Il viaggio negli USA, l’arte per svegliare le coscienze e il mostro della censura: la nostra intervista a Laika.

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Dal 9 marzo al 10 aprile, presso la galleria d’arte contemporanea di Roma Rosso20sette, è possibile visitare la mostra ROund trip in tiME: Laika / Shepard Fairey / Keith Haring. L’esposizione conclude il lungo viaggio compiuto dalla street artist Laika negli Stati Uniti per realizzare il suo ultimo e ambizioso progetto States Of Injustice, che verrà esposto assieme alle opere dei celebri artisti Obey e Keith Haring in una collettiva dedicata alla street art.

Tra ottobre e novembre 2023, infatti, Laika ha realizzato una serie di poster e installazioni negli Stati Uniti per criticare e mettere in luce le contraddizioni sociali e politiche della più grande potenza mondiale. «È un progetto che si pone degli interrogativi. – ci dice Laika – Cerco di darmi risposte su uno degli attori principali della politica mondiale. Gli Stati Uniti sono lo Stato protagonista dell’Asse Occidentale, quello a cui anche l’Italia appartiene. Partivo da un bel bagaglio di conoscenze, ma sono andata a mettere in evidenza le contraddizioni di un paese che si autodefinisce la democrazia numero uno al mondo. E ne ho riscontrate tante».

Laika e il viaggio tra le contraddizioni degli Stati Uniti: States Of Injustice

«Otteniamo diverse conferme e ne ho messe in evidenza tante attraverso i miei i miei poster. – continua Laika – Sono partita dalla California e poi sono andata in Texas, uno degli Stati più conservatori e complicati anche in tema di armi, pena di morte e aborto. Sarei dovuta andare solamente lì, ma non sarebbe stato un progetto completo. Non lo è tuttora, come ho dichiarato è un progetto open. Gli Stati Uniti sono uno Stato vastissimo in cui la complessità delle dinamiche è protagonista».

Quindi California, Texas e ovviamente il confine, dove campeggia il muro che divide USA e Messico. «Il muro – dice la street artist – sta subendo un processo di potenziamento in termini di altezza, perché così almeno i migranti non scavalcano. Quando si rincorre il sogno di una vita migliore, si fa qualunque cosa. Si rischia anche la vita. Lo sappiamo bene anche qui nel Mediterraneo. E quindi sono andata un po’ a dar noia anche oltreoceano».

Chiediamo a Laika quali sono le contraddizioni che l’hanno più colpita. «C’è un’esasperazione a livello sistemico, frutto del turbocapitalismo. – ci risponde – Il mito del sogno americano in realtà non esiste o almeno non è per tutti. È veramente la terra delle opportunità, ma le opportunità sono per pochi. C’è povertà e, di conseguenza, tossicodipendenza e dipendenza dal Fentanyl, che è colpevole di circa 180 morti al giorno negli Stati Uniti».

Se il sogno americano non esiste, l’America può essere considerata una vera democrazia? «La mia risposta – dice Laika – l’ho dichiarata anche visivamente nell’opera principale scelta per la mostra. C’è Capitan America, simbolo della forza americana, che va in malora. È diventato homeless, ha delle pillole di Fentanyl e chiede l’elemosina. Ho attaccato il poster a Tenderloin, questo quartiere zombie di San Francisco. In pieno centro, le tendopoli diventano sempre più grandi e c’è gente che ha perso tutto, anima compresa. Un uomo a un certo punto è passato davanti all’opera si è fermato dieci minuti a guardarla. Ha detto Sì, hai ragione. Capitan America, il sogno, non esiste. Poi è tornato a barcollare verso chissà dove».

L’arte per svegliare le coscienze

Di base, Laika considera l’arte come un mezzo per svegliare coscienze («Anche se è una definizione troppo arrogante che ho dato io», scherza). Anche per questo, l’artista non ha mai smesso di realizzare poster dedicati alle contraddizioni italiane, dalla strage di Cutro a Ilaria Salis. «Quasi sempre le mie opere vengono prese bene da una parte, male dall’altra. – dice – Quando ci si schiera, non ci si può aspettare che tutti dicano Brava e che tutti siano dalla tua parte. È il motivo per cui le mie opere durano molto poco».

«Avere memoria – dice Laika – serve anche a far sì che certe cose non accadano più. Però noi dimentichiamo molto in fretta, soprattutto da quando ci sono i social media. Al punto che un politico può dire una cosa ed esattamente il contrario a distanza di pochi mesi, ma non ce lo ricordiamo. L’immagine è qualcosa di molto diretto che arriva al punto. Serve in qualche modo per far rimanere in testa certi concetti, certe idee. E io ci provo. Lo faccio anche perché è il mio modo di fare attivismo. Uso l’arte per dire la mia. A volte tratto anche temi più leggeri, ma sono meno mediatici. Diciamo che il motivo per cui continuo con questa maschera è proprio la missione: quella di continuare a sensibilizzare. Lottare attraverso l’arte contro le ingiustizie e per la salvaguardia dei diritti umani».

