La nuova mostra di Emo Verkerk a Brescia racconta l’evoluzione dell’artista olandese tra ritratti iconici, animali enigmatici e un nuovo sguardo sul presente.

A trent’anni dalla sua prima mostra in città, Emo Verkerk torna a Brescia – presso la Galleria Massimo Minini – portando con sé ciò che negli anni lo ha reso uno degli artisti più singolari della scena olandese: i suoi ritratti. Pittore, scultore e incisore nato ad Amsterdam nel 1955, Verkerk ha costruito un percorso rigoroso e laterale, capace di attraversare generi e linguaggi mantenendo sempre intatta una cifra stilistica personale e immediatamente riconoscibile.

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La mostra Tempo e spazio. Il ponte tra di noi ripercorre le molte anime della sua produzione. Dai ritratti – cuore pulsante del suo lavoro – alle enigmatiche rappresentazioni di animali, fino a paesaggi che sembrano sospesi tra osservazione e introspezione poetica. Il viaggio dentro l’immaginario di Verkerk parte da un episodio fondativo. Nel 1976, a ventun anni, realizza la sua prima opera intervenendo su una semplice sedia da cucina.

L’artista allunga la seduta di circa un metro, costringendo chi si siede a stare “sul bordo”, costantemente in equilibrio. Non un gesto provocatorio, ma un manifesto: l’arte come attivazione dello spazio e dello sguardo, come invito a non accomodarsi mai del tutto.

Portrait of Emo Verkerk, ph. Gerrit Schreurs
Portrait of Emo Verkerk, ph. Gerrit Schreurs

Un paradosso se si pensa che Verkerk avrebbe poi costruito la propria fama intorno ai ritratti di personaggi storici che, per definizione, non potrebbero mai sedersi sulla sua sedia. Eppure, è proprio attraverso quei volti che l’artista ha dato forma a un universo assolutamente personale. Popolato da scrittori, filosofi, fumettisti, musicisti, drammaturghi, idealisti, razionalisti, persino maghi e sciamani.

Per lo stesso artista, i protagonisti dei suoi dipinti non sono semplici soggetti, ma presenze che abitano il suo mondo interiore. «Potete vedere i miei ritratti come un diario allegorico: le persone che io dipingo rappresentano pensieri o idee che mi assillano, che mi toccano. Tutto ruota intorno all’empatia. Ma il segreto sta nella direzione. Perché sull’empatia esiste un brevetto.

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Non dipende da me, ma da colui che sto ritraendo. Lui possiede il brevetto, che è accompagnato da un premio. E il ritratto è il vero premio. In breve, l’empatia non è il mezzo, ma il fine. Consideratelo come un riconoscimento sportivo alla persona che viene ritratta, mentre tutto quello che ottengo io è il premio di consolazione», conclude. Ne emerge una visione quasi spirituale del ritratto, lontana dalla rappresentazione e vicina al dialogo, alla risonanza emotiva.

Gli alcolisti, la sobrietà e una svolta inattesa

Non è un caso che molti dei suoi soggetti appartengano alla grande genealogia degli alcolisti illustri o a figure borderline come Alfred Jarry e Flann O’Brien. A loro si affiancano poeti e giganti della letteratura come Joyce, Faulkner o Rimbaud, anch’essi segnati da un rapporto problematico con l’alcol. Per Verkerk questa costellazione non è casuale: racconta un’empatia profonda, una vicinanza emotiva e biografica.

Da dieci anni però l’artista è sobrio, e questo cambiamento ha lasciato traccia evidente anche nel suo lavoro. È in questo momento che compaiono gli animali – in particolare un cucciolo che lo ha accompagnato in questa transizione – e che l’immaginario dell’artista sembra aprirsi a una nuova fase, forse un nuovo paradigma.

Negli anni iniziali Verkerk ha combattuto con ciò che chiama “proiezione romantica”, fino a intuire che nel suo lavoro agivano due forme di proiezione. Una patetica, considerata documentaria, e una ottimista, di natura concettuale. Questa consapevolezza lo ha condotto a una fase di riflessione, marcata da una serie di piccoli oggetti dedicati agli uccelli, costruiti come apparizioni totemiche. In questi dipinti, i ritratti iniziano a dialogare con un contesto che non è solo quello del soggetto, ma è anche quello dell’artista: uno spazio condiviso, uno “spazio dell’incontro”.

Con l’inizio dell’astinenza, tutto cambia di nuovo. La prospettiva si ribalta, il punto di fuga viene “restaurato” nel suo splendore originario. La rappresentazione non spinge più verso il domani, ma affiora da una sorgente che appartiene al passato. Il risultato è sorprendente: i soggetti appaiono nel loro hic et nunc, come figure rinascimentali immerse in una presenza assoluta, senza nostalgia e senza proiezione.

In copertina: Emo Verkerk, Boris Rizji, 2018, oil on canvas, thread, 82 × 101,5 cm

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