«Se vi sentirete a disagio, è giusto»: così Traci A. Curry, regista del documentario ‘Uragano Katrina’, ci introduce al suo lavoro tra ingiustizia ambientale e mancanza di umanità.

20 anni dopo i danni provocati dall’uragano Katrina su New Orleans, National Geographic ci regala il documentario Uragano Katrina: corsa contro il tempo, dal 28 luglio su Disney+. Diretto da Traci A. Curry (già candidata all’Oscar per Attica), Uragano Katrina si divide in cinque episodi che – più che narrare la potenza e l’imprevedibilità della natura – raccontano vividamente una tragedia umana, causata non tanto da piogge e alluvioni quanto da malsani equilibri sociali. Nel raccontare l’uragano, la Curry dipana in realtà la cattiveria e la fallacia degli uomini. Ed è questa la vera forza del documentario, spesso assai difficile da digerire nella sua schiettezza.

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«Come puoi immaginare – ci dice subito la regista – c’erano centinaia, forse migliaia di ore di filmati. Da una parte materiale d’archivio raccolto da alcune delle persone che erano lì, dall’altra i filmati dei media. E puoi intuire quanto fosse difficile trovare quel materiale girato dai civili, perché la maggior parte delle persone, in quei momenti, stava solo cercando di sopravvivere, non certo di registrare».

«Il nostro team – continua – è stato davvero meticoloso nel visionare, ordinare, organizzare e dare una priorità a tutto quel materiale. Ma una delle cose che ci ha davvero aiutato a restringere il campo è stata capire quale storia volevamo raccontare. E soprattutto chi avrebbe raccontato quella storia. In molti casi abbiamo scelto i filmati per far sì che le storie risultassero esperienze profondamente individuali, ma anche che ciascuna persona potesse parlare, idealmente, per centinaia di altre che hanno vissuto qualcosa di simile».

Uragano Katrina: lo storytelling del documentario di Traci A. Curry

Tra gli intervistati spiccano, ad esempio, Shelton Alexander, Lucrece Phillips, Lynette Boutte: poeti, attivisti, detentori della cultura di New Orleans che – tuttora – si battono per restituire dignità alla città e ai suoi abitanti. Ciò che è accaduto – soprattutto dopo Katrina – è, di fatto, uno specchio del mondo in cui viviamo e delle sue peggiori derive.

«Per quanto riguarda la scelta delle persone da intervistare – dice Traci – sono stata molto ispirata da un viaggio che ho fatto a New Orleans, casualmente, prima di iniziare questo progetto. Ero all’Essence Festival l’estate scorsa, per un evento che non c’entrava nulla, ma sapevo già che avrei lavorato a questo documentario. Così ho cominciato a parlare con le persone del posto, dicendo loro che avevo l’opportunità di raccontare la storia di Katrina a vent’anni di distanza, e chiedevo: Cosa pensate che la gente debba sapere? Cosa non è stato ancora capito? Cosa c’è di nuovo nel modo in cui oggi possiamo guardare a quel momento?».

C’è un prima Katrina e un dopo Katrina

«Quello che ho trovato molto interessante è che tutte queste persone, che non si conoscevano tra loro, mi hanno dato una versione diversa della stessa cosa. E cioè: per chi visita New Orleans o la osserva dall’esterno, la città sembra sempre uguale. – risponde la regista – È sempre stata Mardi Gras, festa, musica, buon cibo, divertimento. Ma per noi, che siamo di qui, che conosciamo questo posto, l’esperienza è divisa in due: prima di Katrina e dopo Katrina. E questa divisione persiste ancora oggi».

Una nuova consapevolezza, potremmo dire, che ha portato Traci A. Curry a ragionare sul fatto che ci fosse «qualcosa che solo gli abitanti di New Orleans potevano dirci su Katrina, qualcosa che forse noi altri non avevamo davvero compreso. Credo che molti ricordino Katrina come un evento che è accaduto all’America. Ma non è qualcosa che è accaduto all’America. È qualcosa che è accaduto a queste persone, a questo luogo». Una storia «che doveva essere restituita a chi l’ha vissuta: ai cittadini di New Orleans, per farci capire come l’uragano continui ancora oggi a riverberarsi nelle loro vite e nella loro città».

