‘Invocazioni. Un suono in fondo all’orecchio’ porta all’Auditorium Parco della Musica una mostra che esplora il confine tra suono e visione. Dal 14 novembre al 6 gennaio.

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In occasione dell’approdo a Roma di BIENALSUR – Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea del Sud – il tema Invocazioni (scelto dalla curatrice Benedetta Casini) arriva anche all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone con la mostra Invocazioni. Un suono in fondo all’orecchio. Dal 14 novembre al 6 gennaio cinque artisti – Marc Vilanova (ESP), Lihuel Gonzalez (ARG), Jacopo Mazzonelli (ITA), Friedrich Andreoni (ITA/DEU), Giorgia Errera (ITA) – indagano il limite tra linguaggio visivo e sonoro.

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«È una mostra che si immagina. – dice Anna Cestelli Guidi, Responsabile Mostre della Fondazione Musica per Roma – Si vedono cose, ma la mostra è sul suono, sulla sua percezione. Gli artisti immaginano la percezione del suono e questo ci trasporta in una dimensione quasi immaginativa. Il suono può essere anche silente, ma ci abita».

«Per noi – aggiunge Guidi – è stata anche una sfida interessante, perché da anni portiamo avanti un programma espositivo ad hoc. L’Auditorium è il regno della musica. Per noi, nelle arti visive, è interessante cercare il suono. Trattiamo con artisti che lavorano con uno dei medium più contemporanei del momento per la sua fluidità e complessità».

Invocazioni. Un suono in fondo all’orecchio: la mostra all’Auditorium

I lavori in mostra evocano, di fatto, un suono che non possiamo realmente ascoltare: lo intuiamo solo attraverso immagini, movimenti, parole e spettrogrammi. Il titolo, Un suono in fondo all’orecchio, richiama proprio questa idea di percezione interiore, personale, che ognuno può cogliere solo affidandosi alla propria immaginazione.

Il filo conduttore dell’esposizione è la ripetizione. Friedrich Andreoni, ad esempio, ripete ossessivamente la frase I was so wrong, trasformando l’ammissione di errore in un gesto quasi liberatorio, mostrato senza timore al pubblico. Jacopo Mazzonelli lavora invece sul tempo: monta alla parete una serie di rulli per pianola meccanica, uno dopo l’altro, ognuno inciso con la parola finis. Nel loro susseguirsi, sembrano richiamare il silenzio che segue la fine di un’esecuzione.

Giorgia Errera sceglie un’altra strada: riproduce a pastello uno schermo completamente nero, ispirato a una scena di 2001: Odissea nello Spazio. L’unico indizio dell’azione — e del relativo suono — è il sottotitolo, che descrive l’improvviso rumore dell’aria che irrompe in uno spazio sigillato (Sound of air rushing in). Qui il suono non è rappresentato, ma immaginato.

Suono, corpo e immaginazione: i lavori degli artisti

Marc Vilanova concentra la sua ricerca sulle cascate d’acqua e sulle loro frequenze infrasonore, utilizzate da alcuni uccelli per orientarsi durante le migrazioni. Essendo impercettibili all’orecchio umano, l’artista le trasforma in segnali luminosi tramite una fibra ottica, permettendo ai visitatori di vedere ciò che normalmente non possono udire e aprendo la possibilità di una comunicazione oltre la nostra specie.

Il tema dell’incontro torna anche nel lavoro di Lihuel González: un direttore d’orchestra dirige una sinfonia di cui non sentiamo alcuna nota. Di fronte a lui, una ballerina danza seguendo solo il movimento della bacchetta. Il suono rimane in potenza, sospeso, mentre ciò che percepiamo è la sua traccia immaginaria.

In tutto il percorso espositivo, il suono non viene mai mostrato direttamente: è suggerito, evocato, ricostruito mentalmente dal pubblico. È proprio questa assenza a renderlo potente, perché affida allo spettatore il compito di trasformare le immagini in una musicalità tutta interiore.

L’Auditorium e la sfida interdisciplinare delle arti visive

«Per noi è stimolante. – commenta Anna Cestelli Guidi – La sfida è quella interdisciplinare perché lavoriamo all’Auditorium, un contesto di musica. Dalla classica al jazz è un luogo interdisciplinare e far passare questo concetto non a un pubblico, ma a vari pubblici diversi, è una sfida. Tanti pubblici abitano l’Auditorium e non è semplice intercettare un pubblico che non sarebbe interessato a un’altra visione. Lavoriamo borderline ed è un rischio, ma fa la differenza della nostra programmazione, perché richiede un pensiero coerente e preciso sull’arte visiva».

Infine, su BIENALSUR, Guidi conclude: «Crediamo molto nella collaborazione tra istituzioni diverse. BIENALSUR ha un ambito internazionale e non legato solo a Roma. C’è un’etica di scambio e confronto fondamentale. Speriamo sia un’esperienza in crescita, perché c’è bisogno di collaborazione e scambio. L’idea che il sud sia una posizione del pensiero rispecchia i temi globali di cui si parla ultimamente».

Foto: Pasqualini-Fucilla – MUSA

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