Dario Sicchio: «’One Last Time’ nasce per ribaltare ogni certezza del fantasy»

Dario Sicchio e Caterina Bonomelli uniscono le forze per dar vita a One Last Time, serie edita da Edizioni BD che sovverte ogni stigma del genere fantasy. Siamo a Vallenar: la Guerra delle Ombre si è conclusa con la vittoria di Sir Arion Aster, l’eroico prescelto che ha sconfitto i signori del male di turno, riportando la pace e l’estinzione della magia. Il lieto fine che tutti desideravano… Oppure no?

È da questo presupposto narrativo che nasce e si sviluppa One Last Time: e se la narrazione di quell’ultimo epico scontro fosse solo una enorme bugia? I protagonisti sono dunque i villains, eccezionalmente riuniti per smascherare la più grande menzogna mai architettata.

L’arte di Caterina Bonomelli, già autrice per Edizioni BD della trilogia Sottopelle, incontra l’estro creativo di Dario Sicchio, line editor di Edizioni BD e TacoToon, e sceneggiatore, tra gli altri, di Black Rock e Alaloth. Abbiamo parlato di One Last Time proprio con Dario Sicchio.

Dario Sicchio racconta One Last Time

Come nasce l’idea di una storia come quella di One Last Time che sovverte, già nel suo presupposto, i paradigmi narrativi classici?
«Cerco di fare un riassunto, perché in realtà è una storia interessante ma articolata. One Last Time nasce per dare torto a una persona, come scrivo nei ringraziamenti. Nello specifico, nasce per dare torto a Roberto Recchioni. Nel 2022, è uscito il mio fumetto Sole Nero: la summa di un percorso che avevo fatto sull’horror weird, che è il mio genere di appartenenza. Roberto l’ha letto e mi ha fatto molti complimenti.

Poi però mi ha detto: Il fumetto è bello, ma anche i personaggi più positivi sono repellenti all’empatia. Per lui erano personaggi poco dritti, aveva difficoltà ad empatizzare anche col protagonista. Ovviamente io l’avevo fatto apposta. Lui mi ha detto: Ce la fai una volta a raccontare una storia con i personaggi al centro e serializzabili?. Lì ho pensato: Adesso gliela faccio vedere io. E ho iniziato a pensare a questa storia».

Il punto di partenza è chiaro, come lo hai poi sviluppato?
«Volevo essere scomodo in ogni modo possibile. Mi sono quindi chiesto quali storie, tra quelle che mi piacciono, non avevo mai raccontato. La risposta è il fantasy, o quantomeno il fantasy a modo mio. Sono un master di Dungeons & Dragons e di storie ne scrivo tante, ma solo una volta ne ho pubblicata una su licenza. All’epoca lavoravo con Caterina Bonomelli come editor del suo fumetto Sottopelle e mi è capitato di raccontarle il pitch dell’idea.

Lei si è accesa molto e ha iniziato a rispondermi e a darmi spunti. Lì ho capito che Caterina era la persona giusta, perché ha una sensibilità visiva e pop contemporanea, con idee geniali. A lei poi puoi delegare molto del controllo e del design. Il problema è che doveva finire Sottopelle e avevo capito che sarebbe stata una sfida, perché Caterina è geniale ma completamente pazza. Per lei la sceneggiatura è un suggerimento, ma a me piaceva questa dimensione».

E il titolo come è nato?
«È stato l’ultimo tassello, arrivato mentre stavamo finendo il concept e si è concretizzata l’idea della serie. Mi sono successe cose personali e professionali, i tipici down profondi che sono molto difficili da gestire. In quel momento ho perso fiducia e fede nel mestiere e, nel mio non trovare un titolo a questa serie, ho attuato il processo che ha dato il nome a Final Fantasy: ho deciso che sarebbe stato l’ultimo fumetto e per questo l’ho chiamato One Last Time. Poi così non è stato, ma in quel momento mi ero detto che avesse senso per la storia e per me».

Character design e storytelling: una storia al contrario

Nel primo volume, dichiari apertamente che lo storytelling è stato modificato anche dal character design di Caterina. Mi racconti in che modo?
«La mia idea del fantasy è stata scandita dalle mie letture, ma soprattutto da Dungeons & Dragons che non è un mondo statutario. È come una ricetta: è quella, ma poi ognuno ha la sua. Io gioco in modo poco poetico, sovvertendo le cose. Anche per questo volevo la sensibilità di Caterina, ma era molto difficile per me entrare nella sua testa. Quindi mi son detto: perché farlo? Le ho scritto tutti i personaggi cercando di essere il più sicuro possibile sul ruolo che avevano nella storia e sulla persona che volevo fossero, però lasciandola molto libera sul resto.

