Nei giorni in cui la strage di Erba torna al centro della cronaca e riporta Olindo Romano e Rosa Bazzi in aula, l’artista Nicolò Tomaini trasforma la coppia in provocazione artistica.

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Erba torna al centro della cronaca giudiziaria con Olindo Romano e Rosa Bazzi nuovamente in tribunale per la revisione del processo che li ha condannati come responsabili della strage dell’11 dicembre 2006. Un fatto che riempie ancora oggi le pagine dei giornali, i salotti tv e i titoli dei tg. Capace di far parlare di sé anche con linguaggi inediti. È quello che ha fatto l’artista Nicolò Tomaini, autore di una riproduzione della coppia a grandezza naturale posizionata nelle vicinanze dell’abitazione in cui si consumò il delitto.

‘The Lovers’ – questo il titolo dell’opera – vuole essere una provocazione in stile Marina Abramovic e mostra i coniugi l’uno di fronte all’altro separati da un arco teso. In un lungo post social, Tomaini spiega più dettagliatamente le intenzioni di quest’installazione. “Chiariamo subito che non ci interessa affatto la diatriba su innocenza o colpevolezza, correttezza processuale, consistenza delle prove”, chiarisce immediatamente lo scultore. “Quello che invece interessa è come nella società contemporanea si possa costruire una verità ufficiale, che poi all’occorrenza si può anche decostruire con gli stessi identici strumenti. Per rifarla ancora e disfarla, tutte le volte che si vuole”.

E prosegue: “Il falso prende il posto del vero, la copia quello dell’originale. Mentre la vita, i sensi, le passioni, e più in generale tutto ciò che dovrebbe animare l’esistenza umana si azzerano. Per lasciare il posto alla mortifera stretta di una rassegnata ubbidienza. È chiaro infatti che una organizzazione sociale che prescinde dalla realtà non teme dissenso, resistenza, ribellione […]. Il meccanismo è ben rodato, funziona ormai per automatismi che non necessitano neppure di una regia, di una attività di coordinamento”.

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“Siamo giunti a un livello di mistificazione che non ha più neppure bisogno di ricorrere alla falsificazione per inglobare e neutralizzare ho la realtà”, continua Nicolò Tomaini. “La rappresentazione precede il suo stesso oggetto, lo anticipa rendendolo, di conseguenza, del tutto superfluo. Accadde, accade, accadrà; ovunque, per ogni cosa, oltre ogni cosa. Come a Erba”.

La strage di Erba tra realtà e rappresentazione

Ed ecco, allora, la riflessione applicata al caso di Olindo e Rosa. “L’innesco, l’evento iniziale, è grave, è tragico, è pesante: una strage, varie persone, tra cui un bimbo, brutalmente ammazzati. Ma presto si stempera, sfuma, si sgretola, mentre i generosi mezzi delle tecnologie della comunicazione secernono senza ritegno i loro escrementi mediatici. Dettagli che divengono notizie, sospetti o illazioni dati per certi”.

“Interpretazioni o ipotesi che un giorno rassicurano, quello dopo contraddicono, per poi scomparire, riapparire, porre domande di cui divengono risposte”, conclude Tomaini. “E poi due figure, Olindo e Rosa, tanto adatti al ruolo che sono destinati a ricoprire da sembrare inventati apposta per la bisogna, generati e non creati dalla stessa sostanza dei media. E poi il processo che, nelle sue varie fasi, serve a focalizzare l’attenzione mediatica”.

Un’opera in cui gli elementi si compongono

Da tutte queste considerazioni nasce l’opera di Erba, “nella quale gli elementi si compongono, visivamente, attraverso la citazione di una storica opera di Marina Abramovic Rest Energy, in cui i due soggetti di una coppia stanno uno di fronte all’atro; uno tiene in mano un arco, mentre l’altro tende verso il suo cuore una freccia pronta ad essere scoccata. Il rapporto tra esseri umani, sia esso amoroso, affettivo, di amicizia, è sempre soggetto al rischio che l’equilibrio si rompa, con esiti potenzialmente letali, e deve potere contare su una assoluta, reciproca fiducia”.

“L’assoluto realismo, la veridicità della rappresentazione […] sottolinea l’azzeramento della separazione tra la realtà, la sua ricostruzione e l’invenzione fantastica. Sottolinea che viviamo in un tempo in cui ciò che si percepisce come accadimento, come evento storico, non è diverso dalla simulazione, da una efficace messa in scena”.

“La giostra riparte – si legge ancora – Quella che era una verità suggellata attraverso i tre gradi di processo viene disfatta e smembrata […]. E, normale esito nella società della ‘separazione compiuta’, si riparte dalla caotica girandola dell’enfatizzazione dei dettagli. La confessione (con le suggestioni e le forzature per ottenerla), i testimoni attendibili, quelli inattendibili, le tracce forensi, la loro assenza, in una caotico profluvio di particolari slegati e contraddittori. Restano, alla fine, le immagini statiche di Olindo e Rosa, tanto incredibili da dovere essere vere”.

Foto di Nicolò Tomaini