Qualsiasi reazione è comunque preferibile all’indifferenza. «Quando attacco un poster, lo lascio alla strada e la strada decide cosa farne. – precisa Laika – Quindi non me la prendo anche se durano molto poco. Devo dire che gli ultimi sono durati molto poco, però non è mai troppo poco per poi diffondere il messaggio. Grazie ai social soprattutto, il messaggio va oltre il muro su cui è affissa l’opera. Una delle ultime però è durata veramente 10 minuti. Era un banner di quasi venti metri quadri contro Netanyahu. Non ho fatto in tempo a passare dall’altra parte del Tevere che sono arrivate le guardie e l’hanno portato via. Però va bene, genera una reazione positiva o negativa. E poi i social aiutano a diffondere e questo mi diverte molto perché crea sicuramente frustrazione a chi ha voluto censurarmi. Velocissimi, ma non così tanto».

Laika Cutro

Censura e libertà di espressione

A questo punto è inevitabile chiedere a Laika cosa ne pensa dell’attuale vento che sembra voler imporre un pensiero unico sui recenti fatti di cronaca. Come dimostra la risposta della Rai alle parole di Ghali e Dargen D’Amico su quanto sta accadendo a Gaza.

«È preoccupante soprattutto in questo momento di escalation bellica. – risponde Laika – Noi che siamo in Occidente siamo bravissimi a giudicare e criticare, ma solo per giudicare e punire criminali di guerra come Putin. Ci tengo a specificarlo, perché in questo dibattito sembra ci siano delle squadre di calcio. O sei da una parte o sei dall’altra. Se critichi noi, sei per forza l’altra cosa. Non è assolutamente così. Ci stiamo impoverendo dal punto di vista culturale, ma anche a livello di coscienza politica e sociale. Su Gaza, non vogliamo chiamarlo genocidio perché ancora non è ufficiale? Allora è una pulizia etnica. È antisemita dichiararlo? Io non credo». Eppure, a dispetto di personaggi importanti che si sono esposti (tra tutti il Presidente Sergio Mattarella) «è vero che non si può parlare».

«Io ho criticato e subito scritto un comunicato sugli eventi del 7 ottobre, ma la storia è molto più complessa. – continua Laika – E la censura fa paura, perché l’Occidente accusa l’Oriente di brutalità, ma alla fine facciamo la stessa cosa. Questo mi preoccupa. È vero che puoi fare l’anti-occidentale in Occidente e non puoi fare l’anti-russo in Russia. Quindi c’è comunque una differenza sostanziale, ma noi abbiamo dei principi sacrosanti. Ed è ciò che volevo ricordare anche col progetto sugli Stati Uniti con l’aborto illegale e la pena di morte. Bisogna fare attenzione. C’è la democrazia, il diritto alla critica. Se qualcosa non va è sacrosanto dirlo: abbiamo condannato Milošević e Putin e dobbiamo avere la forza e il coraggio di condannare Netanyahu per quello che sta facendo».

Il rischio è quello di perdere tutti e tutto. «Netanyahu – dice Laika – ha fatto più morti di Putin, anche tra i bambini e i giornalisti. Mi sconvolge il fatto che la stampa prenda una posizione molto soft o che Israele partecipi all’Eurovision e la Russia no. Ci sono criminali di serie A e criminali di serie B, migranti di serie A e migranti di serie B, vittime di serie A e vittime di serie B. Questo non va bene, ci fa perdere. Delegittima il nostro modo di vivere all’occidentale, il nostro essere democratici. È uno scontro anche ideologico. E, in un mondo omologato, non è più uno scontro tra sistemi. La democrazia è ciò che ci contraddistingue. Per quanto poi, sotto il termine democrazia, abbiamo devastato mezzo mondo per foraggiare la lobby delle armi. Così ci indeboliamo, perdiamo credibilità».

Chiediamo a Laika un commento sul caso Jorit. «Devo cercare una chiave che renda possibile ciò che sto per dire. – ci dice caustica – Il selfie con Putin è stata una cagata pazzesca. È una roba priva di logica, avrebbe potuto dire la sua in maniera completamente diversa. Non ho approvato sicuramente quel selfie, però Jorit ha ragione quando dice che L’Aia con D’Alema non condanna i presidenti americani criminali che hanno ucciso milioni di persone e non condanna Netanyahu, ma mette Assange in carcere. Dobbiamo rafforzarci in questo. La mia arte vuole essere anche un modo per dire in che direzione stiamo andando».