Il mondo del giornalismo, le antologie cinematografiche italiane e il bianco e nero: Wes Anderson racconta ‘The French Dispatch’.

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Arriverà nelle sale l’11 novembre The French Dispatch, il nuovo film del regista candidato all’Oscar Wes Anderson. La pellicola parla di giornalismo in senso lato, dando vita a una raccolta di articoli tratti dal numero finale di una rivista americana pubblicata in una città francese immaginaria del Ventesimo secolo. Se nella mente e nella rappresentazione di Wes Anderson il contesto è puramente di fantasia, l’ispirazione iniziale nasce dalla passione del regista per il The New Yorker.

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«Ho sempre amato il The New Yorker magazine. – dice subito Anderson – È stato scritto tanto sul giornale e, studiando, ho imparato come è stato fatto dalle persone, come vivevano i redattori. Sono rimasto affascinato dalla storia del giornale e dai suoi scrittori, ma ciò che mi ha avvicinato a questa realtà sono state le storie brevi che di solito si trovavano all’inizio del magazine. Anche se ora non ci sono più. Il film parla di giornalismo, ma in realtà è fiction. Una combinazione strana, non è giornalismo anche se sembra».

Cast e location

Dopo questa opportuna precisazione iniziale, Wes Anderson racconta la realizzazione effettiva della pellicola, dal cast alla location. Il film è interpretato da Benicio del Toro, Adrien Brody, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Frances McDormand, Timothée Chalamet, Lyna Khoudri, Jeffrey Wright, Mathieu Amalric, Stephen Park, Bill Murray e Owen Wilson. Un cast ricchissimo, che per un po’ di tempo si è fermato in un ameno set francese.

«Volevo fare un film francese con un cast francese. – dice infatti il regista – Avevo proprio in mente attori francesi specifici. Abbiamo girato tutta la Francia, di città in città. Cercavamo una vera città che avesse una storia, ma che non fosse molto grande e molto caotica. L’idea era di vivere insieme lì, e ho trovato Angoulême che era perfetta. È una sorta di città old fashioned, somiglia già a un vecchio set cinematografico. Ci sono angoli nascosti che erano perfetti per la nostra storia. Ma abbiamo creato anche dei set, ci hanno dato le location di cui avevamo bisogno e più di 1000 persone che compaiono nel film».

Wes Anderson

Wes Anderson: «The French Dispatch non è un omaggio»

La sceneggiatura di The French Dispatch è firmata da Wes Anderson a partire da un soggetto di Anderson & Roman Coppola & Hugo Guinness & Jason Schwartzman. In molti lo hanno definito una lettera d’amore nei confronti del giornalismo, ma Wes Anderson preferisce la cautela.

«Non l’ho mai definito una lettera d’amore al giornalismo, gli altri lo hanno interpretato così. – chiarisce il regista – Alla fine del film, sullo schermo, scorre una lista di scrittori che sono stati di ispirazione al film. Non volevo fare omaggi o esprimere ammirazione. Sono sentimenti che provo ovviamente, ma è evidente che ho un debito nei loro confronti. Quindi, per evitare accuse di plagio, ho voluto rendere evidente la fonte dell’ispirazione. Ho rubato banalmente qua e là e ho riconosciuto l’origine del materiale necessario a rendere migliore il mio film».

Il rapporto di Wes Anderson con il giornalismo è, comunque – precisa Wes – «una straordinaria tradizione a cui sono molto legato».

«Ogni giorno compro e leggo un quotidiano, ma questo film si concentra più su quel tipo di giornalismo che sta un po’ scomparendo. Ho creato un’esperienza su un argomento di mio interesse. Uso ciò che imparo creando delle storie».

Wes Anderson

Giornalismo e fake news

Cosa pensa, quindi, Wes Anderson del giornalismo odierno?

«Sappiamo che c’è una lunga tradizione di giornalismo, di editori e direttori di testate che volevano creare false notizie per vendere meglio. – risponde – Non c’è nulla di nuovo. La mia storia piuttosto cerca di evidenziare il ruolo di un direttore che è impegnato ad assicurarsi che la pubblicazione rappresenti la realtà. Che fa rispettare le norme del lavoro e mette insieme un numero di giornalisti per creare un senso di appartenenza ad una squadra. Sappiamo bene che oggi, quando escono le notizie, le informazioni vengono comunicate senza forma di mediazione. Significa che è possibile che ci siano notizie senza fondamento, che ci sia disinformazione. Questo perché non esiste più una figura intermedia che possa mediare o distorcere. È la realtà odierna, una volta non era così. Io preferisco il passato, ovviamente».

Il bianco e nero

The French Dispatch

E, infine, Wes Anderson parla della scelta stilistica del bianco e nero e dell’abbandono – se così si può chiamare – dei suoi immaginari spassionatamente colorati.

«In realtà il mio primo lavoro, un cortometraggio, era stato girato in bianco e nero. – ci rivela – Poco tempo fa ho parlato di questo argomento con un regista che usa il bianco e nero in diversi formati. Abbiamo parlato del colore, della forma dello schermo da usare. Lui mi ha detto che fosse per lui userebbe sempre il formato quadrato e il bianco e nero, perché ritiene che semplifichi l’immagine. La sua idea è che sia una garanzia di bellezza, perché il mezzo stesso lo è. Io tendo a cambiare sia il colore che il formato a seconda delle mie esigenze. Ma capisco la sua posizione. La scena di The French Dispatch con Benicio e Léa Seydoux era evidentemente destinata al bianco e nero. In altri casi ho optato per il colore. Questo mi porta a riflettere sull’uso della luce. Ci sono compiti particolari legati all’utilizzo del colore. Ad esempio, un oggetto su un particolare sfondo non risalta abbastanza bene e bisogna intervenire. Per me è stata una gioia usare tutte queste tecniche».

«The French Dispatch è un film francese – conclude poi il regista – ma l’ispirazione è italiana. Penso a L’oro di Napoli. Volevo fare un film simile che raccogliesse storie diverse. È una tradizione tipicamente italiana, una forma di antologia che ritroviamo anche in Fellini o Visconti».