Di giorno è un imbianchino professionista. Di notte, armato di rullo e vernice, ripulisce i muri della città di Brescia da scritte e segni di incuria. Si fa chiamare Ghost Pitùr e nell’anonimato pratica un gesto silenzioso ma visibile a tutti. Di giorno lavora su commissione e di notte agisce per scelta. Non dipinge semplicemente ma cancella. Senza firmarsi lui rimuove e lo fa nel nome di un’idea precisa, il suo manifesto: l’amore urbano.
Come nasce Ghost Pitùr
«Sono un imbianchino che passa le sue giornate a pitturare muri, ed è il mio unico lavoro. Ma una sera, tornando a casa, ho avuto una scintilla. Ho visto un muro maltrattato e ho pensato: ecco cos’è che mi disturba ogni giorno. È da lì che è partito tutto».
L’epifania arriva quando meno te l’aspetti, dopo un pranzo sul lago, in un periodo di stanchezza e sovraccarico è bastato rivedere lo stesso muro sporco che incrociava ogni giorno, scritto e trascurato per far nascere l’idea «Un muro come tanti», precisa lui. Eppure in quel momento diverso, perché capace di far emergere una consapevolezza rimasta silente: la bellezza urbana va protetta.
«Mi sono chiesto: cosa posso fare? E la risposta era davanti a me. Pitturare è il mio mestiere. Ho le competenze, i materiali, l’esperienza. Perché non usarli per rimediare a ciò che rovina la mia città?».
Così nasce Ghost Pitùr, alter ego notturno di chi conosce ogni tecnica e tipo di vernice, ma decide di usarli a costo zero, senza committenti. Perché un muro, se affaccia sulla strada, non appartiene solo a chi lo possiede. È parte dello spazio pubblico, urbano e collettivo.
«Se una parete è in casa tua e vuoi farla verde acido e fucsia, va bene: è casa tua. Ma se quella parete è parte della città, diventa anche di chi la vive».
Ghost Pitùr e l’antitesi con i writer
«Il problema è quando trovi una scritta fatta in cinque secondi, senza pensiero, senza impegno, senza rispetto per il contesto. In quel caso non si tratta di arte, ma di qualcosa che rovina un luogo, toglie valore a un edificio, disturba la vista di chi passa ogni giorno su quel marciapiede».
Ghost Pitùr non è in guerra con i writer. Lo chiarisce più volte, con rispetto: «Quando vedo un lavoro fatto bene, con un messaggio, una progettualità, un colore scelto, un’intenzione artistica vera, mi fermo. Mi piace. Non lo toccherei mai». L’arte urbana, se pensata e realizzata con cura per lui è parte della città.
La differenza non è solo estetica, ma anche civica. Ghost Pitùr non è un passante qualunque: è un imbianchino professionista, conosce i materiali, i metodi, la tenuta dei colori, l’impatto sul tessuto architettonico. «Io non tocco mai un edificio comunale, né uno spazio pubblico su cui non abbia la certezza di poter intervenire. Lavoro solo su muri privati, palazzi che hanno perso decoro e che posso ripristinare con competenza».
Non si tratta di crociate o posizioni radicali. Piuttosto, è un’azione tecnica e simbolica che affonda le radici nella sua conoscenza del mestiere e in un senso civico profondo: «So quali materiali usare, come vanno diluiti, quanto coprono. Lavoro su edifici privati, ma che si affacciano sullo spazio urbano. E lo spazio urbano è condiviso. Non è solo di chi lo possiede, ma di chi lo attraversa».
Ghost Pitùr e il suo atto di amore urbano per la polis
Non a caso, in una delle tante riflessioni che gli sono arrivate online, qualcuno ha commentato: “Questo non è solo un gesto estetico, è un gesto politico. È amore per la polis”. E lui ha deciso di farla sua: «Non è questione di partiti. Io non ho bandiere. Ma sento davvero che questo è un modo per prendermi cura della mia città. Lo spazio urbano appartiene a tutti. E se posso contribuire a renderlo migliore, lo faccio volentieri».
Questa consapevolezza trasforma ogni suo gesto in un contributo silenzioso ma potente alla salute estetica e civica della città di Brescia. Ogni muro che torna pulito è una forma di restituzione. Un ringraziamento muto.
«Ogni volta che ripulisco un muro, torno a rivederlo il giorno dopo. Mi piace camminare per la mia città e vedere che il gesto è rimasto. Che qualcosa è tornato com’era. Come se il muro, forse, mi avesse ringraziato».
Una questione di mestiere e di metodo
Ghost Pitùr ragiona come un urbanista. Prima di intervenire osserva il contesto, analizza i materiali, i colori, le proporzioni, lo stile architettonico dell’edificio.
«Non vado a caso. Ogni muro ha una storia, una palette, una trama. Lavorarci sopra senza rispettarla è come vestire male una persona elegante. Ecco perché non improvviso mai. È importante che il mio intervento non si noti: dev’essere armonioso, coerente».
E proprio perché conosce il valore della cura, rivolge un invito chiaro a chi volesse seguire il suo esempio:
«C’è chi ha detto: “lo faccio anch’io!”. Ma attenzione: cancellare una scritta non è solo prendere un pennello. È capire cosa c’è dietro, scegliere il prodotto giusto, fare delle prove, rispettare il muro. Io lo posso fare perché è il mio mestiere. È il mio modo di dire: se vuoi farlo, fallo bene».
Ghost Pitùr: identità e invisibilità
La scelta di non mostrare il volto, di restare anonimo, non è una scelta da artista misterioso. È una forma coerente di rispetto. Ghost Pitùr non vuole l’attenzione, vuole che l’attenzione vada al gesto.
«Non sono un supereroe, non voglio fama. Voglio solo che la mia città sia un po’ più bella quando mi sveglio».
Ghost Pitùr è questo: un’azione concreta, un atto poetico senza retorica, un gesto semplice che parla di cura, senso civico e attenzione per il paesaggio urbano. Non aggiunge colore: lo toglie. E in quel togliere, crea una forma inedita di arte civile.