Venerdì 30 settembre esce il primo album solista di Manuel Agnelli che ha raccontato il progetto parlando di libertà, cultura, speranza, guerra. Ma anche di Måneskin e, ovviamente, Afterhours.

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È ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ il primo progetto solista di Manuel Agnelli, nato da un’indagine profondissima sui sentimenti e su ciò che si muove dentro e fuori l’uomo. Un album che libera il frontman degli Afterhours da certe costrizioni che sono geneticamente intrinseche nei meccanismi naturali di una band e che, complice il lockdown, hanno trovato la via per sbrigliarsi. Non a caso la prima parola che Agnelli pronuncia in conferenza stampa è libertà seguita immediatamente dalla spiegazione di un titolo così impegnativo.

“Cercavo un titolo che rappresentasse questo che ho scritto e composto guardando quello che stava succedendo nella mia vita e attorno a me”, racconta Manuel. “Ho trovato che la frase ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ fosse perfetta per me perché c’è un doppio senso che si esprime anche sulla copertina. Ovvero, se ti ami così forse è meglio che non ami affatto e non è un caso che per la prima volta scelgo una cover con la mia faccia (in fiamme)”.

“È una frase di una potenza devastante, mai consumata perché non è mai stata realizzata”, afferma Manuel Agnelli. “L’ho rubata volentieri e senza royalties. È sufficientemente forte e con una contemporaneità che mi è piaciuta, mi ha fatto sentire utile nel recuperare qualcosa che diamo per scontato ma non lo è affatto”.

Ad accompagnare l’uscita dell’album, da venerdì 30 settembre arriva in radio il singolo Milano con la peste. Così ne parla l’artista: “All’interno delle canzoni cerco di avere come protagonisti più persone e non una sola. E se scrivo una canzone con un solo soggetto non vuol dire che sia una persona sola. Spesso, invece, ne metto di più per tirar fuori comunque una storia. In Milano con la peste è successo questo. Praticamente è un pezzo che parla del Covid e del lockdown ma parla anche di un altro tipo di patologia, più interiore.

 
 
 
 
 
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“Quando cito il fatto che le persone hanno le mascherine e finalmente io mi accorgo degli occhi intendo dire che ci si accorge della loro parte più vera. Mi è sembrato che, almeno nel primo periodo del lockdown, la gente stesso prendendo coscienza di quelle che erano le cose più importanti. E paradossalmente stesse mostrando il suo lato migliore, cosa che poi naturalmente non è successa completamente perché siamo rientrati in un certo modo di vedere le cose. È una canzone sulla speranza, la speranza che si possa cambiare in maniera anche abbastanza definitiva, importante”.

Il primo album senza gli Aftherhours

Impossibile non parlare degli Afterhours, o meglio della loro assenza nel progetto ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ e qui torna il concetto chiave. “La parola che può caratterizzare il disco è libertà”, spiega Manuel Agnelli, “il fatto di riuscire a liberarsi anche da un’idea di me che prima di tutto avevo io nei confronti di me stesso ma anche il pubblico. In tutti questi anni sono stato felicemente sposato con gli Afterhours, poi ho avuto una lunga e intensa parentesi televisiva e quindi c’è di me un’immagine di un certo tipo”.

“Fare un disco da solo mi permette di recuperare una sorta di libertà rispetto a quello che, in realtà, ho già fatto perché spesso le cose anche se sono molto molto belle ingabbiano”, dichiara il musicista.

“Molti troveranno strano che questo disco non sia uscito con gli Afterhours e che io non sia stato in giro con loro dal vivo quest’estate”, prosegue. “In realtà molti di quei pezzi sono miei, li ho scritti io, mi appartengono e li sento miei. Personalmente, al di là della band, è molto difficile riuscire a fare cose diverse per uscire dal cliché di se stessi se si collabora con gli stessi musicisti. Soprattutto quando sono talentuosi, hanno già una personalità definita e giustamente la vogliono sottolineare”.

“Quindi, parti a scrivere i pezzi, a comporli e arrangiarli con un suono che sai già come sarà perché quello spazio glielo devi dare. Ci sono cose che sono già decise: manca la sorpresa, manca lo stupore, manca la possibilità di uscire veramente da una formula che per quanto felice alla fine diventa una gabbia dorata. Ho scelto di fare questo disco con delle sonorità che comunque mi appartengono e appartengono anche agli Afterhours in qualche modo. Non volevo fare un disco di rottura con quello che ho fatto, ma di continuità, però libero. Questa è la cosa principale”.

