Il 10 maggio esce Transiberiana, il nuovo album di inediti del Banco del Mutuo Soccorso. Qui la nostra intervista a Vittorio Nocenzi.

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Il 10 maggio esce Transiberiana, il nuovo album di inediti del Banco del Mutuo Soccorso. L’ultimo disco di inediti, Il 13, risale al 1994, per cui questo nuovo progetto ha il sapore di un ritorno, ma ancor più di un vero e proprio manifesto del prog italiano, in un’epoca in cui la musica va spesso verso altre direzioni e altre sonorità. Orfana di Rodolfo Maltese e Francesco Di Giacomo, la band ha dovuto rinnovarsi sia nella formazione – al basso ora c’è Marco Capozi, alla batteria Fabio Moresco e alla voce Tony D’Alessio – sia nel processo creativo, che ha visto coinvolti Paolo Logli nella scrittura dei testi e Michelangelo Nocenzi, figlio di Vittorio, nelle composizioni.

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Eppure, Transiberiana non snatura l’anima del Banco, anzi ne esalta con forza la peculiarità e la grandezza, raccontando un viaggio fisico e metaforico nelle lande desolate della Siberia, che diventano il riflesso dell’aridità del vivere contemporaneo e di ciò che inevitabilmente va fatto per ripopolarlo.

“Sono convinto che Transiberiana toccherà l’emotività di molte persone – commenta Vittorio Nocenzi ai nostri microfoni – perché è un disco vero, che ha messo nella visceralità il proprio baricentro. Credo che le persone oggi abbiano bisogno di messaggi viscerali. Non rivolgendosi agli istinti della pancia, ma rivolgendosi al loro cuore e alle loro speranze, al bisogno di vedere la prospettiva con un bel po’ di luce. Questo accade solo se mettiamo gli ideali come punto di prospettiva, e non i soldi”.

“Incontrare il mio alter ego musicale nel mio terzo figlio è stato un imprevisto inatteso – continua poi Vittorio parlando di Michelangelo – è stata una cosa buffa. Io ho sempre scritto musica da solo, poi la portavo alla band e si arricchiva con i contenuti degli altri. Ora scrivere le composizioni con mio figlio è stato un dono del destino che mi ha dato tanto slancio in più. Sentivo da subito che non avrei avuto il suo stesso approccio, perché sono più maturo e meno disposto a meravigliarmi“.

“Devo essere sincero – conclude poi Vittorio – la perdita di questi due compagni non l’ho digerita e sono parecchio incavolato. Sentivo il bisogno delle chitarre elettriche per esprimere questa rabbia e infatti non ho mai adoperato così tante chitarre in un album. Già questo dà al disco un suono diverso, più contemporaneo. Se c’è il sentimento e un motivo nel testo cantato per giustificare quello che fai, va tutto bene perché c’è ispirazione”.