Con la pubblicazione di Black Mirror: Bandersnatch, Netflix ha lanciato una sfida interessante che potrebbe avere degli effetti sul futuro dell’intrattenimento

Nelle sempre più combattute sfide tra i giganti dell’intrattenimento, si fanno alcune sperimentazioni che possono sembrare azzardate ma che rischiano seriamente di cominciare a scrivere il futuro. Stiamo parlando dello storytelling interattivo, qualcosa che esiste da tempo e su numerosi media, ma che non ha mai trovato una vera e propria applicazione pratica nell’industria del cinema. Con l’uscita di Black Mirror: Bandersnatch, però, Netflix ha mosso un passo che potrebbe condurci su nuovi sentieri.

L’idea, in realtà, frullava nella testa del gigante dello streaming già da qualche anno. Dapprima ci hanno provato con le serie per bambini, dove le scelte si limitavano a una selezione limitata e piuttosto semplice di possibilità. Poi, hanno cercato di convincere Charlie Brooker e Annabel Jones ad applicare il tutto ad un film basato sulla serie Black Mirror. In principio, i due hanno nicchiato, poco convinti dell’idea. Ma poi, ragionando sulla possibile trama, hanno finito per accettare il progetto.

È così che Bandersnatch ha visto la luce, dando al telespettatore il potere di dirigere l’operato del personaggio del programmatore Stefan, portato sullo schermo da Fionn Whitehead. Un risultato strabiliante ottenuto non senza una serie di difficoltà tecniche.

Lo storytelling interattivo porta con sé una serie di difficoltà tecniche

La prima ha risieduto nella complessità di dover mettere a punto una sceneggiatura non lineare complessa, qualcosa che superasse la semplicità delle produzioni per l’infanzia. È per questo che gli ingegneri di Netflix hanno messo a punto il Branch Manager, un software creato su misura per aiutare gli autori a mettere a punto il testo. Un utile strumento volto a prevedere le mosse dello spettatore e in qualche modo guidarle.

Se infatti le scelte effettuate al momento della fruizione potrebbero rischiare di portare la trama su terreni inesplorati, il software interviene creando dei loop studiati appositamente, volti a rimettere la linea narrativa su uno dei binari precostituiti, dando la possibilità di ri-affrontare determinati enigmi, di intraprendere il percorso giusto.

Non che tutte le scelte siano così essenziali, in realtà. In Bandersnatch esiste una scena nella quale bisogna scegliere i cereali che Stephan vuole mangiare, ad esempio. Non proprio un elemento narrativo fondamentale.

In Bandersnatch ci sono un milione di combinazioni possibili

Le possibili combinazioni, in verità, sono circa un trilione. Un numero che può apparire spropositato, ma che alla fine si riduce in cinque possibili finali alternativi e in una durata del film che parte da un minimo di 40 minuti e si attesta su una media di un’ora e mezza.

Bandersnatch potrebbe essere il primo passo di Netflix nel mondo del gaming

Altre difficoltà riguardano invece i tempi con i quali proporre una scelta per garantire un coinvolgimento ottimale. Un elemento sul quale la produzione ha discusso moltissimo. Un po’ come sulla necessità di non trasformarlo in un videogioco, anche se si tratta di un rischio plausibile, sia pure negato con forza da Netflix. Eppure, potrebbe essere il primo passo per condurre la compagnia di Scott Valley anche nel mondo del gaming.

Gli ultimi elementi problematici riguardano invece i dispositivi di riproduzione. Di default, le app Netflix mettono in pre-cache alcuni contenuti per garantire uno streaming fluido. Con un film interattivo, però, sono costrette ad estendere il carico a tutti i possibili percorsi, rendendo necessarie determinate combinazioni hardware/software. Tanto è vero che Bandersnatch non può essere riprodotto su alcune vecchie tv, su Google Chromecast e su Apple Tv.

Tutte questioni secondarie, ad ogni modo. Perché è adesso che Bandersnatch è uscito e finalmente visibile che si pone la sfida maggiore: sarà veramente possibile creare storie interessanti da rendere disponibili in maniera interattiva?