Suz ci racconta l’album ‘Donnacirco’, che contiene i dodici brani di ‘Donna Circo’ reinterpretati da dodici artiste.

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Nel 1974, Gianfranca Montedoro (all’anagrafe Giulia Zannini Montedoro) registrò il suo unico album da solista – Donna Circo – i cui brani portavano tutti la firma di Paola Pallottino. Un disco all’epoca stampato dall’etichetta discografica BASF Fare ma mai pubblicato. Almeno fino ad oggi. Donna Circo ha visto infatti finalmente la luce il 19 maggio ed è sorprendente scoprire – tra le sue pieghe e sfumature – quanto il concept fosse attuale, anche 47 anni fa.

Si tratta, non a caso, del primo disco femminista realizzato in Italia, nato dalla necessità di raccontare le contraddizioni della condizione femminile attraverso la metafora dei numeri del circo. Dall’aborto al femminicidio, Donna Circo affronta tematiche fondamentali che, nel tempo, sembrano non essere divenute meno importanti. Anzi, se possibile, la discussione sembra oggi ancor più necessaria.

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Rimasterizzato presso il No.Mad Studio di Torino da Ezra Capogna, Donna Circo esce nel 2021 in una duplice versione. Per La Tempesta Dischi/Edizioni Red Stone è uscito infatti Donnacirco, reinterpretato da dodici artiste. Alice Albertazzi, Angela Baraldi, Enza Amato, Eva Geatti, Francesca Bono, Marcella Riccardi, Meike Clarelli, NicoNote (Nicoletta Magalotti), Suz (Susanna La Polla De Giovanni), Una (Marzia Stano), Valeria Sturba e Vittoria Burattini.

I dodici brani sono stati ri-arrangati e prodotti da Ezra Capogna, con la partecipazione di una band composta da Chiara Antonozzi (basso), Irene Elena (chitarra) e Vittoria Burattini (batteria, oltre che voce di Trenta Coltelli). Ne abbiamo parlato con Suz, che ha reinterpretato il brano A dodici metri, in cui spicca anche il sax di Laura Agnusdei.

Paola Pallottino

Donnacirco, un album futurista «col senno di poi»

Ciao Susanna, raccontami come ti sei approcciata al progetto.
Nel 2021 sono usciti in realtà due progetti separati. Il 19 maggio è uscito Donna Circo, il progetto originale. Il nostro album – che è collettivo – è uscito il 4 giugno in digitale e poi in vinile. Mi sono approcciata con molto entusiasmo, perché la storia del disco è molto bella. L’album ha testi che sono vere e proprie poesie. Del resto, Paola Pallottino è una vera e propria poetessa. Paola mi ha parlato di questo disco la sera in cui ci siamo conosciute tre anni fa e mi ha proposto, come aveva già fatto con altre cantanti, di reinterpretarlo. Per me ovviamente sarebbe stato un grande onore. Però era un disco molto importante, che tocca tematiche tuttora attuali. Anche a 47 anni di distanza dalla non uscita dell’album. Perché quel disco all’epoca non uscì.

Hai avvertito un po’ di soggezione?
Non ti nascondo che mi sono sentita un po’ in soggezione, sì. Ho pensato che sarebbe stato bello essere in dodici, il messaggio sarebbe stato molto più potente. Il progetto è nato così, tutte lo abbiamo sposato con grande entusiasmo e con tanta voglia di portare a termine qualcosa di importante in quanto artiste e in quanto donne. Ci abbiamo messo anima, sangue, sudore e lacrime.

È anche la bellezza del progetto. Tu nello specifico reinterpreti A dodici metri.
Sono stata molto avvantaggiata, perché son stata la seconda dopo Angela ad ascoltare tutti i brani. Ho potuto scegliere il mio. A dodici metri parla della precarietà del rapporto di coppia. Ma, al di là della tematica, era proprio un pezzo che musicalmente si avvicinava molto alle mie corde. Lo definirei trip hop. Peraltro, per il mio brano non ho cambiato la melodia. Tra i brani del disco, è uno dei più fedeli all’originale.

