‘Black Box’ è il memoir di Shiori Ito, pubblicato in Italia da Inari Books. Un libro fondamentale per il movimento #MeToo in Giappone.

Che lo stupro non venga spesso chiamato col suo nome è ampiamente dimostrato nel memoir di Shiori Ito, Black Box. Una lettura fondamentale, più che mai ora che in Italia rimbalza sui quotidiani la notizia dell’arresto dell’imprenditore Antonio Di Fazio, denunciato da una studentessa per averla drogata e aver poi abusato di lei.

Black Box arriva nel nostro paese grazie a Inari Books nel dicembre del 2020, tradotto da Asuka Ozumi, ed è l’autobiografico racconto del dramma di Shiori Ito. Giornalista, giapponese ma sempre in movimento per lavoro e indole, il libro racconta fatti avvenuti nel 2015, ma soprattutto ne descrive la disumana appendice. Perché una donna – stuprata – deve sempre difendersi se accusa il suo aggressore. E la violenza fisica e psicologica finisce per amplificarsi nei meandri di una problematica sociale e culturale difficilissima da scardinare, ancor più se a finire sotto accusa non è uno sconosciuto, ma un uomo rispettato in tutto il paese.

L’aggressore di Ito è infatti il collega Noriyuki Yamaguchi. Ex direttore dell’ufficio di Washington della TBS – Tokyo Broadcasting System e biografo del Primo Ministro Abe Shinzō. I rapporti di Shiori Ito con Yamaguchi, all’epoca dei fatti, erano pochissimi e puramente lavorativi. Lo stupro avviene proprio in seguito a un informale incontro di lavoro in un locale pubblico. La giornalista racconta bene come si sia svegliata in una camera d’albergo, durante l’aggressione, senza ricordare come ci sia finita. E anche senza ricordi la vita le si spezza. Nulla però fa rabbia quanto il racconto che segue, la scelta di denunciare e gli attacchi pubblici. La battaglia di Shiori Ito durerà anni e legalmente non la si può di certo considerare vinta. Ma darà vita al movimento #MeToo anche in Giappone e a profonde riflessioni sulle leggi nipponiche in materia e sull’assoluta inadeguatezza dell’assistenza sanitaria nei confronti di chi subisce uno stupro. Eppure, da un lato c’è il volto di un movimento e della ribellione. Dall’altro la donna spezzata, coraggiosa ma fragile, che non sa spiegarsi perché tutto questo sia accaduto proprio a lei.

Shiori Ito, il viaggio nel sistema investigativo e giudiziario giapponese

È l’attitudine, la fiducia nei valori del giornalismo, a dare a Shiori Ito la forza di parlare che tanti non riescono a trovare. E Black Box non è un romanzo che indaga e punta il dito contro chi tace. Sotto accusa finisce un intero sistema sociale in cui essere drogata e stuprata sembra una cosa da nulla. Un evento all’ordine del giorno.

Le pagine sono un viaggio nei meandri di un sistema investigativo e giudiziario che sembra porre ostacoli continui alle vittime di violenza sessuale: in uno dei capitoli più strazianti, l’autrice racconta l’umiliazione subita quando ha dovuto mimare di fronte alla polizia la scena dello stupro utilizzando un manichino. Una ricostruzione priva di umanità, ma parte integrante delle procedure previste in questo tipo di casi. Ma il libro è anche la cronaca della lotta quotidiana contro gli attacchi mediatici e i continui episodi di cyberbullismo, che hanno portato Shiori Ito a intentare numerose cause per diffamazione. Di fronte a ciò che viene definito black box, un fatto accaduto in una stanza chiusa, i confini diventano ambigui, la violenza sempre più difficile da dimostrare. Perché quando l’accusato è un uomo potente e la vittima una donna giovane all’inizio della carriera, si scatena il sessismo, si diffondono le voci, si tinge la verità del nero inchiostro del dubbio.

Shiori ito

Il consenso e i limiti della black box

Di fatto, Shiori Ito pone l’accento proprio sul morboso dubbio del consenso (cita in questo senso l’indagine di Jon Krakauer contenuta nel libro Senza Consenso, sugli stupri a Missoula, USA). Ne rovescia l’accezione, perché una donna priva di sensi non può dire no e non può dire sì. Più che un rifiuto, dovrebbe dunque valere un consenso dichiarato e manifesto. Nessuno dovrebbe metterlo in dubbio, neanche se in una black box non ci sono occhi a testimoniare i fatti.

Yamaguchi ha sempre respinto le accuse e non è mai stato incriminato per lo stupro: il caso viene archiviato, ma Shiori Ito nel 2017 intenta una causa civile. Nel 2018, la giornalista ottiene il Freedom of the Press Award del Free Press Association of Japan. Nello stesso anno la BBC le dedica un documentario, che ha portato il caso all’attenzione dei media internazionali. A dicembre 2019, Shiori Ito vince il primo grado della causa civile: il giudice ha sentenziato a Yamaguchi un risarcimento pari a circa 26.000 euro. Ma il procedimento è ancora in corso. A fine settembre 2020 la giornalista è stata inserita nella TIME 100, la lista delle cento persone più influenti del mondo stilata dal Time Magazine.

«Preferisco però pensare che la mia esperienza non sia stata inutile. – dichiara l’autrice nella prefazione del libro – All’inizio ero disorientata e non sapevo come reagire: quell’evento del tutto inaspettato mi ha messa di fronte a un dolore mai sperimentato prima. Oggi però so cosa è necessario, ma per realizzarlo c’è bisogno di un cambiamento che coinvolga allo stesso tempo la società e il sistema giudiziario, partendo dal poterne parlare apertamente. Per me stessa, per mia sorella, per le persone che mi sono vicine, per i figli e le figlie del futuro e per tutti gli individui di cui ignoro il volto e il nome. (…) Ciò che ho vissuto io potrebbe capitare a voi o alle persone che vi sono care. Provate a immaginarlo. Questo libro parla della mia storia, una storia di violenza sessuale».