Oggi si inaugura una bellissima collettiva che mette in dialogo l’America Latina e l’Italia intorno a un tema, quello dell’ibridazione tra uomo e natura. Un evento, una mostra ospite di Fabbrica del Vapore. Ci vuole introdurre questo tipo di mostra e qual è l’approccio di Fabbrica del Vapore di fronte a questi eventi di ibridazione, qui fra uomo e natura e con Andrea Crespi tra uomo e macchina?
«Questo è un progetto molto, molto bello. Il tema viene scelto dai curatori proprio nel momento in cui lanciano la call e individuano la potenza di una argomentazione da mettere a sistema. Come nel caso delle mostre proposte da Bienalsur, dove artisti italiani incontrano artisti internazionali, la Fabbrica del Vapore si inserisce in un contesto di grande prestigio. Questo aiuta l’intera struttura a raggiungere quel risultato di “luogo riconosciuto della contemporaneità”.
Quindi avere più di una mostra dedicata a giovanissimi artisti è sicuramente motivo di orgoglio per noi e io spero che sia motivo di grandissimo interesse per il pubblico, perché appunto, arrivando in Fabbrica del Vapore il pubblico trova sollecitazioni come, tu stesso hai detto, quasi antitetiche ma in realtà che rispondono a un’urgenza pressante del contemporaneo.
Una centralità dell’uomo in una dimensione che non sia meramente antropocentrica, un equilibrio tra le sue competenze tecnologiche e quell’ambiente, quel contesto, quella intelligenza della natura di cui fa parte la sua stessa intelligenza».
Intervista a Maria Fratelli, Direttrice della Fabbrica del Vapore
L’abbiamo sentita in un suo intervento dedicata al rapporto tra Fabbrica del Vapore e arte. Un ruolo importante in un complesso sistema dove spesso i processi di arte sono accompagnati da altissimi progetti di finanziarizzazione. Qual è la visione che lei ha di Fabbrica del Vapore? Qual è la sua missione?
«Secondo me Fabbrica del Vapore deve riallacciare un rapporto tra l’intelligenza degli artisti, che sono dotati, come dicevamo, da un lato di senso critico e dall’altro di visionarietà e il pubblico che non si sta accorgendo a sufficienza, perché forse è spaventato, perché teme di non essere, magari, all’altezza di capire completamente tutto quello che viene proposto.
Il pubblico non si sta interessando abbastanza agli artisti e al ruolo dell’arte. Questo è un punto nodale. Se dovessimo uscire da questa stanza, ma anche qua dentro, e togliere tutto ciò a cui noi diamo valore di arte, resterebbe ben poco. Andremo a disgregare il senso stesso di umanità perché, tra le varie propulsioni, tra i vari moti che portano un’umanità a proseguire nel cammino passandosi, appunto, di vita in vita, le consegne in questo grande flusso, quello che resta è proprio l’elezione più profonda, la nozione di senso.
Cito appunto l’epistemologa Fiorani, è nel nostro presente, lei diceva nel nostro passato, io dico nel lavoro di questi artisti che alberga il nostro futuro, proprio perché sono loro quel punto di contatto importante tra il sistema dell’arte inteso non come sistema economico ma proprio come storia dell’umanità e il futuro che deve essere di continuità e non di autodistruzione».