Il Museo Stibbert di Firenze apre le sue sale a una nuova idea di cura. In un luogo dove storia, collezioni rare e atmosfere scenografiche dialogano con il visitatore, prende forma un progetto di Museoterapia dedicato alle persone affette da sindrome fibromialgica, condizione cronica che provoca dolore diffuso, fatica costante, disturbi del sonno e forte impatto sulla qualità della vita. L’iniziativa nasce dall’Associazione Culturale Mosaika, con la direzione scientifica del museologo e docente universitario Maurizio Vanni e della reumatologa Daniela Melchiorre. E rappresenta uno dei più avanzati esempi di welfare culturale applicato alla salute.
Il percorso non è pensato come semplice visita, ma come esperienza immersiva. Le sedute alternano yoga, tecniche di rilassamento e narrazione terapeutica, lasciando che le opere del museo agiscano da stimolo emotivo. Il contatto diretto con gli oggetti d’arte, osservati con lentezza e consapevolezza, diventa il punto di partenza per riflettere, respirare e ristabilire un equilibrio interno. È un approccio che non sostituisce la medicina tradizionale, ma ne amplia le possibilità, offrendo uno spazio in cui corpo e mente possano riattivare risorse spesso bloccate dal dolore cronico.
Accanto alla dimensione soggettiva – le impressioni, il sollievo, il senso di calma riportati dai partecipanti – il progetto affianca un’analisi oggettiva attraverso l’utilizzo di una tecnologia BCI, una versione semplificata dei sistemi EEG e ECG. Questo strumento registra in tempo reale gli stati emotivi, i livelli di stress e le variazioni del ritmo cardiaco, permettendo di osservare gli effetti dell’esperienza museale con un approccio scientifico.
Per Vanni, questo intreccio tra cultura e salute è tutt’altro che marginale: «La responsabilità sociale dei musei contempla anche il benessere delle comunità. Le sale espositive possono diventare spazi di inclusione socio-sanitaria, capaci di contribuire alla salute delle persone. La Museoterapia dovrebbe essere parte della gestione quotidiana di ogni museo».
Firenze (e non solo) come modello
Il Museo Stibbert si presta a questo percorso in modo quasi naturale. Le sale, studiate da Frederick Stibbert come scenografie immersive, amplificano la percezione estetica e favoriscono un coinvolgimento emotivo immediato. Lo sottolinea anche il direttore Enrico Colle, che parla del museo come di un luogo “capace di far vivere sensazioni profonde”, qualità che si è rivelata preziosa per i partecipanti al laboratorio. E la stessa Melchiorre racconta come, durante gli incontri, la relazione spontanea tra pazienti e opere d’arte abbia generato un clima di condivisione inatteso, in grado di aprire nuove possibilità di ascolto e di gestione della malattia.
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L’esperienza fiorentina si inserisce in un percorso più ampio che Vanni porta avanti da anni in diverse città italiane – da Parma a Grosseto, fino a Pistoia – dove i musei stanno sperimentando modalità innovative di fruizione legate alla mindfulness, allo yoga e alla percezione estetica. Il progetto dello Stibbert si concluderà nel febbraio 2026 con il convegno Le opere d’arte come fonte di benessere. Il Museo diventa luogo del welfare culturale, occasione per presentare dati, testimonianze e prospettive future.
La diagnosi della fibromialgia obbliga spesso a fare i conti con un dolore difficile da spiegare e da trattare. Per questo iniziative come questa aprono un nuovo orizzonte: riportano l’arte alla sua funzione originaria, quella di luogo in cui il sentire umano può essere riconosciuto, trasformato e, talvolta, alleviato. E il museo diventa così un alleato terapeutico, uno spazio in cui storia e cura si incontrano per restituire ai pazienti una relazione più gentile con il proprio corpo e con le proprie emozioni.
Immagini da Ufficio Stampa