(CNN)

Un disastro «completo, complesso, sfaccettato, stratificato»

Presente nel documentario, sia nei filmati d’archivio che da intervistato, il generale Russel Luke Honoré appare come una figura centrale dell’intera storia. E lo è stato anche per la Curry che si dichiara «estremamente colpita» dall’incontro con il comandante della Joint Task Force Katrina. «È l’uomo che ha preso il comando per ristabilire l’ordine nel caos. – dice Traci – Una delle prime cose che ci ha detto, e lui conosce Katrina meglio di chiunque altro, è stata: Katrina è chi eri, dove eri, cosa hai visto, cosa hai vissuto. Questa frase ci ha fatto capire che Katrina non è un’unica storia, ma tante storie quante sono le persone che l’hanno vissuta».

«Ci siamo resi conto che dovevamo andare a raccogliere quanti più tasselli possibili di questo grande mosaico. – continua la regista – Chi era al Superdome, chi al centro congressi, chi sull’autostrada, chi chiuso nella propria casa, chi era un soccorritore. Ognuno aveva vissuto un Katrina diverso. E ti dico la verità: avremmo potuto fare altri cinque episodi, perché c’era ancora tantissimo da dire, da esplorare. Ma abbiamo davvero cercato di raccogliere il maggior numero possibile di prospettive e frammenti, per provare almeno a costruire qualcosa che fosse completo, complesso, sfaccettato, stratificato. Perché è proprio ciò che è Katrina».

Russel Honore (CNN)

Il dopo-Katrina

Lo storytelling di Uragano Katrina: corsa contro il tempo, in questo senso, chiarisce sin da subito il suo obiettivo. Il primo episodio copre interamente l’arco temporale del passaggio dell’uragano e – per quanto sconvolgente e drammatico – si conclude con case distrutte e disperazione ma pochissime vittime. Il peggio (in teoria) è passato, ma la storia è ancora tutta da raccontare. È il dopo-Katrina, di fatto, che sconvolge.

«Il mio approccio, all’inizio, era scavare e cercare di capire tutti i pezzi del puzzle. – dice la Curry – Stavamo davvero cercando di rimuovere strato dopo strato come con una cipolla, man mano che ci addentravamo sempre di più nella storia. Siamo partiti con quella che credo sia una nuova comprensione di Katrina, ovvero che è una storia di ingiustizia ambientale. Lo strato più esterno di protezione, cioè le terre costiere, che da sempre avevano attenuato la forza delle tempeste che colpivano la costa e raggiungevano New Orleans, quello è stato rimosso decenni prima che l’uragano arrivasse, a causa di interventi artificiali sull’ambiente che hanno distrutto quella prima barriera naturale».

L’uomo distrugge la natura e la natura distrugge l’uomo. Ma c’è di più. «C’è poi lo strato di sicurezza fornito dalle barriere artificiali, e del modo in cui questi argini sono stati costruiti malamente, con inettitudine». E ancora «la narrazione mediatica, che può umanizzare o disumanizzare le persone, renderle o meno degne di sicurezza e protezione. Poi c’è la protezione dello Stato. E anche quella la vedi venire meno. È questo il modo in cui ho affrontato la storia».

(Kurator/Tegna/WWL)

«Giusto sentirsi a disagio»

Troppi danni da raccontare e con cui convivere. «Io, e tutto il team di persone che ha lavorato al documentario, penso però che non ho mai smesso di credere al fatto che questa sia stata, e continui a essere, un’esperienza profondamente traumatica nelle vite delle persone che hanno avuto la generosità di condividere queste storie con noi», precisa Traci.