Lei ha fatto il design, che poi abbiamo cambiato in corsa, e ogni volta che vedevo i suoi disegni dicevo: Ah allora è così!. Vedendo le facce e le movenze che aveva disegnato, ho anche capito come parlavano i personaggi e gran parte del ruolo che hanno nella storia. Alcune caratteristiche fondamentali non sono cambiate, però Theron ad esempio io lo immaginavo come un personaggio con una ironia dolente e crepuscolare, che incarnasse l’elemento dell’elfo che ha vissuto per troppo a lungo. Caterina invece l’ha disegnato in quel modo ed è diventato la queen bipolare che è ora e che mi appartiene molto. Stessa cosa per il world building e per gli elementi della trama.

Racconto sempre lo stesso aneddoto: all’inizio ho descritto a Caterina la scena iniziale del flashback, quella in cui si vedono le navi in fiamme di fronte a un castello su cui si sollevano colonne di fumo. Siamo, del resto, alla fine della guerra che fu. Caterina ha disegnato tutto con tanta dovizia di dettagli e, per qualche motivo, nel cielo sopra il castello ha disegnato un tempio volante, un doppio ziqqurat. Le ho detto: Tesoro, ma cos’è quello?. Lei mi ha risposto: Bello, eh?. Si era rotta le palle e aveva deciso di disegnare quella cosa. Quindi ho deciso di scrivere i primi due capitoli lasciandola più a briglie sciolte possibile, perché la roba che fa è bella e dà una coerenza.

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All’inverso, il world building della storia l’ho creato in base a ciò che mi dava Caterina come disegnatrice. Tanto è vero che quel tempio è chiaramente adesso un punto centrale del primo arco narrativo e di una serie di misteri della storia».

Protagonisti non più giovani e il mondo dopo il mito

In questa saga, i protagonisti non sono giovanissimi. Quali sono le gioie e i dolori che hai affrontato per dar vita a una storia che racconta cosa succede quando i riflettori si spengono?
«Ci sono tante cose che mi affascinano. Se vediamo i generi nella loro forma più classica, e non nelle sue varianti, la fantascienza racconta la fine di un’epoca, mentre il fantasy è il mito fondativo di un regno, di un eroe, di una sconfitta… Ed è interessante per me e per altri autori. Non a caso, l’esplorazione di cosa accade dopo un mito fondativo è diventato un sotto-genere. In più, l’eroe compie sempre l’atto eroico nella sua età giovanile. Ma che palle deve essere la vita di Harry Potter come impiegato del Ministero della Magia?».

È in effetti una domanda sempre più frequente, ricca di meme e di trasposizioni.
«Ad esempio, il comportamento di alcuni personaggi di Dungeons & Dragons si basano sul fatto che siano gli Avventurieri e quindi avventurano, ma finita l’avventura? È il core di un fumetto bellissimo che si chiama Frieren, ma in generale mi diverto molto a pensare a queste cose. Un avventuriero prende un tesoro dal castello di un cattivone, con quel tesoro fonda una locanda e finalmente si ritira a vita privata. Io penso che ci siano degli enti economici in questo luogo che gli dicono: Ma questi soldi da dove arrivano, li hai dichiarati?.

Per dire che questo si unisce a un aspetto della contemporaneità: quando si guarda al passato, alle guerre mondiali ad esempio, bene e male sono storicizzati e chiaramente distinti. Altre situazioni hanno sempre del grigio un po’ difficile da sciogliere. Volevo portare queste fascinazioni nel fantasy e il modo migliore per farlo era scrivere di personaggi che hanno vissuto, ma sono invecchiati».

Quali sono gli elementi imprescindibili di questi personaggi âgé?
«Hanno vissuto gli entusiasmi idealistici del passato nel bene e nel male e ora sono pieni di rimpianti. Il lavoro al quale sono più affezionato, che si vedrà nel prossimo volume, è quello sugli orchi. Sono i nemici del fantasy per eccellenza, ma per come li abbiamo raccontati noi hanno perso la guerra, si sono trovati nella parte sbagliata della storia. Ora quelli che rimangono vivono in riserve come i nativi americani, tra alcolismo e depressione. Gli anziani vogliono preservare le tradizioni, l’identità del popolo, mentre i giovani vogliono scappare dalle riserve e andare nelle grandi città. Peccato che lì li usino come buttafuori. Paradossalmente la prossima parte sarà un western à la Scalp molto crepuscolare».

Arion e Theron, i protagonisti di One Last Time

Questo primo volume è una sorta di prefazione: come mai hai deciso di iniziare con Arion e Theron?
«Ci serviva. La scelta è avvenuta per 3000 motivi, ma di base ci serviva un punto di ingresso nella storia e di partire con un cast più piccolo che poi si va ampliando. La relazione principale che si svilupperà anche all’interno della storia proprio umana è, del resto, quella tra loro due. Sono Arion e Theron ad incarnare il senso della storia stessa. Arion da giovane era un paladino con la faccetta da angelo che, nei suoi anni più tardivi, sovverte l’idea del prescelto. Il prescelto di base è un ragazzino contro cui qualcuno punta il dito dicendo: Tu da grande farai ‘sta cosa. Ma non è detto che voglia farla o che abbia il cuore nobile».

