Emma Nolde ci racconta l’album di debutto ‘Toccaterra’, otto canzoni che nascono – come ci racconta – «da una necessità personale».

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Si intitola Toccaterra l’album di debutto di Emma Nolde (Woodworm/Polydor/Universal Music), disponibile sulle piattaforme digitali dal 4 settembre e anticipato dai singoli (male) e Nero Ardesia. Prodotto da Renato d’Amico e Andrea Pachetti, Toccaterra contiene otto canzoni scritte dalla giovane cantautrice toscana, una tracklist che lei stessa definisce composta da «sopravvissuti».

«Le canzoni sono nate in un periodo condensato e la scelta è sempre una conseguenza del processo di scrittura. – ci racconta Emma – Di solito scrivo e mi ci vuole tempo per chiudere una canzone. In quel lasso di tempo metto alla prova il brano, come se volessi assicurarmi che non sia un’infatuazione del momento. Se dopo un po’ mi rendo conto che la canzone ha perso qualcosa, per me non deve esistere. La scelta è stata quindi quella dei sopravvissuti».

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Andando in totale controtendenza rispetto probabilmente ai tempi e alle scelte discografiche, per Emma Nolde – di fatto – non sempre la condivisione è necessaria.

«A volte va bene anche che una canzone sia solo mia e non venga condivisa. – spiega – Mi sto rendendo conto che il processo di creazione di un brano è veramente lungo. Una canzone deve superare un sacco di intemperie. Se dopo un mese non sento più le stesse sensazioni rappresentate in un brano, ho paura al pensiero di condividerle. Come le relazioni tra le persone: se non funzionano è inutile insistere».

A dispetto dei suoi 19 anni, Emma dimostra in effetti una sorprendente maturità artistica e i suoi testi sembrano molto lontani dal raccontare la spensieratezza tipica della gioventù, per affrontare temi come l’accettazione della realtà o le conseguenze – buone e cattive – della solitudine.

«La penna è stata mossa dal fatto che non riuscivo a esprimermi in modo diretto con gli altri. – ci spiega la cantautrice – Quelle otto canzoni per me sono state come degli amici che mi hanno aiutato ad aprirmi. Abbiamo fatto un percorso insieme. Quando scrivi qualcosa, c’è sempre un momento in cui chi ti sta vicino ascolta quello che hai scritto e si aprono dei dialoghi. Il movente, per quanto banale, è stato la necessità di parlare».

Emma ci racconta poi di come un amore vissuto completamente in solitudine abbia spinto la penna sul foglio, ma anche di come le crepe siano alla fine necessarie per arrivare a una sorta di catarsi («Volevo diventare una sola cosa con la terra e, nello stesso tempo, rappresentare il percorso. Le crepe dimostrano che non sono arrivata qui illesa, ma che ora posso essere esposta alla luce»).

I testi sono indubbiamente impreziositi dagli arrangiamenti a cui hanno lavorato Renato d’Amico e Andrea Pachetti, la cui forza – secondo Emma – è stata quella di «cercare elementi complementari a un ambiente musicale già piuttosto saturo. Volevamo realizzare cose belle, ma anche dare un occhio alla fruibilità».

È difficile non innamorarsi di Toccaterra e di tutte le sue sfumature, non ritrovarsi tra le ‘crepe’ di cui ci parla Emma Nolde o nello stesso percorso cupo di guarigione («Sì, mi è sempre piaciuto il cupo» confessa). Eppure, Toccaterra non è e non vuole essere un manifesto. Probabilmente, il segreto del suo fascino è proprio questo.

«Per me non è un album – conclude la cantautrice – è una collezione di canzoni appartenenti allo stesso periodo, ma che non nascono dall’idea di un progetto. Nascono da una necessità personale».