La retrospettiva ‘Domani torno’ porta al Castello di Rivoli oltre 80 opere di Enrico David: installazioni, sculture e nuovi lavori in un percorso immersivo unico in Italia.

Fino al 22 marzo 2026, la Manica Lunga del Castello di Rivoli accoglie Domani torno, la più ampia personale mai dedicata a Enrico David in Italia. Un ritorno simbolico e allo stesso tempo un viaggio nella memoria, nella materia e nel linguaggio, per un artista che da quasi quarant’anni vive e lavora all’estero. Ma che proprio qui trova oggi la sua collocazione più naturale.

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Curata da Marianna Vecellio, la mostra riunisce oltre ottanta opere, articolate in sei grandi ambienti che funzionano come capitoli autonomi e al tempo stesso connessi del percorso creativo dell’artista. Un attraversamento non cronologico che mescola passato e presente, installazioni monumentali e lavori intimi, sculture, arazzi, disegni, oggetti e scenografie sospese tra autobiografia, mito, teatro e grottesco.

La retrospettiva si costruisce come un mosaico di “fermo-immagini”: fotogrammi mentali, visionari, che evocano rituali, atmosfere religiose e una teatralità che affiora continuamente. Al centro, come una matrice emotiva insondata, la morte improvvisa del padre, trauma che segna l’adolescenza di David e che ritorna, esplicitamente o sotterraneamente, nella sua poetica.

Dal trasferimento da Ancona a Londra alla metà degli anni ’80 fino alla definizione di un linguaggio autonomo, Domani torno ricostruisce il tentativo dell’artista di creare uno spazio in cui il proprio immaginario possa esistere. Un immaginario che non a caso dialoga con un altro ricordo paterno: quello delle fiere campionarie degli anni Settanta, dove David, bambino, osservava stand e allestimenti, forme sospese e architetture provvisorie. Qui ritornano sotto forma di pedane, elementi rotanti, arredi stranianti, neon e arazzi che abitano lo spazio come presenze vive.

I quattro pilastri (e il quinto elemento) di un’opera-mondo

L’allestimento della mostra ruota intorno a quattro lavori chiave, veri “pilastri angolari” della produzione di David:

  • Madreperlage (2003), prima grande installazione realizzata per la galleria Cabinet di Londra;
  • Ultra Paste (2007), presentata all’Institute of Contemporary Arts;
  • Absuction Cardigan (2009), opera selezionata nella shortlist del Turner Prize ed esposta alla Tate Britain;
  • Tutto il resto spegnere, presentata nel Padiglione Italia alla Biennale Arte 2019.

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A questi si aggiunge un quinto elemento, Il centro dei miei occhi è 160 (1995–2025), nuova opera che apre il percorso espositivo: un’immagine in neon di una donna, riferimento diretto alla storica azienda paterna “Neon Ancona”. Un lavoro che si integra idealmente con Ultra Paste, ricreando una camera infantile surreale, verde smeraldo, abitata da un ragazzo di spalle e da un manichino, in un cortocircuito tra memoria, desiderio e identità.

Dai disegni minimi alle sculture in gesso artificiale, dagli abiti alle installazioni totali, tutto il lavoro di David si radica nella manualità. La stessa che nasce nell’azienda di famiglia, specializzata nella produzione di mobili di design, e che oggi trova espressione in un linguaggio che attraversa arti applicate, art nouveau, grafica, brochures e forme di gesamtkunstwerk.

Enrico David Domani torno
Foto allestimento da Ufficio Stampa

A completare il percorso, Domani torno apre un dialogo con la Collezione di Villa Cerruti, da cui provengono sei opere, tra cui un Giorgio de Chirico, in un confronto tra immaginazione, memoria e identità visiva.

Immaginazione contro era digitale: la posizione dell’artista

Nel catalogo che accompagna la mostra, la curatrice scrive: «Se in un mondo dominato dalle tecnologie digitali – in cui l’intelligenza artificiale stabilisce il nuovo confine umano – le opere di Enrico David esprimono una resistenza assoluta alla decodificazione. Sono altrettanto un elogio del corpo fisico e materiale e dell’esperienza del singolo. […] La mostra di Enrico David è una celebrazione dell’immaginario».

L’artista risponde: «Rifletto spesso sul ruolo dell’immaginazione e sulla responsabilità che individualmente abbiamo di salvaguardarla come un sacrosanto diritto. Potrei dire che il soggetto unificante del lavoro è l’autorità che come artista ho di mantenere il massimo controllo della nostra immaginazione».

Foto allestimento da Ufficio Stampa

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