana horror, la collana dedicata ai robot…».
G.: «Abbiamo i fumetti muti, senza testo. C’è Gregory Panaccione, un autore francese che vive a Milano, specializzato in fumetti muti, anche se ne ha fatti altri parlati. Sono molto belli, molto profondi e poetici anche nel tratto. Poi abbiamo i classici a fumetti, da Jules Verne a Jane Austen. Abbiamo pubblicato la prima edizione a fumetti di Via col vento, escludendo quella di Paperino che però era una parodia. Abbiamo Emma, Orgoglio e Pregiudizio e usciamo l’anno prossimo con Ragione e Sentimento. Variamo un po’». 

Non mancano spunti. Una storia che vi ha colpito particolarmente?
G.: «La storia vera di Shackleton, un escursionista che al Polo Sud era rimasto incagliato nei ghiacci. Ha lasciato lì tutto l’equipaggio e, con una scialuppa e pochi uomini, ha cercato di ritornare sulla terraferma. Alla fine, dopo varie peripezie, è riuscito a tornare e a salvare tutti. Nessuno muore in questa avventura: è una storia vera bellissima».

Il rapporto con gli autori come identità editoriale

Cosa, secondo voi, al netto di tutto ciò che ci stiamo dicendo vi distingue dagli altri editori?
R.: «Per noi è fondamentale anche la costruzione del rapporto con gli autori. Ad esempio, c’è questo giovane autore francese, Sylvain Repos, che abbiamo fatto amare in Italia. Tant’è che la sua casa editrice francese è venuta a chiederci cosa abbiamo fatto per fargli fare questo boom. Neanche in Francia è così conosciuto e amato come dal pubblico italiano. In Italia è stra-seguito e, ogni volta che è in fiera, si creano delle code infinite. Noi semplicemente creiamo una relazione con i nostri artisti che va al di là del rapporto di lavoro. Anche loro, ovviamente, cercano sempre di offrirci il meglio. Si crea un’amicizia che è l’identità della nostra casa editrice, lo stare insieme. Non riguarda tanto la produzione, ma l’ambiente in cui poi il lavoro viene fatto. Ed è importante». 

Anche a dispetto del mercato…
G.: «Magari vendiamo meno, ma a noi interessa più la cura di quello che facciamo. La fatica viene apprezzata e viene valorizzata il più possibile». 

Perché The Horizon rappresenta l’anima di ReNoir

Però con The Horizon avete vinto un premio. Una fatica ripagata: ve lo aspettavate?
G.: «Sinceramente no. Anche perché, nell’ambiente del fumetto, non eravamo mai stati molto calcolati. In passato abbiamo vinto un paio di premi, sempre a Lucca, ma non così importanti. The Horizon è un’opera molto profonda, lo abbiamo proposto pensando che non venisse capito. E invece abbiamo sottovalutato la giuria. Tra l’altro a me non piace parlare in pubblico. Quando ci hanno detto che eravamo in selezione, ci hanno chiesto chi sarebbe salito sul palco in caso di vincita per ritirare il premio. Ho detto Vado io, tanto non vinciamo. E invece sono dovuto salire sul palco ed è stato abbastanza imbarazzante».

Però qualcosa di The Horizon vi aveva colpito.
G.: «La scelta è stata particolare. Quando ho letto il primo volume, ho pensato che fosse bello, ma anche molto forte in certi passaggi che sono un po’ borderline rispetto al nostro catalogo». 
R.: «I nostri ragazzi allo stand lo vendono sempre così: Sei pronto? Perché il primo volume è trauma, poi traumone e traumissimo».

Cosa vi ha convinto alla fine a pubblicarlo?
G.: «A un certo punto ho detto a mio figlio di 19 anni, appassionato di queste cose, che non sapevo se pubblicarlo perché era molto forte. Gli ho chiesto di leggerlo e, quando lo ha finito, mi ha detto che dovevamo assolutamente farlo uscire perché era bellissimo. The Horizon è esattamente ciò che vogliamo fare: anche se alcuni passaggi sono veramente duri, alla fine ti lascia una speranza, la voglia di combattere, i giusti sentimenti». 
R.: «E poi la scelta dell’utilizzo degli strumenti del disegno lascia senza parole. Già l’anno scorso, quando è uscito il primo volume, avevamo deciso di fare lo stand a Lucca e il frontale era proprio di The Horizon con la domanda Dove stiamo andando?. Si presta tantissimo alla riflessione, a scavare dentro».

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