Da venerdì 30 ottobre è disponibile ‘Zerozettanta – Volume due’, secondo capitolo della trilogia di inediti di Renato Zero. Le parole dell’artista in occasione della pubblicazione.

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Tre, due, uno. È un conto alla rovescia quello di Renato Zero che dopo il terzo volume, venerdì 30 ottobre, ha pubblicato ‘Zerosettanta – Volume due’, seconda parte della sua trilogia di inediti. Il viaggio musicale continua, quindi, attraverso quattordici tracce nelle quali si snoda l’immaginario del grande artista, tra epica e realtà. La riflessione sociale, l’amore, la libertà, il diritto di rivendicare un’identità in cui riconoscersi, gli affetti familiari e il futuro: queste le anime che si intrecciano nel disco.

Ma è lo sguardo sull’attualità, politica e sociale, ad accendere la traccia manifesto Vergognatevi voi. “La visione totale della società italiana andava presa in considerazione nel suo essere multiforme. – esordisce Zero nella sua disamina – Un problema in Italia è quello del dover essere identificati da ceto a ceto, da professione a professione, mentre i politici hanno fatto di tutta un’erba un fascio. Ma non si possono omologare le categorie né le regioni: sono posizioni molto distanti e spesso questa distanza l’hanno creata anche i politici.”

“Il Sud è stato lasciato al buio. – continua l’artista, attualmente in radio con il brano L’amore sublime – Pensa allo studio e alla formazione della cultura: i meridionali negli atenei hanno brillato e questo andrebbe considerato. Poi c’è tutta la manodopera che ha fatto di Agnelli e della Fiat il colosso che sono. Credo che dobbiamo considerare questa parte d’Italia che è stata trascurata e penso che la salute del popolo sia quella della nazione. È questo che potrebbe preservaci meglio anche dalla catastrofe del Covid che stiamo vivendo.”

Gli artigiani che fine hanno fatto? Dove li hanno messi, dove li hanno nascosti? Abbiamo liquidato anche i grandi marchi, una fetta dell’Italia che ci rappresentava nella moda e nel costume.

Lo sguardo, poi, si restringe al mondo dell’arte. “L’unica categoria silenziata da un giorno all’altro è stata quella degli artisti. – osserva Renato Zero – Ma siamo la testimonianza che la nostra generazione è di appoggio alla salute morale del Paese. Noi non facciamo canzonette, dalla penna di Puccini alla canzone napoletana abbiamo sempre esportato talento e genio. E la politica deve aprire gli occhi per mettere a segno una rimpatriata dei valori e della consistenza dell’essere italiani.

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Musica, teatro, cinema, letteratura, pittura, scultura… da soli non portano avanti la rivoluzione, ma è l’insieme di questi respiri che forse può fare la differenza e modificare le coscienze. Il nutrimento non è solo fisico: c’è quello dell’anima, della testa e del cuore. Sono modi diversi di accumulare ricchezza.”

“La forza di queste opere è beneficio per chi le mette in piedi. – continua poi l’artista in merito al valore sociale della musica – Noi artisti soffriamo di un piccolo egoismo, dobbiamo in qualche modo soddisfare una fame personale perché la nostra esigenza primaria è di condurre bene il nostro pentagramma senza perdere di vista coerenza e passione. Questo rimbalza poi sul pubblico che ne trae beneficio se il lavoro è fatto onestamente.”

Dobbiamo rimpossessarci del nostro Paese e della nostra vitalità, della nostra speranza.

Renato Zero, il confronto generazionale e la sua eredità artistica

Nelle quattordici tracce di ‘Zerosettanta – Volume due’ spicca il nome di Lorenzo Vizzini, giovane artista che ha co-firmato molti brani. “Sono quelle coincidenze della vita che ci permettono di abbattere il tabu che ogni generazione ha la sua platea, le sue abitudini o potenzialità. – spiega Zero – Ci siamo abbracciati e ci accomuna la voglia di fare tanta buona musica. La sua presenza è evidente in questi album perché rimasi scioccato quando lo ascoltai la prima volta: aveva una poesia alta e pensieri adulti. Questo mi fa ben sperare per il futuro di queste generazioni.”

Il confronto con la nuova generazione è un valore del quale mi servo per meglio comprendere quello che sono oggi e quello che scrivo o interpreto.

Ma che tipo di gioventù musicale vede attorno a sé un artista come Renato Zero? “Noi vivevamo l’imbarazzo di non essere collocabili o collocati ma questo ci permetteva di avere l’opportunità di essere noi stessi e di inserirci in situazioni che ci potevano affrancare. Voglio dire che c’era modo di verificare il proprio talento.

Oggi non ci sono più le cantine o i piccoli club, è rimasta una discografia molto fragile e inconsistente. C’è questo accontentarsi del poco che si racimola con un loop o una serie di plug-in. Invece, i giovani devono avere il desiderio di chiamare i loro amici coetanei e costringerli a imparare uno strumento. La difesa della nostra professionalità dipende anche da quanti siamo a fare musica e la solitudine di fronte a un producer ti chiude alla verifica.”

Si parla, infine, di eredità artistica. “Mi auguro che non esita un erede di Renato ma tanti eredi che raccolgano lesempio mio e di altri. A fronte di questo, bisognerebbe che le radio riproponessero le grandi pagine della nostra musica piuttosto che lo scarto di tanti Paesi come Stati Uniti e Inghilterra.”

Abbiamo da sostenere un patrimonio e una tradizione di spessore e bellezza. Bisogna ripartire da questo: se non riproponiamo questi modelli rischiamo di perdere la nostra di identità.

“Se dovessi rinunciare a essere Renato Zero – conclude – mi piacerebbe che quel posto vacante sia occupato da chi abbia lo stesso rispetto perché mette nella musica lo stesso sacrificio, lavoro e fatica di Renato Zero. Vuoi un nome? Secondo me Ultimo Diodato sono fra quelli. In generale, non vorrei mai essere sostituito da un pressapochista.”

Foto di Roberto Cocco da Ufficio Stampa GOIGEST