Passeggiando nel Palazzo Simoni Fè di Bienno, in una delle stanze ci si imbatte in opere quasi distopiche, colori rossi su una forma ben definita che richiama il corpo umano e nuovi mondi: sono i disegni di Luca Savino, giunto nel Borgo un anno fa e ormai di casa. «Di Bienno o ti innamori o vai via subito. – ci dice – Io sono rimasto e non vorrei schiodarmi».
Ad ispirare Luca Savino a Bienno – pittore e illustratore con una vocazione per il surrealismo – sono soprattutto «l’acqua e il silenzio». Ma anche nuove prospettive, che hanno dato nuova linfa alle ricerche di Luca sulla placenta umana che – nelle sue mani – diventa una tela da riempire. «Ho una famiglia di donne ostetriche. – ci racconta – Una di loro, Elena, lavora in ospedale e mi fece vedere un suo progetto: fece l’impronta di una placenta su un cartoncino. Ci scriveva una poesia vicino e le regalava alle mamme. Quando ho visto quella macchia, l’ho trovata stupenda».
«Invece di scrivere qualcosa, mi è venuta subito la voglia di disegnare ciò che vedevo nella macchia con la penna china. – continua – Quando lo faccio mi sembra di entrare nei ricordi di quel bambino. La placenta mi affascina perché non ho ricordi di quando stavo in pancia, ma è lì che vivi le prime lotte e i primi amori con la mamma. Inizi a raschiare, ti fai le carezze: è un raggomitolarsi di emozioni che non ricordo». Eppure, qualcosa di quei mesi trascorsi in attesa resta.
Luca Savino a Bienno: la placenta come tela e memoria
«Di notte continuo a muovere il piede come facevo nella placenta. – ci dice Luca – Mia madre racconta che sono uscito dalla sua pancia con tanti giri di cordone ombelicale intorno al collo e che potevo muovere solo il piede. Ho quindi dei ricordi che non so di avere. Quando disegno mi sembra di parlare con quei ricordi, è il ricordo di quel bambino che cerco di tirare fuori. Non so se è vero, in realtà, ma neanche mi interessa». Interessante, in questo progetto, anche l’uso del colore.
«Di solito uso il rosso – spiega Savino – e in quei casi escono immagini spesso profondamente forti e a volte demoniache. Ultimamente uso il blu di metilene che ti danno in ospedale: le immagini sono molto più leggere, perché il colore fa tanto». E Bienno come ha aiutato questa ricerca? «Per la prima volta ho lavorato con placente non umane, di mucche. – spiega – È stupendo perché empatizzo di meno e mi sento più libero. Il disegno è più leggero. Si avvicina più al mio stile di foglio bianco».
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Intanto – per il tema annuale di Bienno Borgo degli Artisti 2.0, lo Spazio Vuoto – Luca Savino sta lavorando all’opera Atomo. «Sono laureato in fisica e diciamo che un atomo è quasi tutto vuoto. – ci dice – I fisici mi sparerebbero, ma possiamo dire che c’è il delirio dentro un atomo, tra campi e appunto spazi vuoti».