L’edizione 2020 del BAFF ha accolto in teatro Giulio Mogol, che ha regalato la sua lectio magistralis ‘Il cammino del pop’ oltre a tanti aneddoti su alcune delle sue canzoni più amate.

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È una standing ovation spontanea quella che ha accolto Mogol ospite, sabato 10 ottobre, dell’edizione 2020 del BAFF Busto Arsizio Film Festival. Il maestro ha portato al Teatro Sociale della città lombarda la sua già apprezzatissima lectio magistralis ‘Il cammino del pop’ con cui ha regalato uno sguardo personale e sentito sulla musica italiana dell’ultimo secolo.

“Come si cantava e come si canta ora? Cosa è avvenuto? Si è capito che è più si canta e meno si comunica. Siamo abituati a parlarle e riceviamo dal parlato, col cantato invece capire diventa difficile.” Parte da qui l’excursus, tra storia collettiva e vita personale, su cui Giulio Mogol si muove con la spontaneità e la gentilezza che lo contraddistinguono anche nelle canzoni.

E il percorso del grande autore parte dall’ascolto, quello di O’ sole mio, nella versione di Claudio Villa e in quella di Elvis Presley. Così, se nella prima interpretazione è la potenza vocale sopraffare la comprensibilità delle parole, nel secondo caso l’obiettivo non è mostrare la voce ma far innamorare. Questione di intenzione, insomma, e di priorità.

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Il contrappunto tra Italia e Stati Uniti continua con Nilla Pizzi e Frank Sinatra, Natalino Otto e Bob Dylan, colui che ha cambiato tutto. Fino ai più giovani Arisa, Dido, Vasco Rossi, Ed Sheeran. Ma l’artista italiano che per primo ha recepito e fatto propria la lezione del Premio Nobel è stato Lucio Battisti, che ha dato voce più di chiunque altro alle parole immortali di Mogol.

Sta tutto nella credibilità: hai un testo, hai una musica, devi comunicare in modo credibile

“Lucio è stato il primo in Italia a non fare del canto un’esibizione vocale – spiega con autentica commozione il Maestro – L’arte e la semplicità sono una brezza non una bomba, non serve conquistare il pubblico sparando le tonsille.” E aggiunge: “Il talento ce l’abbiamo tutti: è latente e da coltivare. Diventa un automatismo dopo ore di studio. Abbiamo facoltà straordinarie in tutte le arti e, studiando e approfondendo, acquisiamo un automatismo; non lo dico io, lo dice Einstein. Tutti possiamo essere artisti.”

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Di sé poi Mogol racconta: “Sono attratto dai film storici. La vita, quella vera non la fiction, è uno spettacolo meraviglioso, così come scrivo nelle mie canzoni. Mi rendo conto che le persone si accorgono della differenza quando le ascoltano perché siamo tutti professionisti della vita e siamo tutti diversi. La fantasia non serve, preferisco parlare di cose vere e accadute.”

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La serata scorre quindi a suon di ascolti e di aneddoti legati ad alcune delle canzoni più celebri del paroliere, come Emozioni, L’arcobaleno, Una giornata uggiosa e Il mio canto libero. Per finire, immancabile, con La canzone del sole, accompagnata dalla seconda standing ovation. E se qualche storia già la conoscevamo, Mogol regala anche qualche succosa anticipazione sui progetti in cantiere.

“Al CET (Centro Europeo di Toscolano che l’artista ha fondato nel 1992, ndr) sono ormai in tremila giovani e a maggio 2021 faremo tre serate televisive sulla Rai. Questi ragazzi presenteranno in tv le loro canzoni, rimarrete conquistati! Nella seconda serata poi ci saranno cantanti conosciuti che faranno loro dai padrini e canteranno mentre alla terza parteciperanno personaggi famosi che non hanno mai cantato finora.”

Un insegnamento dunque, quello di Mogol, che va oltre la musica. “Dire più che cantare”, ripete spesso. Perché urlare, in una canzone come nella vita, ci allontana senza farci capire meglio.

Foto di Nick Zonna da Ufficio Stampa B.A.FILM FESTIVAL 2020