Dal 19 settembre al 2 novembre 2025 il MAN di Nuoro ospita I pani del desiderio, un progetto artistico partecipativo di Ilaria Turba, nato nel 2019 a Marsiglia e sviluppatosi in diverse tappe in Italia. Attraverso laboratori collettivi, l’artista ha dato vita a oltre cento pani-scultura ispirati ai desideri delle comunità coinvolte.
L’ultima tappa, in Sardegna – terra di pane rituale – ha segnato il compimento simbolico del progetto, con un rito collettivo che ha trasformato i pani in cenere, simbolo di rinascita e di desideri che continuano a vivere nella memoria. La mostra racconta questo viaggio tra arte, gesti arcaici e condivisione, trasformando il museo in uno spazio di relazione e ascolto.
Ne abbiamo parlato con Ilaria Turba, che ci ha raccontato come è nato il progetto e cosa significa, oggi, dare forma a un desiderio e condividerlo con gli altri.
I Pani del desiderio: intervista a Ilaria Turba
Come e quando nasce il progetto I pani del desiderio?
«Il progetto è nato ad inizio 2019 a Marsiglia nei quartieri nord della città, dove sono stata invitata dal teatro nazionale Le ZEF come artista associata. Qui ho sviluppato un progetto legato ai desideri collettivi degli abitanti, dal titolo Le désir de regarder loin (il desiderio di guardare lontano). Nello spazio in cui vivevo e lavoravo c’era un forno in argilla e paglia costruito collettivamente dal quartiere e mai utilizzato. A questo si sono aggiunti alcuni incontri importanti: una chef di Marsiglia impegnata in progetti culturali e una mediatrice franco-algerina che lavorava per il teatro.
Insomma, avevo condizioni favorevoli per iniziare un progetto legato al pane, che desideravo da tempo realizzare. Così è nata l’idea di attivare un ciclo di laboratori gratuiti e accessibili a tutti, dalle donne del quartiere al pubblico del teatro, ad appassionati di panificazione, per creare dei pani rituali in forma di desiderio».
Il pane, nella cultura mediterranea, è carico di simboli e ritualità. Quali tradizioni l’hanno più ispirata e come le ha reinterpretate nel suo lavoro?
«Durante le ricerche preparatorie al progetto mi sono imbattuta in una magnifica serie di pani rituali provenienti da vari Paesi del Mediterraneo conservata nella collezione del Mucem. Ho iniziato a studiare diverse tradizioni, sperimentando anche le ricette. Questi pani vengono realizzati in occasioni di feste speciali, legati ai cicli della natura o a momenti significativi della collettività. In questo nostro tempo accelerato, in cui sempre più persone sono isolate e cariche di pressioni, sentivo il desiderio di creare uno spazio e un tempo diverso dove le persone potessero incontrarsi tra loro e creare qualcosa di speciale insieme.
I quartieri nord sono un’area di Marsiglia molto difficile. I pani del desiderio erano l’occasione per ritrovarci una volta a settimana in un luogo sereno. I pani venivano cotti in un forno a legna, come si faceva un tempo, quando non tutti avevano forni a casa e ci si ritrovava attorno a un unico forno comune. Il pane dei desideri è stato un grandissimo attivatore di relazioni, storie ed esperienze».
Incontri e memorie
Il progetto ha attraversato città e comunità molto diverse, da Marsiglia alla Sardegna. Quali incontri l’hanno più sorpresa o cambiata durante questo percorso?
«Al termine dei quattro anni di esperienza a Marsiglia, conclusi con una doppia mostra personale al Mucem, una delle quali interamente dedicata ai pani del desiderio, ho deciso di tornare in Italia e intraprendere un viaggio in cui i pani marsigliesi potessero dialogare con varie comunità. Ho attraversato luoghi diversissimi tra loro: dalle Prealpi Piemontesi al cuore della Sardegna.
C’è un fil rouge che unisce le tappe del viaggio: sono luoghi e realtà in cambiamento con spesso un passato difficile. Come le Murate a Firenze che è stato un carcere con una sezione dura per i dissidenti politici. Oppure il piccolo borgo medievale di Fontecchio, duramente colpito dal terremoto. O ancora Castiglione delle Stiviere, un tranquillo paese nel Mantovano dove, dopo la battaglia di Solferino è nata la Croce Rossa Internazionale. Ora che riesco a rivedere il tutto con un minimo di distanza, mi sorprende l’insieme dei centinaia di incontri e del percorso compiuto».
La conclusione del viaggio
La mostra restituisce un lungo viaggio fatto di memorie, sogni e desideri. In che modo ha scelto le opere da presentare e con quale criterio ha voluto trasformare lo spazio espositivo in luogo di relazione?
«La mostra al MAN segna la conclusione del ciclo del viaggio del Pane dei desideri e ne ripercorre il percorso fino all’ultima tappa sarda a cui è dedicato un importante approfondimento in mostra. È articolata in tre sezioni: la prima legata a Marsiglia, la seconda al viaggio dei Pani del Desiderio, e infine, il cortometraggio che racconta la giornata a S’Arangiu Aresti dove, insieme alla comunità di Villaurbana, abbiamo trasformato con il fuoco la collezione dei pani del desiderio in polvere nera.
Tutto lo spazio è attraversato da un lungo tavolo, della stessa misura di quello usato negli atelier, diviso in due aree: una chiara con i pochissimi esemplari di pani realizzati in Sardegna e in altri luoghi toccati dal progetto e una parte scura dove si trovano i pani neri e tutto il processo per renderli polvere. Immagini storiche del progetto si intrecciano con nuovi pezzi inediti. Come gli stendardi con i desideri raccolti a Marsiglia, realizzati con la polvere nera dei pani. L’invito è quello di immergersi in questo processo collettivo e attraversarlo raccogliendone i messaggi».
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I Pani del desiderio e l’arte che entra nel quotidiano
In un tempo di frammentazione e incertezza, I pani del desiderio si propone come atto collettivo e comunitario. Che tipo di reazioni ha osservato nelle persone che hanno preso parte ai laboratori?
«La cosa più incredibile è stata constatare che, nonostante i luoghi e le persone cambiassero molto, la dinamica che si creava era praticamente sempre la stessa. Le persone si sedevano attorno al lungo tavolo di lavoro in un modo e ripartivano non solo con un pane, ma anche con uno sguardo diverso. Il momento più toccante è sempre stato quello in cui ognuno raccontava al gruppo il desiderio collegato alla forma del proprio pane».
Lei lavora spesso in contesti complessi. Quanto è importante, per lei, che l’arte diventi un dispositivo di ascolto e di trasformazione sociale?
«Per me è fondamentale che l’arte sia uno spazio di ascolto e di cura, che possa entrare nel quotidiano delle persone e invertire le prospettive, aprire a nuove esperienze e scenari. Più che di trasformazione sociale mi sembra più giusto parlare di un processo di attivazione di nuove energie e dinamiche, che possono toccare anche comunità o gruppi piccoli, creati grazie dal contatto sensibile con la pratica artistica e con l’arte».
Come tutti i suoi progetti, anche I pani del desiderio punta su un formato interdisciplinare. Quanto è importante oggi essere trasversali e quanto è importante per lei, come ispirazione nel suo lavoro?
«La libertà è molto importante nel mio lavoro. Mescolo discipline diverse, attingo a saperi e metodologie di altre pratiche, non solo artistiche, integrandole e trovando sempre nuovi intrecci. I pani del desiderio sono un grande laboratorio di sperimentazione e di attraversamento di tanti confini, non solo geografici».