Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (GNAMC), ha ufficializzato l’acquisizione di due Taccuini di viaggio di Andrea Lelario, inserendoli nella collezione permanente.
Quando il museo sceglie di accogliere un’opera, non è solo un riconoscimento: è un gesto di memoria. È ciò che è accaduto di recente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (GNAMC), che ha ufficializzato l’acquisizione di due Taccuini di viaggio di Andrea Lelario, inserendoli nella collezione permanente.
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L’annuncio è arrivato in occasione della presentazione del catalogo della mostra Un racconto lungo un viaggio, curata da Nicoletta Provenzano e allestita nella Sala delle Colonne. Una tappa che chiude simbolicamente un percorso durato anni, in cui Lelario ha intrecciato segno, memoria e visione interiore.

Una grande emozione, un ritorno alle origini.
«Beh, è una grande emozione. Come dicevo alla presentazione, sono venuto qui per la prima volta quando avevo 14 anni ed ero studente di liceo artistico. Ritornare qui in veste di artista e nella collezione per me è veramente la summa di un grande raccolto, durato molti, molti anni.
Quindi sì, grande emozione: sono particolarmente onorato e felice di entrare a far parte di questa importantissima collezione d’arte contemporanea e moderna».
Una dichiarazione che restituisce tutto il senso di compimento di un percorso personale e professionale: il cerchio che si chiude, ma anche un nuovo inizio nel dialogo con la storia dell’arte italiana.
Il viaggio come geografia interiore
Nella mostra e nei taccuini acquisiti dal museo, emerge una trama di simboli e riferimenti che costruisce un vero e proprio viaggio junghiano: un attraversamento dell’inconscio, della memoria, del sogno.
«Nei miei taccuini c’è un percorso junghiano, un viaggio incredibile in cui ritroviamo anche Fellini, che fa parte del mio bagaglio culturale, come anche la canzone d’autore italiana di De Gregori. Ma soprattutto Fabrizio De André, che è stata, tra virgolette, la mia musa ispiratrice.
E poi i registi, Fellini in primis: tutto ciò che riguarda il mio viaggio introspettivo è stato già sviluppato meravigliosamente da lui. Ci sono analogie, passaggi che ci riguardano entrambi».
Nelle sue parole si avverte il peso lieve della cultura condivisa: un universo di rimandi che unisce poesia e immagine, musica e psicanalisi, mito e autobiografia. Lelario attraversa questi territori con il linguaggio della grafica e del segno, costruendo mappe dell’anima che parlano al visitatore con un tono quasi sognante.

Il rinoceronte e le rotte del simbolo
In uno dei Taccuini di viaggio, compare la figura del rinoceronte, simbolo enigmatico che rimanda a più livelli di lettura.
«In realtà la sponda, per essere in tema di navigazione con il rinoceronte, sì, è anche Fellini, ma è anche un animale che ha a che fare con l’Ala Aldrovandi, dove ho realizzato la mostra.
Aldrovandi è stato colui che ha fatto conoscere, diciamo così, il rinoceronte a Dürer. Per questo l’ho inserito nell’immagine: è un animale molto evocativo e simbolico, con tanti significati».
Il riferimento a Dürer e a Fellini non è casuale: due maestri del visionario che, seppure in ambiti diversi, hanno saputo trasformare l’immaginazione in linguaggio universale. Lelario li convoca entrambi nel suo pantheon personale, intrecciando arte e psiche, immagine e mito.
Un Dürer junghiano.
«Oggi, parlando con un grande curatore, stavamo vedendo il mio lavoro e lui diceva che sono un Dürer junghiano. È un accostamento — questo neologismo — che mi piace molto, ovviamente con le dovute proporzioni, perché Dürer è stato un grandissimo maestro, come Jung nella psicoanalisi.
Però sì, mi sento perfettamente all’interno di questa neoparola».
L’espressione, tra il serio e l’ironico, descrive bene l’essenza della ricerca di Lelario: una tensione continua tra precisione tecnica e profondità simbolica, tra segno e psiche, tra la mano e l’inconscio che la guida.
L’acquisizione come segno che resta
Per la GNAMC, l’ingresso dei Taccuini di viaggio rappresenta la volontà di dare spazio alla dimensione più intima e riflessiva del contemporaneo. Come ha ricordato la direttrice Renata Cristina Mazzantini, si tratta di «un segno che resta», testimonianza del passaggio dell’artista nella storia del museo e della città.
L’arte di Andrea Lelario, con la sua grafia poetica e la sua tensione simbolica, si afferma così come una delle voci più personali della scena italiana contemporanea: un’arte che nasce dal viaggio e dal sogno, e che trova oggi una casa nella memoria viva del museo.