La musica come «liberazione personale» e il nuovo brano ‘Bad Blood’, tra messaggi positivi e struggle: la nostra intervista a Kayma.

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Dopo il successo di Learn To Say No, Kayma torna con il nuovo singolo Bad Blood. Un pop orchestrale, che conferma la penna del cantautore israeliano, sempre più deciso a scrivere per «liberazione personale» e non per le regole del mercato. Learn To Say No ha, del resto, dimostrato che questa è la strada giusta: il brano ha conquistato la Top 20 di EarOne, la vetta degli Indipendenti, la Top 3 di Shazam Discovery e la Top 3 di Spotify Viral.

«Ho ottenuto la rassicurazione che mi serviva per il percorso che ho scelto. Quando inizi qualcosa dal principio, c’è molta insicurezza perché rappresenta chi vuoi essere per il mondo e ciò che sei. – ci dice Kayma – Tutto ciò che scrivo e faccio è basato su una liberazione personale. E, anche quando ho ottenuto l’amore e l’abbraccio di cui avevo bisogno, ho scritto cose che erano focalizzate sull’ottenere più emancipazione, direi. Una presa di coscienza personale. Ora sono consapevole che questo sia il percorso giusto per me».

Bad Blood conferma dunque una precisa idea cantautorale, ma anche di vita.

«Mentre scrivevo Bad Blood parlavo con un mio amico che stava esplorando l’epigenetica. L’idea di poter cambiare e trasformare il DNA semplicemente pensando cose diverse mi affascinava. Il concetto era di cambiare il modo in cui mi sentivo, manifestarlo, pensare a cose positive per cambiare la chimica del mio corpo. Al giorno d’oggi c’è tanto odio e credo che l’odio viaggi più velocemente dell’amore. I messaggi di odio possono diffondersi come il fuoco. Per un secondo ho pensato che sarebbe carino provare a cambiare il modo in cui ci sentiamo nei confronti di chi è diverso da noi. In ogni aspetto, religioso, di colore o forma. Credo che l’odio sia il risultato della paura di qualcosa che non è come te, che non ti somiglia. Bad Blood è stata scritta con l’idea che forse possiamo eliminare il risentimento. E la resistenza alle differenze. Il fatto di essere cresciuti diversamente, in culture diverse, ci porta al punto di vederci senza capire chiaramente. Questo innesta una sorta di paura, e quella paura diventa odio. La canzone si basa sull’idea di provare a riscrivere il codice».

Kayma Bad Blood

Kayma e l’intelligenza nel pop

È difficile incasellare Kayma in un genere. «Oggi la parola pop è complicata», ci dice. E non possiamo dargli torto. «Tutto ciò che è commerciale oggi è pop – spiega il cantautore – ma si può fare pop anche in modo intelligente. Per me essere popolari vuol dire fare qualcosa di comunicativo per tutti».

«Ho 37 anni. Se fossi stato più giovane, forse scriverei brani che possano funzionare in radio o più cool. Ma credo che, quando c’è vulnerabilità, ci sia qualcosa da dire. Quando ti senti a disagio a dire qualcosa, lì trovi ciò che ogni artista in ogni aspetto dovrebbe inseguire. Per me non sono solo messaggi in cui credo. Questi brani mi hanno aiutato, è stato terapeutico. Sono consapevole dell’entertainment. Chiaramente scelgo produzioni che siano d’impatto».

Come sottolineato anche in diretta, durante il Concerto di Natale in Vaticano, la musica per Kayma è «un linguaggio universale».

«Forse è il primo e ultimo linguaggio degli esseri umani. Mi vedo come un ambasciatore di messaggi positivi e parlo per le persone, di tutti i tipi. Non per le nazioni o le religioni. Nello stesso tempo, penso però che sia un privilegio poter usare il potere delle melodie e diffondere messaggi che vadano oltre i confini e le credenze».

Il video di Bad Blood

Proprio come per Learn To Say No, anche il video di Bad Blood è stato ideato e co-diretto da Kayma. La rappresentazione della lotta sembra un pattern innegabile nei visual del cantautore. Gli chiediamo se sia una coincidenza.

«Fuori casa ho un frigorifero pieno di acqua fredda. – ci confessa – Ogni giorno mi sveglio, metto la mia mano dentro e provo a tenercela per 2-4 minuti. Il motivo per cui te lo dico è che provo sempre a mettermi in difficoltà, voglio arrivare al punto in cui non ce la faccio più. Se arrivi al limite hai la possibilità di allontanare quel dolore da te. Voglio espandere mentalmente questa sfida, il resto del giorno sembra facile se inizio così. Ovviamente il mio primo obiettivo è abbattere le paure e renderle una possibilità di elevarsi in posti più alti, spiritualmente e fisicamente».

Per il resto, ci dice Kayma, il video è stato girato in pochissimi giorni. «Dovevo pensare ai costumi e alla produzione. – precisa – È stata una sfida, anche perché il giorno dopo aver girato sono andato subito in Vaticano».

Il futuro di Kayma

Chiediamo infine a Kayma quale sia stata la sua più grande soddisfazione in questi mesi.

«Credo che sia tutto nelle piccole cose, nel tentativo di inseguire i sogni, anche se è una parola grande. Voglio seguire un percorso. A volte mi fermo e penso: Sta veramente succedendo. Ma niente è una sorpresa, perché è qualcosa che ho lottato per avere. Le persone non vedono il viaggio, ascoltano una canzone e si chiedono perché abbia avuto successo. Non vedono il processo per arrivare a quel punto. Apprezzo quindi i piccoli momenti: quando metto mia figlia a letto, quando penso di avere una vita stabile e un punto di vista sano sulle cose. So che posso mettermi in mostra senza perdere la testa, rimanendo focalizzato e centrato su cosa sto facendo e perché lo sto facendo. Mi rende soddisfatto la realizzazione che tutto sia dove dovrebbe essere».

Ma quanto può essere difficile, al giorno d’oggi, fare musica con questo obiettivo?

«In un altro modo non sarei a posto con me stesso. – ci risponde – Non mi sentirei completo sapendo di aver cambiato la mia vita. Pagava bene fare musica per le pubblicità ed ero anche a mio agio. Ora però scrivo dal profondo del mio cuore. Non scrivo qualcosa solo perché la gente la canti facilmente. Scrivo qualcosa che io voglio sentire e spero che anche alla gente piaccia. Continuerò a fare così. Qualcuno mi scrive su Instagram e mi dice che la mia musica li ha aiutati. Quei messaggi cambiano tutto e mi danno la voglia di produrre nuova roba. È il motivo per cui faccio questo, per cambiare le persone. Lo faccio anche per me stesso ovviamente, ma sapere che la musica ha un impatto sulle persone mi dà fiducia».

Foto: Omri Rosengart