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Poi specifica. “Dovrei essere un mostro per dire che non sono stato protagonista del progetto degli Afterhours. Ho sempre avuto un ruolo di grande privilegio così come i musicisti che hanno un talento straordinario quindi non mi è mancato lo spazio e non mi è mancata la rilevanza. Però il modo in cui mi si identificava sì, è quello che un po’ trovavo sbagliato e mi dava fastidio. Sono fortunato, sono privilegiato perché sono riuscito a suonare un genere di musica impossibile per cui non esiste mercato in questo paese e a far parte di un progetto che dura da trentacinque anni. È un risultato da privilegiato, certo, che però penso di essermi meritato”.

“È chiaro che quando una cosa funziona fai fatica a mollarla ma a un certo punto devi quasi forzati. Non so cosa succederà agli Afterhours, sono un progetto secondo me interessante ancora adesso proprio per i musicisti che lo compongono. La grossa differenza fra una band di amici che vive insieme e un progetto è che il progetto non è una cosa istintiva, la devi mettere in piedi. È il motivo per cui abbiamo fatto dischi ogni 4/6 anni. Quindi quando avremo qualcosa da dire, faremo sicuramente un altro disco e potrebbe essere fra venticinque anni per esempio, quando io ne avrò 81..”

 
 
 
 
 
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La guerra, la crescita e la cultura oggi

“Diciamo che la guerra è presente in maniera abbastanza precisa nel disco”, prosegue Manuel Agnelli. “In questi giorni ho sentito parlare solo di geopolitica ed è una cosa che mi ha sconcertato. I media fanno di tutto per cercare la tv del dolore ultimamente e questa era l’occasione per farlo in modo utile. In Ucraina la gente sta morendo e quindi un po’ di tv del dolore sarebbe anche servita a far rendere conto tutti noi di quale disgrazia sta succedendo al di là delle ragioni per le quali sta succedendo”.

Guerra e pop corn è un pezzo che invece di parlare di geopolitica, di ragioni di uno o di ragione dell’altro, parla di una persona che è in una situazione più grande di lui. Una situazione che non po’ risolvere in nessun modo e che vive in maniera completamente passiva. L’unica parte che vuole conservare è il proprio cuore, la propria parte interiore in una situazione nella quale tutti diventano bestie perché è impossibile rimanere puliti”.

“Il testo racconta di un’orgetta fra due persone che sniffano e guardano la guerra mangiando pop corn alla televisione. È un po’ il nostro tipo di atteggiamento rispetto a queste cose: le rifiutiamo finché non ci succede direttamente e soprattutto pensiamo che non possa mai succedere a noi. Era già capitato negli Anni Novanta con la Jugoslavia quando abbiamo avuti la guerra a pochissimi chilometri e a Trieste si sentivano del cannonate. Ma non è servito molto”.

“Siamo tutti qui a fare i virologi, gli allenatori e adesso anche gli esperti militari”, afferma ancora Manuel. “Esprimiamo opinioni che non hanno nessun senso e prendiamo decisioni sulla base di questo tipo di opinioni senza poterle veramente esprimere”.

Raccontando, quindi, il senso profondo della titletrack e la riflessione sulla crescita, Agnelli spiega il suo rapporto con la maturità. “Invecchiando è chiaro che uno accetta tantissime parti di sé che sono mediocri e arriva a dei compromessi che da giovani non vogliamo fare o rifiutiamo. Pensare che crescendo si diventa persone migliori è una bugia che ci raccontiamo. In realtà ci adattiamo alle cose e, se siamo fortunati, riusciamo a convivere forse più armonicamente con le stesse realtà che da ragazzi rifiutavamo”.

“Siamo noi che alla fine ci adattiamo e questa, nel pezzo, non è né una considerazione triste né una rivendicazione o una provocazione”, dichiara. “È semplicemente una presa d’atto con un po’ di malinconia da terza età, quasi una liberazione. Sì, è liberatorio accettare la propria mediocrità, si sta meglio”.