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«Se loro hanno il coraggio e la grazia di sedersi e rivivere tutto questo, affinché la verità possa essere conosciuta da me e da noi, il minimo che possiamo fare è esserci insieme a loro. Per quanto abbiamo provato disagio di fronte a questo materiale, quel disagio è giusto. Devi sentirti a disagio. È una cosa perversa quella che è stata permessa accadesse alle persone di quella città. E mi sembra che sia qualcosa che dovrebbe rimanerti addosso, e farti sentire inquieto», conclude la regista.

Sfumature di umanità

Un po’ di umanità resta nelle persone intervistate, spesso coloro che – senza mezzi e con forza di volontà – hanno provato da soli a salvare vite, ad attivarsi. «Ho viaggiato molto – ci dice Traci – e le persone di New Orleans sono semplicemente tra le migliori che io abbia mai incontrato. La generosità, il calore, la gentilezza, la cura per la comunità e per gli altri… è qualcosa che fa proprio parte della cultura e dell’identità delle persone di lì. E penso che una parte di tutto questo si sia persa nella narrazione mediatica su quelle persone».

(Ed Bush)

«Quella che avrebbe dovuto essere solo una piccola parte della storia, cioè che in ogni disastro ci saranno sempre opportunisti che approfittano della situazione e fanno cose illegali o violente, è diventata la storia di come il popolo di New Orleans ha risposto a tutto questo. – continua – E invece, la storia straordinaria, la storia vera, è che di fronte al completo collasso dell’ordine civile, nelle condizioni più disumanizzanti, queste persone non hanno perso la loro umanità. Non si sono rivoltati l’uno contro l’altro, non sono diventati predatori, animali, come erano stati rappresentati nei media. Al contrario, sono rimasti fedeli a ciò che sono, cioè persone che si prendono profondamente cura degli altri e della comunità. Persone di profonda fede, che si sono aggrappate a quella fede, e persone coraggiose. Quindi per noi era davvero importante mettere in evidenza questo filo narrativo».

«In particolare – conclude – dato che tanta parte del problema nei media all’epoca era rappresentato da uomini neri, giovani, ritratti come colpevoli, era importante raccontare un’altra storia. Cioè che c’erano tantissimi uomini senza volto e senza nome, provenienti da quella città, che hanno fatto quello che vedi fare nell’episodio quattro: prendere una barca e mettersi a salvare vite. Era importante per noi fare luce su alcune di quelle storie mai raccontate e su quegli eroi ignorati dell’uragano Katrina».

Una storia di ingiustizia ambientale

In conclusione, per Traci A. Curry, resta una grande verità. «Prima – ci spiega – non avevo mai pensato a Katrina come a una storia di ingiustizia ambientale. E invece lo è. È una storia di ingiustizia ambientale che ha molto da insegnarci anche oggi. Katrina è stato ovviamente un evento molto particolare e straordinario, sotto tanti aspetti. Si è trattato di un evento meteorologico estremo, peggiorato da interventi umani sull’ambiente naturale, che poi ha incontrato un’infrastruttura mai preparata a reggere quel tipo di evento. Il risultato di tutto questo è stato un danno che ha colpito duramente le persone più vulnerabili, quelle che già in partenza erano più esposte e che avevano meno possibilità di riprendersi dopo. Questa struttura della storia, almeno negli Stati Uniti, l’abbiamo vista ripetersi ancora e ancora».

(POND5)

«C’erano alluvioni già durante il periodo in cui stavamo realizzando questa serie, in Carolina del Nord, che hanno avuto conseguenze devastanti in modi simili. Abbiamo visto incendi alle Hawaii e a Los Angeles: sono eventi climatici diversi, certo, ma si sono svolti più o meno allo stesso modo. Quello che mi ha davvero scioccata è stato realizzare fino a che punto Katrina è una storia di ingiustizia ambientale e che è ancora oggi istruttiva per noi. Ci sono lezioni da imparare, che sono letteralmente questioni di vita o di morte. Se ci concentriamo sulle persone più vulnerabili, per tutte queste ragioni diverse, prima che l’evento accada, possiamo davvero salvare la vita di tutti».

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