Il Mudec di Milano ospita un percorso espositivo dedicato all’evoluzione dell’arte di Escher nel suo rapporto con la scienza, dai paesaggi italiani fino alle opere mature.

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Arte e scienza: dialogo impossibile? Non per M.C. Escher, che nella sua produzione artistica ha fatto dell’incontro tra creatività e logica uno dei pilastri imprescindibili. Ed è proprio a questo connubio che è dedicata la nuova mostra al Mudec di Milano fino al prossimo 8 febbraio. Dai lavori giovanili – molti dei quali realizzati durante gli anni in Italia – ai capolavori dell’età matura, passando per gli studi geometrici e l’approfondimento dell’arte aniconica orientale. Otto stanze ripercorrono una produzione che si muove in oltre quarant’anni, dagli Anni Venti agli Anni Sessanta del secolo scorso.

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Con novanta opere tra incisioni, acquerelli, xilografie e stampe litografiche oltre a oggetti dal mondo islamico, l’intento di M.C. Escher. Tra arte e scienza è proporre una chiave di lettura che scava nelle ragioni di uno stile divenuto iconico e riconoscibilissimo. Per offrire uno sguardo più consapevole sulle metamorfosi, le architetture impossibili e le illusioni ottica che hanno definito il lavoro dell’artista olandese.

Escher, Mudec - Foto di Carlotta Coppo
Escher, Mudec – Foto di Carlotta Coppo

Fondamentale per la costruzione del percorso espositivo, il contributo della Fondazione M.C. Escher e del comitato scientifico coordinato da Federico Giudiceandrea, su concept di Judith Kadee, Curator del Kunstmusem Den Haag. A comporlo, i curatori Claudio Bartocci (Università di Genova), Paolo Branca (Università Cattolica di Milano) e Claudio Salsi (Università Cattolica di Milano).

Escher e l’arte islamica: l’Italia e la svolta all’Alhambra di Granada

«Escher è un ricercatore, un artista che si mette in viaggio», spiega il professor Paolo Branca che insegna Lingua e Cultura Araba. «La mostra mette bene in luce, dopo le sue opere giovanili, anche i paesaggi italiani. È, infatti, attratto dall’ambiente mediterraneo e già nelle opere giovanili emerge la sua tendenza a riempire tutto lo spazio, quasi un horror vacui, simile a quello della pittura fiamminga dell’epoca. Persino il cielo viene riempito di striature o nuvole, come se volesse occupare ogni centimetro disponibile».

«L’esperienza di Escher all’Alhambra è stata un’illuminazione, una vera e propria “strada di Damasco”. – prosegue il docente – C’è un Escher prima dell’Alhambra e un Escher dopo l’Alhambra, quando Escher inizia a esplorare illusioni ottiche e giochi che confondono la nostra mente. Ma in realtà c’è anche un forte legame con il “prima”, e questo emerge molto bene in mostra.

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Escher nacque a Leeuwarden, nei Paesi Bassi, nel 1898, in una famiglia agiata: il padre era ingegnere idraulico, una professione ovviamente fondamentale in Olanda. E avrebbe voluto che il figlio diventasse architetto, ma Escher non era uno studente brillante. Fu bocciato a un esame e, su consiglio del suo insegnante di disegno, Samuel Jessurun de Mesquita, venne indirizzato alla scuola di arti grafiche. Lì Escher si formò come grafico e, come molti artisti europei di inizio Novecento, intraprese al termine degli studi il Grand Tour alla ricerca delle radici della cultura europea».

Escher, Mudec - Foto di Carlotta Coppo
Escher, Mudec – Foto di Carlotta Coppo

«Arrivò in Italia, ne rimase incantato e vi restò dal 1922 al 1936, dedicandosi soprattutto al paesaggio: un’attività molto diversa da quella che avrebbe sviluppato in seguito. Ma già in quei lavori – che potete ammirare in mostra – si nota un forte interesse per la geometria e per la costruzione prospettica. Un aspetto particolarmente interessante, che aiuta a comprendere il passaggio successivo, è che Escher aveva visitato l’Alhambra già nel 1922, in modo fugace, senza esserne troppo colpito».

«Tuttavia aveva già maturato un amore per la tassellatura: ne restano bellissimi esempi, come Otto teste, realizzato prima della scoperta piena dell’Alhambra. La mostra restituisce perfettamente questo percorso: un Escher paesaggista che già rivela la passione per la geometria, evidente nel modo in cui affronta la prospettiva o nell’uso esclusivo delle linee nell’incisione. E poi, dopo l’esperienza dell’Alhambra, il passaggio a una dimensione più “cervellotica”, più matematica».

Geometria e matematica nell’opera di Escher

In conferenza prende, quindi, la parola Claudio Bartocci, docente di geometria e storia della matematica presso l’Università di Genova per u approfondimento dei legami di Escher con gli aspetti matematici e scientifici. «La matematica, e in particolare la geometria, fanno parte della nostra cultura. Ce ne dimentichiamo spesso, ed è una colpa del nostro sistema scolastico che relega la matematica a un misero insieme di formule ed equazioni, riducendola a qualcosa di puramente tecnico. Non è così».

Escher, Mudec - Foto di Carlotta Coppo
Escher, Mudec – Foto di Carlotta Coppo

«La matematica, fin da Platone – se non prima – innerva tutta la cultura, non solo occidentale. Per millenni, c’è stato un passaggio continuo di conoscenze matematiche tra Oriente e Occidente. Pensiamo alla cultura sanscrita classica che poneva la grammatica al vertice del sapere, una grammatica “algebrizzata”. Le origini dell’algebra, come la conosciamo, affondano proprio lì, e trovano un punto di svolta nell’opera di Brahmagupta, nel VI secolo d.C. Quest’algebra indiana arriva a Baghdad all’inizio del IX secolo e, da lì, attraverso traduzioni e rielaborazioni, rimbalza di nuovo nell’Occidente latino».

«Un ruolo decisivo lo ebbe al-Khwarizmi. Scrisse in arabo un trattato di algebra – il termine stesso “algebra” viene dall’arabo, dove aveva un significato non tecnico – e un libro sul calcolo indiano, oggi perduto ma tramandato in versioni posteriori. Dal suo nome deriva la parola “algoritmo”: Algorismus in latino. Ogni volta che parliamo di algoritmi, quindi, rendiamo omaggio a un matematico arabo, nonostante la somiglianza con il greco arithmós».

«Quando osserviamo le simmetrie nelle opere di Escher, dobbiamo pensare che ogni simmetria è solo un fotogramma di un movimento, di una trasformazione. – spiega Bartocci – Ovvero, è un frammento di mondo che Escher rappresenta. La sua opera è fatta di trasformazioni e Metamorfosi ne è l’esempio paradigmatico. E proprio il concetto di metamorfosi è un’idea centrale della matematica contemporanea. Non è più lo studio degli oggetti in sé, ma delle relazioni e delle trasformazioni tra gli oggetti. Escher ha saputo cogliere questi aspetti non come tecnicismi, ma come parte essenziale della sua ricerca artistica».

«Per questo, quando parliamo di “arte e scienza”, non dobbiamo intendere una separazione, ma una congiunzione: due dimensioni indispensabili per interpretare il mondo. – conclude il docente – Lo sapeva bene Escher, ma anche poeti come Valéry, scrittori come Nabokov, e in Italia Italo Calvino. Prima ancora di Calvino, però, c’era Leonardo Sinisgalli, poeta nato nel Sud, che nel 1935 pubblicò un’opera oggi purtroppo dimenticata, Furor Mathematicus».

Foto allestimento di Carlotta Coppo da Ufficio Stampa

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