Allargando, quindi, lo sguardo, la riflessione coinvolge la cultura o meglio i presunti uomini di cultura di oggi. “Ho avuto l’onore di partecipare a un po’ di cenette e salotti e mi sono reso conto della disgrazia culturale nella quale stiamo sguazzando in questo momento. C’è stata una destrutturazione culturale pazzesca negli ultimi trent’anni per cui anche le persone che hanno curiosità per la cultura in realtà la stanno trattando molto male, solo per raggiungere un certo tipo di consenso o di rilevanza. Non stanno rispettando la cultura in sé, non la stanno diffondendo ma sono persone che in realtà la usano come è stato fatto tante volte in passato. Come faceva Don Abbondio, per ignoranza, e questa è una cosa che mi ha colpito perché spiega il motivo per cui la classe intellettuale in questo momento è così inetta, inutile”.

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Anche applicato alla musica, il pensiero di Agnelli è molto critico. “Il mio mondo musicale, il mondo dell’alternativa è diventato un ambiente asfittico, fascista dove ci sono più regole che fuori e sono anche regole senza senso. Prima dovevano servire a formare una società alternativa a quella ufficiale e davano delle indicazioni. Adesso siamo in un proibizionismo letterario, lessicale e linguistico per cui ci sono solo regole che non servono a niente”.

“Cos’è la libertà per me? Senza andare a cercare cose molto più difficili, è la possibilità di essere se stessi. Ed essere se stessi non vuol dire che gli altri te lo lascino fare o che tu ti prenda questo diritto. Vuol dire che tu ti riconosci e sai chi sei”.

I Måneskin, Sanremo e il futuro

Alla domanda su cosa pensi del commento di Damiano post elezioni, Agnelli risponde con prudenza. “Non so molto in merito, per cui non mi voglio sbilanciare, vorrei sentire i protagonisti e capire meglio che cosa sta succedendo. Credo che i Måneskin funzionino e abbiano funzionato fino adesso per delle motivazioni abbastanza magiche e non per dei progetti fatti bene. Quindi, vedo con grandissimo pericolo ogni cambiamento che viene fatto a qualcosa di magico”.

“Capisco che dei ragazzi così giovani abbiano un sacco di gente che li tira per la giacchetta e ho sempre pensato che intorno a loro dovesse essersi qualcuno che si prendesse delle responsabilità per loro e forse neanche basta. Poi certo, adesso viene richiesta sempre una presa di posizione che secondo me è abbastanza forzata. Andare a Sanremo? Dipenderà dai soldi che mi offrono”, sorride. “Se mi offrono un transatlantico d’oro posso anche pensarci… ma io in gara non ci vado”.

“Anche perché ci sono già andato e Sanremo l’ho già vinto coi Måneskin– specifica Agnelli – Credo di aver fatto qualcosa di significativo in quel momento, difficile ripetere quindi non ho proprio tutta questa sete di andare all’Ariston”.

Ma cosa si augura Manuel Agnelli per questo album? “Non conto sul fatto che questo disco sia il primo e l’ultimo da solista. Vorrei riuscire a fare dei dischi ogni due anni. Forse è un po’ troppo progettuale e contraddittoria questa cosa, però vorrei riuscire a essere molto più snello nel fare musica e uscire da quella corazzata Potemkin che alla fine diventano i progetti carichi di aspettative. Vorrei avere la libertà di spaziare ancora di più, non tanto nei generi musicali ma all’interno di un genere”.

 
 
 
 
 
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“Che il disco abbia una vita lunga o breve in questo momento, per me, non ha tanta importanza, la cosa importante è che sia un disco che ha senso perché ne sento pochi adesso che hanno senso. C’è una cultura del consenso per cui sento troppa gente che fa musica per il consenso, troppa gente che fa musica per i numeri e troppa gente che compone pensando a quanti numeri riuscirà ad ottenere. Sono pochi, invece, i dischi che hanno un contenuto indipendentemente dal consenso”.

“Non è sbagliato avere consenso – conclude – e non è sbagliato vendere i dischi, ma per fortuna c’è una nuova generazione di musicisti che sta ritornando a pensare prima di tutto ai contenuti. I numeri dovrebbero essere la conseguenza di qualcosa che ha senso. Quello che spero è che questo disco abbia un senso. Tutto qui. Poi ne farò un altro”.

Foto Hugo Weber da Ufficio Stampa MN