Qualcosa però hai modificato…
Il produttore con la band ovviamente ha lavorato i brani. Ma inizialmente ero un po’ spaesata perché ero abituata a cantarlo sulla canzone del disco originale. Non mi ci ero ritrovata. A forza di cantarlo, però, l’ho fatto mio. Ed è stata un’esperienza bellissima perché ho dimenticato il brano originale. Ho aggiunto delle armonizzazioni, dando un’impronta mia. Lo abbiamo fatto tutte, alcune artiste hanno completamente stravolto i brani.

Cosa ti ha colpito di Donna Circo, lavorando al progetto Donnacirco?
Ciò che mi ha stupito di più è la sua attualità. Quando ne abbiamo parlato per la prima volta, questo progetto mi è stato descritto come un disco che, attraverso la metafora del circo, raccontava la condizione della donna. Ho detto subito a Paola: Parlamene meglio. Mi stupiscono poi questi testi, sono poesie. Nello stesso tempo, sono canzoni con un messaggio che colpisce. È la condizione della donna negli anni ’70, ma anche la condizione della donna oggi. E poi la storia è incredibile. Il disco era finito e, nel momento di renderlo pubblico, non c’è stata la possibilità di pubblicarlo. Così è rimasto chiuso in cassetto per 47 anni. Una storia triste, ma anche molto bella.

Un lavoro di sorellanza

Paola Pallottino e Gianfranca Montedoro nel 1974

Per l’epoca era innovazione.
È futuristico col senno di poi. Lo possiamo dire ora. All’epoca erano dei temi importanti. Per dovere di cronaca, il disco non uscì perché ci furono problemi di distribuzione. Sarebbe stato sicuramente un disco molto scomodo e sarebbe sicuramente entrato nel dibattito femminista dell’epoca, portando un grande contributo. Contrariamente a quanto inizialmente si è detto, in realtà però non uscì non perché fosse scomodo, ma per problemi di distribuzione.

Quali sono state le principali difficoltà per voi?
È stato difficile portare a termine questo lavoro per la distanza. Siamo tante e con il Covid è stato complicato. In estate, durante la tregua del 2020, abbiamo fatto qualcosa. Alla fine siamo riuscite e devo assolutamente dire che siamo tutte grate ai contributi. Abbiamo lanciato un crowdfunding e da lì è partito tutto. Abbiamo avuto grande sostegno dalle persone che si sono appassionate a questo progetto e poi abbiamo partecipato a un bando, ricevendo anche un contributo dalla Regione Emilia Romagna. È un progetto collettivo, veramente. Non solo noi siamo tante, ma anche i nostri sostenitori.

Cosa ti porti dietro di questa esperienza corale?
È una bella esperienza di sorellanza. Anche nelle riunioni via zoom o su whatsapp – la tecnologia ci è venuta in auto – ci sono stati tanti scambi e abbiamo parlato molto dei nostri pezzi. È stato bello sentire e condividere le emozioni che abbiamo provato quando ci siamo confrontate ognuna con il proprio brano. Alcune artiste all’inizio cantavano senza cogliere del tutto il significato del pezzo, che poi pian piano si è rivelato. Volta dopo volta, si trovavano nuovi significati. Ce lo portiamo dietro perché sono testi molto profondi e con un forte messaggio. Sicuramente non hanno lasciato indifferenti neanche noi, che siamo più abituate a cantare.

Mi dici anche qualcosa sulla nuova cover?
La nuova cover è un disegno di Francesca Ghermandi, un’illustratrice di fama internazionale che vive a Bologna. Non ha bisogno di grande presentazioni, attualmente i suoi disegni fanno il giro del mondo. L’abbiamo coinvolta nel progetto, è stata molto contenta di partecipare e ci ha donato questa opera, La scontorsionista. Una figura che in realtà nell’album non c’è, perché nell’album c’è il brano Lo scontorsionista. Mi piace dire che per me può ben rappresentare i contorsionismi che abbiamo fatto per portare a termine questo disco. È stato complicato, ma alla fine ne siamo venute a capo. Siamo molto contente anche perché il disco è piaciuto a Paola e Gianfranca. Ci hanno fatto molti complimenti. È stata una bella soddisfazione.