La nostra intervista a Laura Karetzky, artista statunitense in residenza a Bienno, tra argilla, linguaggi e narrazione.

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Nel centro di Bienno – per qualche mese – la bottega di Laura Karetzky ha accolto cittadini e avventori con colori, argilla e dipinti. Grazie alla residenza Bienno Borgo degli Artisti 2.0, Laura è volata in Italia dagli Stati Uniti e, nel piccolo paese, ha dato una nuova spinta alla propria ricerca artistica. «La mia storia con Bienno – ci racconta – è iniziata potrei dire 40 anni fa. Frequentavo la scuola d’arte negli Stati Uniti, era la fine degli anni ’80, ed era un periodo in cui nessuno insegnava la figurazione o l’arte accademica. Sono sempre stata una disegnatrice e una narratrice. Ero al college, insegnavano astrazione, facevamo arte performativa e sono venuta in Italia per un anno».

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All’epoca, Laura Karetzky ha vissuto a Firenze: lì ha studiato «arte accademica, narrazione, arte rinascimentale. – ricorda – Ed è stata l’evoluzione più importante nella mia crescita come artista. Mi sentivo a casa. Dopo quell’anno ho sempre pensato che sarei tornata spesso in Italia, pensavo che avrei lavorato qui. Ma poi la vita accade e non è successo. Ho avuto figli, finalmente sono cresciuti, sono andati al college. Io ero in residenza ad Upstate New York, si chiama Yaddo, e lì ho incontrato questa meravigliosa artista venezuelana: Maria Elena Pombo. È stata lei a parlarmi di Bienno». La fine di questa storia è nota: Laura Karetzky ha infatti incontrato Cinzia Bontempi, curatrice di Bienno Borgo degli Artisti 2.0, ed è finalmente tornata in Italia.

«Ho passato due mesi meravigliosi qui a dipingere. – racconta ancora Laura – Mio marito è venuto a prendermi, è un compositore, così ha tenuto un concerto nel Palazzo Simoni Fè. Abbiamo passato un momento così magico insieme che abbiamo deciso di tornare». Ormai di casa a Bienno, Laura ci racconta poi in che modo il borgo ha influito sulla sua arte.

«Quello che mi interessa particolarmente è la prospettiva narrativa, chi siamo all’interno di una storia. – commenta – Possiamo avere più prospettive nello stesso momento, possono esserci più verità. L’idea di incorporare una storia in un’altra, una cultura in un’altra… quel tipo di ricerca è sempre stata molto
importante per me. Sono venuta qui e ho trovato elementi relativi al mio lavoro che non conoscevo, forme, colori, portali, storie. Finestre da cui puoi guardare attraverso. Vicoli che puoi attraversare, archi che pensi siano la fine e invece nascondono interi percorsi… è stato davvero molto naturale. Una sorta di apertura di possibilità».

Più di tutto questo, per Laura a Bienno si respira «magia» per la sua storia e per i suoi paesaggi. «La Val Camonica, le montagne spirituali, la Concarena e il Pizzo Badile. – ci dice – Ma anche la storia del lavoro del ferro. Non senti che sia successo in passato. Hai la sensazione di essere solo parte di questo continuum». L’accoglienza e il calore dei cittadini ha fatto il resto. «Noi artisti qui transitiamo – spiega Laura – ma portiamo storie e linguaggi. Il mio lavoro riguarda il modo in cui comunichiamo con le persone e stare qui sta potenziando molto l’idea della lingua. Stiamo creando questa strana miscela di parole e linguaggi e storie. Cerco costantemente di decifrare cosa è stato detto e questo fa parte di quello che succede nel mio lavoro. C’è una narrazione, è una specie di collisione di culture e lingue».

Come esempio, Laura cita la collaborazione con Claudio Ercoli, maestro del ferro. «Di solito – racconta – collaboro con un produttore di armature a New York il cui lavoro è molto austero. Quando volevo lavorare con Claudio per fare un’armatura per la mia opera d’arte qui, gli ho detto di fare quello che sapeva fare. Ha creato una grande spirale che sembra un punto di domanda. Così l’ho interpretato ed è bellissimo».

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Originariamente pittrice, Laura ha poi sfruttato il suo tempo a Bienno per dedicarsi finalmente alla scultura. «Ho iniziato a lavorare con la ceramica due anni fa ed è difficile bilanciare i due elementi. – dice – Non ho uno studio di argilla nel mio studio a New York, quindi devo andare fuori e programmare qualche ora. Ho colto questo momento qui a Bienno per immergermi nella scultura, così che fosse l’unico mezzo con cui lavorare qui. Lo sogno persino! Mi sveglio la mattina prima di aprire gli occhi e mi immagino a disegnare in questa argilla. Ora sono in grado di portare tutte le tecniche che uso nella mia pittura nel disegno, nella xilografia e applicarlo all’argilla».

«Uso l’argilla come superficie – conclude – per grattare, spingere sotto lo smalto e poi avvicinarlo con molti strati di colore e affrontarlo come un dipinto. È un momento emozionante per buttarmi a fondo in questa nuova evoluzione del mio lavoro».

Foto di Elisa Ciarniello

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