Gli scandali hanno spinto i governi a prendere provvedimenti e a costringere le piattaforme social ad affrontare discorsi su protezione dei dati, lotta alle fake news e all’incitazione all’odio

Il 2018 ha segnato un punto di svolta nella storia di Internet e delle compagnie più in vista. Quello che è certo è che l’era del Far West normativo nel mondo dei social network volge al termine per tramutarsi, nell’appena cominciato 2019, in un più rassicurante insieme di contenitori strettamente controllati da norme giuridiche sempre più stringenti. È probabilmente un evitabile passo successivo per piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube, che si apprestano così a ‘diventare grandi’.

Una maturazione, la loro, condizionata da una serie di fattori che non si riducono al mero scorrere del tempo. Terminata ampiamente l’epoca in cui erano delle semplici start-up innovative, le multinazionali social a cui affidiamo ormai ogni momento della nostra vita, mostrano inevitabilmente il fianco.

Lo scandalo di Cambridge Analytica ha dato il La al cambio delle norme social

Il primo sentore di crisi è arrivato con lo scandalo Cambridge Analytica, che ha messo Mark Zuckerberg di fronte all’anno nero di Facebook e a normative sempre più severe in materia di protezione dei dati e della privacy degli utenti.

Ma non solo. Il fondatore del celebre social network in blu è diventato una sorta di simbolo dei mali del web, dei problemi che la rete può dare alla vita reale della gente. E come tale è diventato il bersaglio preferito di utenti e uomini politici, che hanno deciso che di presentare un conto – sia figurativamente che letteralmente – alle più grandi aziende informatiche.

È in questo senso che vanno gli interrogatori ai quali Zuckerberg è stato sottoposto sia a Washington che a Bruxelles. E ne potrebbero venire altri, in altre capitali. Ed è innegabile che è (anche) da questo tipo di vicende che trae fondamento la web-tax che i governi di Italia e Francia hanno appena posto in essere nelle rispettive manovre finanziarie, sia pur con orientamenti politici e obiettivi differenti.

Il futuro dei social si gioca sulla sicurezza dati e la privacy

Quello che è certo è che sulla sicurezza dei dati e la protezione della privacy degli utenti si gioca il futuro dei social. Questioni imprescindibili che vanno a braccetto con la necessità di contenere fake news, contenuti d’incitazione alla violenza e al razzismo. Talvolta al terrorismo. Addirittura la possibilità di influenzare le elezioni politiche.

Il primo passo di Facebook di fronte a queste evidenze è stata la negazione, poi trasformatasi in un pallido abbozzo di scuse, di “avremmo potuto fare meglio”. Ora è arrivato infine il momento di fare sul serio, di salire il prossimo gradino.

Le piattaforme web – Facebook e Twitter in testa – non sono più lavagne bianche a disposizione del gessetto degli utenti. La realtà ha reso concreta la necessità di una moderazione del discorso, un po’ come si faceva un tempo sui forum in maniera grossolana e quasi artigianale, quando il web 2.0 era ancora agli albori.

Sulla spinta dei governi di USA ed Europa, Facebook ha già dato un colpo di spugna a pagine e contenuti più controversi, mentre Twitter ha deciso di lavorare sulla proibizione dei “discorsi de-umanizzanti”. Chi promuove teorie cospirazioniste e che proprio grazie ai social ha visto aumentare la possibilità di diffondere le proprie idee, ora rischia di dover tornare a tenerle solo per sé.

La GPDR (General Data Protection Regulation) europea, al di là del suo fastidioso comparire sotto forma di pop-up, ha cominciato raccogliere effetti, colpendo con multe miliardarie le compagnie che non rispettano le norme sulla privacy. Multe previste anche sui contenuti: in Germania, ad esempio, la mancata rimozione di un messaggio d’odio può costare decine di milioni di dollari ad una piattaforma.

Tutte evoluzioni che confermano quanto affermato in apertura: per i social network il Far West normativo è finito nel 2018.

Il 2019 sarà l’anno della regolamentazione, delle multe e delle tasse.