Scavi, cultura e dialogo: Enrico Ascalone racconta il volto umano e politico dell’archeologia tra Iran, passato e presente
n un’epoca in cui i confini sembrano tornare a farsi muri, l’archeologia si rivela ancora uno strumento di dialogo tra le civiltà. A testimoniarlo è il lavoro di Enrico Ascalone, archeologo e Professore di “Archeologia e Storia dell’Arte del Vicino Oriente Antico” presso l’Università del Salento, che da anni guida missioni di ricerca in Iran, come quella sul sito di Shahr-i Sokhta un insediamento millenario situato nel Sistan iraniano.
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Diplomazia culturale: tra vincoli e complessità
Ascalone ha condiviso la sua esperienza nel corso di un’appassionata conversazione per Incontri, il podcast del nostro magazine dedicato alle voci che modellano la cultura contemporanea.
«Siamo archeologi, ma svolgiamo attività all’estero in aree in cui la situazione politica internazionale è a volte molto complessa. Sebbene ci muoviamo all’interno di linee programmatiche sia del Paese che ci ospita, sia del nostro, si possono incontrare difficoltà a diversi livelli: da quelli di più alti, politici, a quelli più quotidiani, come i pagamenti dei contratti agli operai con cui lavoriamo in loco.»
Sono situazioni complesse, in cui bisogna sapersi muovere con diplomazia, in linea con le direttive del Paese ospitante e di quello che finanzia le missioni.
Non si tratta solo di “scavare” il passato. Si tratta di costruire relazioni, fiducia, rispetto. E in questo, spiega Ascalone, l’archeologia è uno straordinario strumento di diplomazia culturale:
«Attraverso il nostro lavoro manteniamo aperti canali che sarebbero difficili da tenere vivi a livelli politici più alti».
Progetti come quelli sostenuti dal Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale o dalla Fondazione Ligabue, diventano così non solo missioni scientifiche ma anche pratiche di dialogo tra civiltà.
Shahr-i Sokhta: una comunità attorno allo scavo
Il sito di Shahr-i Sokhta, che coinvolge Università del Salento e l’Iranian Center for Archaeological Research, non è solo un campo di scavo, ma un luogo di scambio quotidiano con le comunità locali.
«Coinvolgiamo sempre gli operai dello scavo, spieghiamo loro il valore del sito: è fondamentale che percepiscano questo patrimonio come parte di sé».
Questo approccio, lontano da logiche neocolonialiste, ha permesso di creare un tessuto di amicizia e collaborazione che resiste anche alle sospensioni temporanee delle attività sul campo.
L’archeologia come riflessione sul presente
L’archeologia non è solo studio del passato ma anche una riflessione sul presente:
«Le domande che ci poniamo sui reperti – racconta Ascalone – sono figlie del nostro tempo, del nostro percorso personale. L’archeologia non è mai neutra. A volte la ricostruzione storica del passato passa anche, per quanto possa sembrare riduttivo, attraverso gli aspetti soggettivi di chi indaga quel sito. Una vera oggettivizzazione del dato archeologico non può esistere. Necessariamente, l’archeologo interroga il dato attraverso gli strumenti che ha acquisito nel suo percorso di crescita, di studio, ma anche umano. E quindi, una domanda a cui io posso rispondere in un modo, un mio collega può farlo in un altro. Proprio per questo è una domanda affascinante, perché impone necessariamente delle risposte aperte.»
L’uso politico dell’archeologia: tra propaganda e identità
Ma l’archeologia non ha solo a che fare con il passato. Viene spesso interrogata per il presente e per il futuro.
«L’archeologia da sempre è stato strumento di analisi del presente e del futuro; ma più che strumento di analisi, direi di manipolazione. È inutile ricordare come i nazionalismi del XX secolo abbiano utilizzato l’archeologia per fini impropri, per creare archetipi culturali che potessero legittimare azioni governative. Durante il ventennio fascista, il richiamo all’epoca augustea fu una chiara matrice per legare un periodo storico importante della storia del Mediterraneo all’esperienza politica del fascismo in Italia. Ma la creazione di archetipi archeologici, culturali e storici è tipica di tutti i governi.
In passato, gli scià di Persia si ricordavano successori delle dinastie achemenidi. Saddam Hussein si definiva erede delle dinastie babilonesi e si legava a Nabucodonosor II. Augusto stesso commissionò a Virgilio l’Eneide proprio per creare quell’archetipo storico e culturale cui Roma doveva rifarsi.
Gli esempi di come l’archeologia sia stata manipolata per legittimare il presente sono tantissimi.»
Il pericolo dell’oblio: guerre, traffici e responsabilità
A rendere più urgente il lavoro degli archeologi, sono poi le minacce ai siti storici: guerre, saccheggi, traffico illecito di reperti.
«Un oggetto fuori contesto perde il suo valore: è la storia che va salvata, non solo la forma.»
La responsabilità della comunità scientifica: non può più restare in silenzio.
«La comunità accademica deve collaborare, sviluppare un rapporto di solidarietà con i nostri colleghi degli altri Paesi, per avere una visione comune e congiunta della salvaguardia del bene culturale.
Non solo: deve impegnarsi necessariamente a prendere posizioni, anche quando sembrare difficili. Non è più il tempo di vivere in una torre d’avorio. Bisogna impegnarsi, promuovere mozioni, farle passare attraverso tutti gli organi collegiali che sono rappresentativi di un Ateneo: dal collegio dei docenti, a un consiglio di dipartimento, fino al Senato accademico.
Sono tutti luoghi dove si può manifestare dissenso, si può esprimere preoccupazione verso quanto sta capitando in un Paese e al suo patrimonio culturale.
Mi auguro che all’interno delle comunità accademiche ci sia una sempre maggiore sensibilizzazione, non tanto verso il bene culturale, ma verso la necessità di impegnarsi concretamente. Una presa di posizione oggi è necessaria e non può essere più rimandata.»
Nuove rotte della ricerca: tra Iran e Uzbekistan
Nonostante al momento non sia possibile recarsi nei siti situati in aree particolarmente complesse dal punto di vista geopolitico, Enrico Ascalone guarda al futuro con positività e fiducia.
«Spero di tornare sul campo a novembre. Il nostro sogno non si è mai fermato»
Oltre ai siti in Iran – dove ad aprile sono stati firmati nuovi accordi con nuove università – Ascalone è referente scientifico di altri 14 accordi in Uzbekistan.
«Abbiamo una nuova concessione di scavo nel sito di Djarkutan, insieme all’Università di Termez: uno scavo congiunto, una progettualità che mira a restituire e ricostruire le dinamiche di sviluppo e di inviluppo delle società complesse dell’Oxus (l’attuale Amu Darya), ricordato anche negli scritti di Erodoto.
Abbiamo molto da fare. Mi auguro naturalmente di lavorare nuovamente in Iran a novembre-dicembre, ma abbiamo anche le campagne di settembre-ottobre in Uzbekistan, a Djarkutan. In qualche modo, anche da un punto di vista storico, questi due contesti sono legati: la civiltà del l’Oxsos, quella di Shahr-i Sokhta e quella di Jiroft, intorno al terzo millennio a.C., interagirono tra loro e vissero percorsi di crescita simili, per poi collassare improvvisamente tutte e tre nello stesso periodo.»
Un sogno che, tra passato e futuro, continua a parlarci del presente. E dimostra come l’archeologia sia – ancora – una forma concreta di speranza.
Foto@ph. MAIPS