Alla Fabbrica del Vapore arriva ‘Bacchanale’ di Salvador Dalí, monumentale scenografia surrealista del 1939 esposta per la prima volta in Italia all’interno della mostra I Tre Grandi di Spagna con Picasso e Miró.

La Fabbrica del Vapore di Milano sta ospitando I Tre Grandi di Spagna: tre visioni, un’eredità, esposizione che riunisce le opere di Pablo Picasso, Joan Miró e Salvador Dalí per raccontare le radici delle avanguardie e il modo in cui hanno ridefinito l’immaginario artistico del Novecento. Curata da Joan Abelló con Vittoria Mainoldi e Carlota Muiños, la mostra è un percorso in cinque sezioni che ripercorre le origini catalane dei tre maestri e la loro influenza sul Modernismo e sul Noucentisme. Fino al cuore pulsante della modernità europea.

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Tra incisioni, opere su carta e stampe rare, il centro emotivo del percorso è affidato a una presenza che domina lo spazio come un’apparizione teatrale. Si tratta del Bacchanale, scenografia monumentale realizzata da Salvador Dalí nel 1939 per il balletto omonimo.

È la prima volta che l’opera viene esposta in Italia. E il suo arrivo a Milano rappresenta un evento unico non solo per il valore artistico, ma per il peso simbolico che racchiude. Le tele, infatti, sono un vero e proprio manifesto del metodo paranoico-critico, traslato dal quadro al palcoscenico, dall’immaginazione al corpo vivo della scena.

Baccanale Dalì

Dalí concepì Bacchanale come un esperimento totale, un’opera d’arte immersiva dove pittura, scultura, danza e psicoanalisi si intrecciano in un flusso continuo. In poche settimane, l’artista scrisse il libretto, disegnò i costumi e ideò la scenografia, collaborando con Léonide Massine, direttore dei Ballets Russes de Montecarlo, e con figure leggendarie come Coco Chanel e Barbara Karinska. Il balletto debuttò il 9 novembre 1939 al Metropolitan Opera House di New York, sulle note wagneriane del Tannhäuser, in un’epoca sospesa tra il sogno e l’ombra della guerra.

Jaime Vallaure e il riallestimento del balletto

Come ha scritto Jaime Vallaure, unica persona ad aver riallestito Bacchanale in tempi recenti, «la scenografia di Dalí incornicia e disegna il suo primo balletto paranoico-critico». Un affresco in movimento dove l’occhio diventa strumento psicoanalitico e la visione si fa esperienza fisica. Sul sipario si dispiega il Monte di Venere, sovrastato da un cigno che rimanda al mito di Leda. In un gioco di simboli sul desiderio e la colpa. Intorno, tredici tele monumentali compongono un labirinto visivo popolato da figure spettrali, manichini, busti dagli occhi vuoti, braccia scheletriche e cassetti aperti sull’inconscio. Un teatro della mente dove eros e morte danzano insieme.

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L’intera opera si muove come un sogno lucido, in cui il mito e la follia diventano strumenti di conoscenza. Nella trama, il re Ludovico I di Baviera sale al Monte di Venere, incontra la dea che si trasforma in pesce e poi in drago, fino a trafiggerla con la spada. In un rito di visioni e metamorfosi in cui il protagonista si confonde con Tannhäuser, in un gioco di identificazioni che anticipa la psicanalisi visiva di Dalí. Il pittore trasforma così il palcoscenico in un dispositivo ottico, un “sogno costruito” dove realtà e allucinazione si sovrappongono.

Oggi, grazie al collezionista spagnolo Jorge Alcolea, Bacchanale torna a mostrarsi al pubblico dopo decenni di silenzio, in un allestimento che riprende la straordinaria proiezione realizzata nel 2024 al Círculo de Bellas Artes di Madrid. Alla Fabbrica del Vapore, l’opera dialoga con un video che rievoca il balletto, come se il tempo stesso fosse parte della scenografia.

Nel contesto della mostra, il Bacchanale è più di una testimonianza della vena teatrale di Dalí. È chiave di lettura del suo pensiero più profondo: l’arte come sogno in atto, come spazio in cui l’immaginazione diventa realtà. Nel caos romantico di questo “baccanale”, si riflette l’intera eredità del surrealismo il cui linguaggio non smette di interrogare lo sguardo.

Immagini da Ufficio Stampa

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