Dile ci racconta il suo ultimo singolo ‘Maledetti Noi’ e perché la musica sia in fondo un’arte libera, senza paletti.

Dopo l’uscita di Tra la testa e lo stomacoDile torna con il nuovo singolo Maledetti Noi, uscito venerdì 28 maggio per OSA Lab. Nella ballad che parte piano ed esplode nel ritornello, Dile racconta la difficoltà di capirsi anche per due persone che si amano.

Ciao Dile, iniziamo subito a parlare di Maledetti Noi. Raccontami questo brano.
Sto scrivendo molto poco rispetto ai miei canoni. Ho scritto da sempre e ho sempre avuto la mania di buttare fuori cose, anche da piccolo. Ultimamente credo sia impossibile trovare stimoli, anche perché per due anni siamo stati in stand by. Maledetti Noi è ispirato a una storia vera, la mia. Nasce da una litigata durata tutta la notte, una delle classiche liti in cui non pesi ciò che dici e un’ora dopo ti penti delle cose dette. Per fortuna o sfortuna, due giorni dopo la litigata al posto di chiedere scusa ho scritto il pezzo. Poi ho chiesto scusa, eh. Ma prima ho scritto il pezzo. Mi piace quando i pezzi vengono a trovarti. È un po’ la mia comfort zone.

Quando i brani nascono così però sono più spontanei, non credi?
Non è mai matematica. Tanti autori si siedono al pianoforte e scrivono tre pezzi. Io a volte lo faccio ma poi li butto perché non ci sento nulla di vero. I miei pezzi però, di contro, sono tutti tristi. Mi accorgo che ogni brano sono dieci pugni che ho preso.

Però raccontano una verità.
Sarà che i momenti di allegria mi piace viverli. Non mi viene da raccontarli a nessuno. Spero solo che durino più tempo possibile. La sfortuna dell’essere umano è che, se succedono le cose belle, non hai tempo di pensarci. Lo dico anche nel pezzo. Siamo esseri umani, niente di speciale. Siamo perfetti e imperfetti.

In questo brano direi che c’è una buona dose di malinconia e di rabbia.
Quelli sono i due motori che mi fanno scrivere. Sono le due cose che mi fanno fare ca*zate. La mia redenzione è proprio scrivere brani che mi fanno sentire lievemente meno in colpa.

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A questo proposito, torniamo un po’ ciò che hai scritto prima di Maledetti Noi.
L’album Rewind l’ho scritto nel 2019 e ho finito di scriverlo nel 2020. La pandemia mi ha segnato tantissimo. Oggi inizio a vedere le cose in maniera diversa, mi auguro migliore. Spero di esserne uscito sicuramente più saggio. In fondo, ciò che abbiamo è sempre legato a un filo. Vorrei che le cose brutte siano utili per diventare persone migliori. Come dico nel pezzo, so che non siamo speciali. Siamo enormi, ma non impariamo mai dagli errori.

Spesso ci diamo più importanza di ciò che abbiamo.
Se pensi che ho scritto un brano su una lite, capisci quanto gli esseri umani possano essere stupidi. Maledetti Noi è però un brano elastico che può riferirsi a più contesti. Odio spiegare i miei brani infatti. Puoi parlare di ciò che vuoi, ma sono le orecchie di chi ascolta che cambiano i pezzi. Alcune parole nel momento giusto possono cambiare e diventare tutt’altro. La musica è un’arma per abbracciare le persone. Mi ha colpito tantissimo in questo senso la storia di Michele Merlo, sono ancora frastornato.

Comprensibilissimo. Cosa ti ha sconvolto di più?
Il fatto che tutto ciò che è accaduto presto verrà scordato. La sensibilizzazione e lo spam non hanno mai l’effetto di dare una lezione. Vedo tanti artisti che lo conoscevano parlarne, ma fino a una settimana fa non gli avevano dato un briciolo di aiuto e sostegno. Io non lo conoscevo personalmente, eravamo competitor. Abbiamo lavorato con gli stessi produttori, finivamo sempre nelle stesse playlist. Odio la competizione nella musica e quindi sapevo che, come la mia, la sua era una battaglia costante. C’è sempre stata quindi una stima reciproca. Oggi le sue battaglie sono risultate vinte. Ma perché devi aspettare il momento in cui non puoi godertele? Tutte le porte che ha provato a sfondare si sono aperte dopo la sua morte. È ridicolo.

Concordo completamente.
Mi rendo conto di essere molto colpito da quanto accaduto mentre parlo.

Cambiamo argomento? Dimmi qualcosa sulla copertina.
Era un’idea che avevo da parecchio. Volevo rappresentare un momento di sconforto. Il letto bianco non ha confini perché lo spazio dove la tua mente può andare è infinito. Quante volte quando siamo giù di morale ci sentiamo piccoli? Volevo rappresentare questa completa malinconia in una cover semplicissima, con una ragazza stesa e allungata in uno spazio senza margini. Nelle mie cover gioco tantissimo con i miei trip e mi accorgo che spesso non vengono colti. Un po’ mi piace, devo confessarlo.

Però stavolta si capisce che è una persona persa nei suoi pensieri.
Lo chiamerei casino. C’è talmente tanta confusione che non meritava un recinto. Sulla cover di America, ad esempio, i nei della ragazza riproducono la forma dell’America. Non se ne è accorto nessuno e io non ho mai esternato questa cosa. Volevo nascondere una cosa mia dentro la copertina. Per farti capire come vivo la musica. La musica è una cosa tua prima di tutto.

A me la cover di America ricorda quella di Tra la testa e lo stomaco.
Lì c’è una storia strana. Avevo tante idee ma non abbiamo potuto realizzarle. Alla fine abbiamo optato per quell’immagine, giocando sull’ambiguità del contesto. Non mi piace mettere paletti, per me la musica è libera. Ogni persona deve farsi il proprio viaggio. Mi piace regalare un’opera completa a metà. E chi la ascolta può portarla a termine.

Ma alla fine la litigata com’è finita?
Mi hanno perdonato.

Menomale, nel brano si sente il peso di quei giorni.
Il senso di angoscia non passa neanche con il perdono. È la coscienza che brucia. Spero che la pandemia in questo mi abbia aiutato. Stavo vivendo un momento bellissimo, vivevo tra Milano e Roma. Mi sono ritrovato a casa con mia madre e le news sulle date che saltavano. Mi si è sgretolato tutto di fronte. Il trucco è provare a vivere sempre, in qualsiasi occasione. Ho fatto i conti con me stesso, ma ti assicuro che non ho mai fatto una pizza.