Dal 3 luglio è disponibile ‘Ho fatto tardi’, nuovo album di Jack The Smoker a quattro anni dal precedente progetto. La nostra intervista.

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Nei quattro anni che separano ‘Jack uccide’ dal nuovo album ‘Ho fatto tardi’, Jack The Smoker non è certo rimasto con le mani in mano. Nella famiglia Machete ha lavorato con Dani Faiv lanciando sulla scena musica discografica il giovanissimo talento e partecipando al fortunato Mixtape del 2019 ma anche cercando di mettere a punto, attraverso il suo personale linguaggio, uno sguardo artistico non banale sul presente.

Ed è da questo punto d’osservazione che il rapper di gira indietro, cantando con le sue rime secche e dirette gli anni della giovinezza in periferia, lontano dall’”ombelico del mondo” ma pur sempre all’ombra della metropoli. Da lì, la città svelta tutte le sue illusioni e superficialità fatte di paillettes, lustrini e scatti sulle bacheche social. Un paesaggio che Jack The Smoker tratteggia nettamente con l’orgoglio di chi può mantenere un piede al di fuori.

Partiamo riannodando il filo della tua carriera in questi mesi?

Sono quattro anni dal disco precedente. Dopo l’ultimo lavoro, per un attimo, mi sono staccato dall’essere autore in prima persona. Mi sono lanciato come direttore artistico del primo disco di Dani Faiv e, tra mixtape e collaborazioni, non riuscivo a focalizzare bene sul disco la cui gestazione vera e propria è iniziata un po’ più di un anno fa.

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Quello che emerge come quadro generale è un racconto in cui la componente del ricordo ha ampio spazio: la vita di periferia da una parte e le luci (quelle in stile Fashion Week). Come si guardano questi due mondi?

Sicuramente questi due momenti sono l’indirizzo principale dell’album anche se non era la mia idea iniziale. Sono un ragazzo di provincia e ho sempre avuto quella coscienza a provinciale che ci faceva sentire degli outsider. Il concetto di “essere alla moda” non ci piaceva, al contrario volevamo essere mosche bianche. Ovviamente poi ho avuto a che fare con la Milano del business, delle relazioni sociali, della discografia e dei colleghi. Ma per mantenere la mia specificità ho fatto un passo indietro riprendendo quella coscienza originaria dopo essermene distaccato.

Verso il centro città ho sempre avuto un rapporto di amore e odio basato pur sempre sulla conoscenza, essendo vissuto vicino a Milano.

C’è poi, mi pare, un concetto che riassume i temi del disco, quello della libertà. Ti senti libero?

Diciamo che la libertà come assenza di particolari incombenze è legata alla gioventù. Oggi, come tutti, vivo di incombenze e responsabilità mentre la giovinezza è stata l’età dell’assenza di questi sbattimenti e di vincoli. Questo fa parte di un momento che ricordo con felicità e non con nostalgia. Poi, adesso ci sono i social… sono un occhio costante sui tuoi movimenti: è come se dovessi sempre rendere un feedback. Anche per questo motivo, ho cercato di fare un passo indietro per prendermi la maggiore libertà possibile; poi, certo, ti confronti ogni giorno con le dinamiche del mercato e tutto quello che ne consegue.

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L’album contiene diverse collaborazioni, come hai coinvolto i vari artisti?

Ho cercato di seguire come stella polare il fatto di lavorare con persone che facessero rap, quello che mi piace è confrontarmi con chi si muove nel mio stesso campo. Sembra una frase fatta, che dicono tutti, ma ho coinvolto artisti che sono amici anzi l’unico che non conoscevo molto prima era Izi. Ci siamo incontrati e ho passato del tempo insieme a lui in studio per capirlo meglio.

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Come hai ricordato anche tu in questi anni hai lavorato come talent scout: come vedi la generazione di artisti rap di oggi rispetto ai tuoi esordi?

Non penso sia del tutto giusto puntare il dito perché ogni generazione tende a non capire completamente le altre. Per questo penso sia normale che ci sia una volontà di rottura. Ma credo che oggi il rap si fa molto per omologazione più che per differenziazione; c’è meno urgenza comunicativa ma più desiderio di farsi notare per l’outfit e la moda. Noi al confronto eravamo brutti e malvestiti ma il rap ci dava forze di esserlo, eravamo orgogliosamente diversi. Ora, con globalizzazione anche dei costumi, un ragazzino del Perù si veste come uno di Milano.

Ci sono tanti talenti oggigiorno, ma pochi sono quelli che hanno da raccontare qualcosa di non standardizzato. E la qualità alla fine viene sempre premiata.

Capitolo talent. Quest’anno la famiglia Machete mette un piede in tv con Hell Raton in giuria a X Factor: come vede questa scelta Jack The Smoker?

Non seguo molto i talent, te lo dico, ma penso sia un po’ un cavallo di Troia per entrare in un ambiente che per molto tempo non ci considerava credibili. Anzi, eravamo ritenuti grezzi perché non siamo patinati. Il fatto che Hell Raton sia stato preso è stata una sorpresa per me, l’ho saputo circa una settimana prima. Lui è molto spigliato, credo che sarà interessante. Chissà, magari è l’occasione per guardare una puntata…

Si poteva, credo, pensare a una formula diversa per far ripartire tutto un sistema legato agli spettacoli dal vivo che crea coinvolgimento e soprattutto lavoro.

Intanto abbiamo davanti una stagione estiva povera di musica live: che estate ti prepari a vivere?

Sarà un’estate di m***a! Quando fai un disco cosa c’è di meglio che vedere il feedback negli occhi di chi viene a sentirti sotto un palco? È frustrante, sicuramente, poi speriamo che riapra tutto presto. Presumo che a ottobre si possa fare qualcosa… Non mi fa impazzire avere sul palco una live band a meno che non riesca a replicare esattamente il sound del disco. Di certo, però, nei miei prossimi concerti vorrei avere visual particolari e grafiche ad effetto.

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Foto di Roberto Graziano Moro da Ufficio Stampa Valentina Aiuto