Artigiano e scultore, Tomaso Vezzoli ci accoglie nella sua bottega a Bienno e ci racconta la sua storia, tra ferro e legno.

Tra residenze artistiche e la nuova linfa portata da Bienno Borgo degli Artisti 2.0, le testimonianze più preziose arrivano forse da chi il borgo l’ha sempre respirato, battuto e ammirato. Tomaso Vezzoli – scultore e artigiano – è nato e cresciuto a Bienno, come ci dice subito quando lo incontriamo nella sua bottega. «Ho frequentato una bottega artigiana dopo la terza media. – continua – L’ho fatto volutamente perché mi piaceva l’intaglio e qui son stato fortunato, perché c’era una bottega di artigianato. Amavo fare i mobili in stile antico, le cariatidi… appena ho visto quelle cose lì mi sono piaciute e ho cominciato. Sono il classico artigiano che parte dalla gavetta».

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Per Tomaso – ma questo l’ha scoperto col tempo – tutto sta nel saper disegnare. «È importante, perché ti porta dappertutto. – commenta – E, in effetti, io sapevo disegnare già dalle elementari. Però la mia è stata proprio una passione completa, perché mi sono dedicato a questo lavoro appassionatamente».  Nascere e crescere in Val Camonica è, del resto, già un’eredità. «Qui son passati tanti popoli e fior di intagliatori e scultori. – precisa Tomaso – Bene o male, ce l’abbiamo tutti nel sangue, siamo tutti i figli loro e della ferrarezza. Tutti i miei parenti lavoravano nelle fucine, io ho scelto una strada diversa».

Proprio le tecniche e l’arte di Tomaso, tuttavia, hanno reso l’incontro con gli artisti in residenza particolarmente fruttuoso. «Sono un riferimento per le cose pratiche e manuali. – ci svela – E anche per come si usa un certo tipo di materiale. Chi viene qui spesso non passa da queste situazioni e allora la mia conoscenza in tutti questi campi diventa utile». E, da borgo delle fucine, Bienno può vantare ora lo status di borgo degli artisti. «Tante persone chiedono di cosa si tratti. – commenta in proposito Vezzoli – Dal punto di vista culturale è importante, perché c’è un salto di prospettiva. Gli artisti sono stati quasi adottati dalla popolazione in maniera benevola perché sono carini, bravi. Portano novità concettuali in tutti in sensi, perciò per il paese è una crescita».

Anche gli artisti stessi, però, si arricchiscono. «Tutti dovrebbero venire qui e assimilare qualcosa del territorio, come succede in tutto il mondo. – dichiara l’artigiano – Noi, tra l’altro, qui abbiamo avuto un’artista internazionale, Franca Ghitti, che ha portato la ferrarezza in tutto il mondo. Ci sentiamo anche figli suoi da un certo punto di vista». Tomaso scherza che «tutto ciò che è venuto dopo la Ghitti è manierismo, come dopo Michelangelo». E, in proposito, precisa che a Bienno si è soliti dire che il primo artista in residenza fu Leonardo Da Vinci: è lui l’inventore del sistema dell’acqua che alimenta le fucine e c’è chi si azzarda a sostenere che «le montagne dietro la Gioconda» siano proprio le stesse del borgo.

Tra folklore ed eredità, Tomaso ci racconta poi la vera anima di Bienno. «Nei nostri operai c’era un’ingegnosità incredibile. – aggiunge – Se dovevi fare un attrezzo e non avevi l’attrezzatura giusta la creavi. Il maglio è nato così, come un martello gigante che forgia e dà il ritmo alla nostra vita. All’interno del paese c’erano mille fucine e la gente si svegliava la mattina presto con il rumore del maglio. Sai che si dice che la vita è una ruota che gira? Credo che anche questo detto venga da Bienno (ride, ndr)».

Di artigianato Tomaso Vezzoli è un vero esperto, ma nel borgo e nel Palazzo Simoni Fè abbia avuto anche modo di ammirare le sue sculture. «In armeria ho attinto dalle fucine – ci spiega – perché per fare alcune mie sculture sono partito proprio dall’oggetto che usciva dalle fucine. Per esempio, il badile. Se osservate la sua forma, noterete che quella nervatura centrale la metto nelle mie figure. In questo modo ho sviluppato una figura lunga e piatta, perché il badile è fatto così».

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La figura di una donna, in effetti, ci sorride dal suo angolo nella bottega di Tomaso. «Per i capelli – racconta – mi sono ispirato alla ruota del mulino ed è nata una figurazione nuova. In questo modo sono potuto uscire dall’artigianato per creare una cosa ispirata al territorio». Tutto frutto di un «ragionamento interiore», che parte dalla guerra di Sarajevo. «La guerra mi ha ispirato questi pannelli con le inferriate, che simboleggiano la prigione, anche mentale. I vasi rappresentano invece l’umanità: siamo tutti deboli, fragili. Volevo dare un consiglio alle persone: o ci aiutiamo tutti o ci sbraniamo tutti».

Tanti colori («per ogni etnia mondiale») e tante prigioni popolano l’arte di Vezzoli, a testimoniare un profondo condizionamento. «Non siamo mai completamente liberi. – dice – Queste ispirazioni mi hanno portato lontano dall’artigianato che altrimenti sta morendo. Gli artigiani son sempre meno». Come mai?, chiediamo dunque a Tomaso.

«C’è bisogno di manualità e di qualità. – risponde – Adesso nelle scuole ci sono dei progetti perché altrimenti si perde tutto. La società cambia, ed è anche giusto così. L’intelligenza artificiale, inoltre, cambierà la società in maniera incredibile e molto velocemente: se non ti adegui, muori».

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