Cantano il sentimento umano come propensione all’amore distratta da contenuti negativi: i Siberia ci presentano il nuovo album ‚Tutti amiamo senza fine‘. La nostra intervista.

I livornesi Siberia sono tornati con Tutti amiamo senza fine, terzo album della carriera anticipato negli ultimi mesi da tre singoli (Ian Curtis , Non riesco a respirare e Mon Amour). Undici le tracce contenute nel progetto, targato Sugar in collaborazione con Maciste Dischi, attraverso le quali la band distribuisce pillole riflessive sull’amore.

E c’è quello più onirico, quello sensuale, quello religioso: il sentimento che i Siberia cantano vuole andare oltre la superficialitàper riacquisire una dignità che spesso viene trascurata. E così l’amore diventa una tensione umana che sfocia in un tempo infinito, una propensione congenita nell’essere singolo che divenuto sociale rischia di sviarsi nell’odio.

Amore e morte, come nei più antichi binomi, si rincorre in questo progetto che diventerà, a febbraio 2020, un tour nei club con appuntamenti da nord a sud della penisola. Ma lasciamo la parola ai Siberia, con i quali abbiamo voluto approfondire le ragioni di Tutti amiamo senza fine.

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Album numero tre per i Siberia: il 29 novembre è uscito Tutti amano senza fine. Questo titolo è una constatazione o un auspicio?

Ti rispondo senza esitazione: la prima delle due. Troviamo che l’amore sia il sentimento più naturale dell’essere umano, che cerca senza esitazione il bene per tutta la sua vita. Il problema è che spesso individua il bene in desideri per lui patologici o negativi tout court. Così, l’amore di cui parliamo è la tensione naturale verso il sentimento, l’affezione, l’altro; ma questa spinta può anche rivestirsi di contenuti negativi, come cerchiamo di spiegare nell’album.

Il brano che dà nome al nuovo progetto dei Siberia è anche quello che apre la tracklist del disco: in che misura ne rappresenta il manifesto, quasi la carta d’identità?

Ne rappresenta, se vogliamo, la “legenda”: devi leggere tutte le altre canzoni alla luce di questa premessa. La lotta fra Eros e Thanatos, il desiderio di fuggire la solitudine, la potenziale problematicità di Eros stesso. Tutte queste tracce sono da rintracciare poi in maniera più diffusa nei vari brani che compongono l’album. Proprio per questo, nonostante sia un brano piuttosto “pesante” per la media del disco, abbiamo scelto di porlo in apertura.

Dalla fuga di Si vuole scappare alla resistenza dell’amore in Tutti amano senza fine: che cosa vi ha fatto maturare questa evoluzione concettuale sulla natura umana?

Abbiamo passato molto tempo insieme, proprio nel tour di Si vuole scappare. Fra noi, a stretto contatto, con i professionisti che ci seguono, il nostro pubblico piccolo ma “rumoroso”. Ci è venuto spontaneo vivere una sorta di seconda adolescenza, rendendoci conto di quanto fosse centrale l’amore nelle nostre vite. Per questo è un disco corale, fortissimamente. Chi ha scritto voleva parlare di sé ma anche dare voce ai propri compagni e ai propri coetanei.

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E passando dal testo alla musica: come avete lavorato sui suoni di questo album anche in confronto con i vostri precedenti dischi?

Si è trattato, anche in questo caso, di un lavoro molto più collettivo. Se nei precedenti lavori la mano del produttore è intervenuta in un momento antecedente, in questo caso gran parte di ciò che poi si è conservato fino alla versione finale dei pezzi viene da noi. Dobbiamo dar credito anche a Federico Nardelli, appunto produttore artistico del disco, della grande fiducia che ci ha accordato.

L’amore è un tema che rischia di far scivolare nel luogo comune e nel “già sentito”, nel banale insomma. In che modo i Siberia sono riusciti a sottrarsi a certi cliché che anche la musica ci fa ascoltare?