Come si traduce un concetto del genere?
«C’è una scena in cui Arion è piccolo e arrivano i profeti per la profezia. Lui dice all’amico: Promettimi che non cambierà nulla, perché non voglio fare il prescelto. Abbiamo invece più difficoltà a capire Theron: lo vediamo come medico di un paesino, ma è il Mago Nero in realtà. Noi lo incontriamo nella posizione della vittima e del brav’elfo malato che viene strappato ingiustamente dal suo passato. Ci serviva un primo breve arco narrativo che attuasse questa sovversione, la raccontasse e ulteriormente la sovvertisse nel finale. Come dice Theron stesso alla fine del primo volume: Non te ne vai in giro con un ex mago oscuro con un disturbo bipolare della personalità senza essere disposto ad accontentarlo su qualcosina».

È uno degli aspetti che mi è piaciuto di più: il mondo è fantasy, ma i personaggi sono molto umani.
«A un certo punto, negli anni ’80, sono stati creati alcuni dei più famosi fumetti sui supereroi, semplicemente perché, in un genere con dei crismi stabiliti, sono arrivati degli autori che hanno detto: Ok, facciamo un lavoro di reverse engineering. Immaginiamo che tutto quello che abbiamo raccontato, per quanto assurdo, sia vero. Che effetto fa a una persona vera vivere queste cose assurde?. C’è dunque tutto un filone di revisionismo supereroistico, da Il ritorno del Cavalier Oscuro a Watchmen. In parte, One Last Time nasce da questo aspetto.

E non perché ci vogliamo mettere al pari di quei maestri, ma proprio per dire che è un gioco in realtà molto divertente da fare. Senza sconfessare gli eventi o il mondo. Il fantasy di George R.R. Martin ha già superato alcune fasi e si svolge in un Medioevo normale, con qualche cambio. Ma prendiamo un fantasy ricco di cose folli e immaginiamo che il personaggio che le ha vissute fantastiche sia una persona vera. Che effetto gli fa? Come vive questa cosa? E, soprattutto, com’è la sua tarda età?».

La saga da ora in poi

Senza troppi spoiler, cosa ci aspetta da ora in poi? E quale personaggio non vedi l’ora di presentare al pubblico?
«La verità è che non vedo l’ora per ogni personaggio. Sì, alla fine del primo volume, c’è l’astro nero con la lista dei cattivi, che però è anche un inganno. Diciamo che l’elenco mostra ciò che le forze dell’ordine di questo mondo pensano di sapere su un personaggio. Magari, però, non è proprio così. Ad ogni modo, ti anticipo due personaggi.

Uno è il prossimo che introdurremo, perché credo che sia un bilanciamento necessario tra Arion e Theron: hanno un rapporto estremamente conflittuale, sono ostaggio e rapitore, ma i ruoli si sovvertono costantemente. È un aspetto interessante, ma rischia di stancare. Il prossimo personaggio, nonostante il suo background e le leggende che lo circondano, è dunque di una dolcezza stratosferica ed è veramente un portatore di pace e di amore. È proprio un terzo polo ideale».

E il secondo?
«Sarà tra gli ultimi ad apparire ed è semplicemente e completamente pazzo. Non vedo l’ora di scrivere questo personaggio completamente fuori di testa. Nel senso che persino Theron e Arion hanno difficoltà a gestirlo».

Diresti che il narratore di One Last Time è poco affidabile? O è solo una questione di revisionismo storico, anche attuale volendo?
«Il narratore di questa storia è esterno a qualsiasi personaggio, quindi è semplicemente un osservatore. Chiaramente tutta questa storia si basa su un prologo che non vediamo, ma che ci hanno raccontato. Ed è chiarissimo già dal primo volume che quel prologo non è stato raccontato in maniera affidabile. Questa sarà una difficoltà immensa di cui si occuperà il Dario del futuro. Ho in mente come dipanare la storia, ma ancora non so come raccontarla.

La storia di 30 anni fa e di tutto quello che è successo la vedremo, ma ciò che è stato creato dai nostri protagonisti non proprio. La storia di questo impero del male è molto bella ma anche molto complessa, meriterebbe uno spin-off. Vorrei raccontarla in una maniera efficace senza che interrompa la narrazione principale. Nello stesso tempo, voglio che riveli delle cose al momento giusto e senza confondere i lettori. Sarà una ricetta difficile da far funzionare, però ancora possiamo aspettare un pochino».

Foto: Edizioni BD