In ‘Vicious’, Dakota Fanning affronta la paura come introspezione: l’horror di Bryan Bertino diventa un viaggio psicologico dentro se stessi.
Dopo il debutto con The Strangers (2008) e i successivi Mockingbird – In diretta dall’inferno (2014), The Monster (2016) e The Dark and the Wicked (2020), Bryan Bertino torna con un nuovo horror interpretato da Dakota Fanning: Vicious. Disponibile su Paramount+ dal 10 ottobre, in italiano il film vanta il sottotitolo I Tre Doni del Male, che già anticipa – sommariamente – la trama ideata da Bertino.
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Dakota Fanning interpreta infatti Polly, una giovane donna che vive da sola in una casa fin troppo grande. È una donna come tante: sfortunatissima in amore e nel lavoro, tra una telefonata alla sorella, una alla madre e l’amore per la nipote, sembra affrontare la scelta (o il caso) di una vita solitaria. Finché alla sua porta non bussa un’anziana signora solo apparentemente cordiale. Sarà infatti lei a lasciare a Polly una misteriosa scatola con un rituale inquietante da compiere: inserire al suo interno qualcosa di cui ha bisogno, qualcosa che odia e qualcosa che ama. Per Dakota Fanning, più di ogni altra cosa, Vicious ha rappresentato dunque in primis l’opportunità di esplorare nuove sfumature e un nuovo genere.

«Ho sentito che era qualcosa che non avevo mai fatto prima. Non avevo mai affrontato un progetto del genere: un puro film horror. – dice ai nostri microfoni – Ero entusiasta di esplorare quel genere. Ero già fan di Bryan Bertino e, dopo averlo incontrato e conosciuto meglio, ho capito che sarebbe stata un’esperienza speciale. Questo film è stato estremamente collaborativo, tra noi e tutta la troupe. La vera sfida, però, è stata essere da sola per gran parte delle riprese, in qualche modo recitare con me stessa. Ero un po’ nervosa per questo, ma allo stesso tempo mi sono detta: perché no?».
Recitare da soli: la sfida di Dakota Fanning in Vicious
Scritto e diretto da Bryan Bertino (e prodotto da Richard Suckle p.g.a. e Bryan Bertino, con i produttori esecutivi Melinda Whitaker e Shane Boucher), Vicious gioca proprio su un’estetica fondamentalmente semplice e psicologica, con pochi effetti speciali e momenti di suspence. La Fanning si muove in poche ambientazioni, ma tutte ugualmente asfissianti: la grande casa vuota, la strada buia, il riflesso dello specchio, le pareti di un armadio.

Sebbene non manchino altri personaggi (interpretati da Kathryn Hunter, Mary McCormack, Rachel Blanchard, Devyn Nekoda, Klea Scott ed Emily Mitchell), Dakota Fanning interagisce per quasi tutto il film con spazi nascosti e oscuri e – nei momenti più tesi – con i propri riflessi. «È stato sicuramente impegnativo. – ci spiega – Come attore ti affidi molto agli altri con cui stai lavorando, a quella chimica e a quel senso di cameratismo che si crea sul set. Qui non avevo quell’elemento. Ma credo che la crew abbia preso un po’ il posto degli altri attori: il direttore della fotografia, Tristan, Bryan… tutti quelli che erano lì con me. In qualche modo sono diventati il mio vero sistema di supporto. Mi sono affidata tantissimo a loro. È stato diverso, ma anche una grande esperienza di apprendimento. Sicuramente una nuova sfida».
La battaglia con se stessi: quando l’horror diventa introspezione
Tutto ciò si traduce in quello che risulta essere un film horror vecchio stile, dove a spaventare non sono tanto creature mostruose e esseri soprannaturali, ma la loro ombra e la stessa idea che esistano. Nel set isolato e immerso nel silenzio costruito da Bertino, la solitudine diventa linguaggio, e la macchina da presa — guidata dal direttore della fotografia Tristan Nyby — si trasforma in un occhio che non osserva solo la paura, ma il pensiero. L’immaginario di Vicious è dunque quello del nuovo horror introspettivo: uno spazio in cui l’oscurità è specchio. La scatola – effettiva protagonista del film – in fondo rivela a Polly solo le sue paure più recondite: non è così semplice stabilire con assoluta verità ciò che amiamo, ciò che odiamo e ciò di cui abbiamo bisogno. È un viaggio dentro se stessi, dentro i propri traumi.

«Penso che, per quanto Vicious sia un film spaventoso e un horror a tutti gli effetti, il suo tema centrale riguardi una giovane donna alle prese con una battaglia psicologica con se stessa. – dice infatti la Fanning – Le cose che pensiamo e diciamo a noi stessi, spesso, sono le più malvagie e spaventose. Questo film esplora proprio quell’aspetto. Immergersi in se stessi, a volte, è la cosa più spaventosa che si possa fare».
Donne sole, ma non isolate: la solidarietà al centro di Vicious
C’è un aspetto, inoltre, che emerge in Vicious con prepotenza ed è quello della rappresentazione femminile: donne sole, ma non isolate. Nella sua discesa interiore, Polly chiede aiuto a vicine di casa, alla sorella, alla madre. Una scelta precisa di Bertino che – al Daily Dead – ha dichiarato di aver pensato molto, scrivendo il film, «alle donne che ho conosciuto quando avevo 30 anni, alle loro lotte, ai loro tentativi di capirci qualcosa. Alcune avevano più risposte, ma erano tutte per lo più perse, come me». Nell’intento del regista, il film è diventato dunque anche tramite per rappresentare «le relazioni malsane con se stessi, con il proprio lavoro, con la salute, con gli amanti: questa scatola è la relazione più malsana di tutte, perché danneggiamo spesso prima di tutto noi stessi».

Non vale per Dakota, ovviamente, che – in merito all’argomento – ci ricorda che tutta la sua famiglia «è composta da donne, e sarei persa senza di loro». «Penso che sia importante – conclude – mostrare anche nel cinema horror che possiamo sostenerci a vicenda, anche nei momenti più bui».