Abbiamo cercato di cantarne anche gli aspetti di cui ci vergognavamo: la meschinità, la superficialità delle relazioni al tempo dei social ad esempio, l’essere bombardati da impulsi non richiesti (Carnevale), la devastante consapevolezza di essere accecati da un desiderio non del tutto ricambiato (Peccato), persino la violenza verso il partner (Tutti amiamo senza fine).

Abbiamo dovuto rivestire di problematicità questo sentimento, anche se non mancano i momenti più lirici, come ad esempio Non riesco a respirare.

Nelle note di presentazione di Tutti amiamo senza fine si legge che “è un disco necessario”: perché?

Perché abbiamo sentito immediatamente la necessità di “reagire”, dopo l’esperienza di Si vuole scappare: un disco che amiamo ma che narrava solo una parte di noi, quella riflessiva, adulta, per certi versi cupa. Volevamo che emergesse anche la nostra giovinezza, il nostro sentire sulle cose più comuni e quotidiane della nostra vita di venticinquenni; e volevamo che venisse fuori anche il nostro animo più giocoso, pop, diretto. Volevamo parlare davvero ai nostri coetanei.

La vostra band è nata a Livorno solo cinque anni fa: che rapporto avete con la vostra città?

Abbiamo avuto la fortuna di essere notati da Maciste Dischi quando ancora eravamo un gruppo di ragazzi che si trovavano in sala prove senza grande idea di come fare per “farcela” nel mondo della musica, tutti ancora studenti universitari. Aver avuto un’etichetta milanese fin da subito ci ha in qualche modo impedito di far parte a pieno titolo della scena locale, perché comunque molto meno di altre band livornesi abbiamo avuto a che fare con professionisti e colleghi labronici. Ciò nonostante troviamo che la città trovi molto spazio nella nostra musica, soprattutto nel suo essere una città di mare. L’acqua è presente in molte delle nostre metafore, quando l’elemento marino non è citato direttamente come protagonista, come capita in una delle nostre canzoni fin qui più conosciute (Mare, appunto).

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E rimanendo in Toscana, a giugno 2018 avete suonato sul palco del Firenze Rocks come opening act dei The Cure: ripensandoci oggi, che esperienza è stata?

È stato uno dei giorni più belli delle nostre vite, nonché l’ideale chiusura di un cerchio. Abbiamo iniziato con la new wave ed il post punk, poter suonare tra le altre una cover dei Joy Division (Disorder) di fronte al pubblico di Editors e The Cure è stata una sorta di catarsi di tutti i nostri sogni adolescenziali; ed al tempo stesso, è stato come liberatorio, per dare il via alla fase successiva della nostra carriera, più scevra da queste influenze.

Di fatto con questo disco entrate ufficialmente nella famiglia Sugar, continuando al contempo la collaborazione con Maciste Dischi. Vi considerate una band indipendente, o meglio che cosa significa per i Siberia essere indie?

Ci consideriamo una band che ambisce a fare del sano pop, nel senso più nobile di questo termine, cioè musica appetibile per tutti. Sul lato artistico sia Sugar che Maciste ci hanno sempre lasciato molto liberi di scegliere la direzione da prendere, quindi non abbiamo avvertito uno scarto; oggi poi la parola indie designa molto più un genere, con i suoi canoni precisi, che un modo di porsi nei confronti della discografia.

Non sappiamo quanto definirci “indie”: sicuramente abbiamo alcuni punti di contatto con il pubblico di questo tipo di musica, ma non sentiamo di rientrare in pieno negli stilemi del genere.

Infine avete in programma date live per presentare il disco?

Cominceremo da Livorno il 15 febbraio per poi toccare Milano (19 febbraio, Ohibò), Roma (22 febbraio, Monk) e molte altre città, sempre nei club, la nostra dimensione ideale. Il calendario è in continuo aggiornamento dunque vi invitiamo a dare uno sguardo ai nostri profili social.