‘Alien: Pianeta Terra’, Noah Hawley: «Il genere sci-fi ci permette di immaginare mondi migliori»

Arriverà il 13 agosto su Disney+ la nuova attesissima serie Alien: Earth (FX, in italiano Alien: Pianeta Terra). Ideata e diretta da Noah Hawley, la serie – composta da 8 episodi – amplia l’universo narrativo di Alien, offrendone una prospettiva inedita. Siamo nel 2120 – prima degli eventi che ormai conosciamo grazie alla saga cinematica – e la Terra è governata da cinque corporazioni: Prodigy, Weyland-Yutani, Lynch, Dynamic e Threshold. In questa era, convivono esseri umani, cyborg (umani in parte biologici e in parte artificiali) e umanoidi sintetici (dotati di intelligenza artificiale). Finché la Prodigy non crea gli ibridi, robot umanoidi con coscienza umana: la prima creazione si chiama Wendy e – insieme al primo gruppo di suoi simili – sarà impegnata a indagare sullo schianto della navicella spaziale USCSS Maginot, dentro la quale si celano morte, segreti e – neanche a dirlo – razze aliene estremamente pericolose.

Nel disegnare una nuova storia in linea con ciò che sappiamo già di Alien, con Alien: Earth Noah Hawley si concede di indagare anche alcuni temi contemporanei. Gli ibridi – ad esempio – hanno una mente infantile in un corpo adulto e il nome stesso della protagonista – Wendy (interpretata da Sydney Chandler) – indica un chiaro riferimento alla fiaba di Peter Pan.

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Alien: Earth e l’analogia con Peter Pan

«Sto crescendo dei figli – dice Hawley – e lo sto facendo in questo mondo in cui la natura si sta rivoltando contro di noi. C’e poi la tecnologia che abbiamo creato: il verdetto non è ancora giunto, ma credo che anche quella si rivolterà contro di noi. Quando mi hanno chiesto se avessi delle idee per Alien, ho pensato che la saga parla proprio di mostri primordiali del nostro passato che cercano di uccidere Sigourney (Weaver). Ci accorgiamo poi che anche il futuro dominato dall’intelligenza artificiale vuole ucciderla. L’umanità si ritrova quindi intrappolata tra il futuro dell’IA e i mostri del passato. Una volta che ho cominciato a ragionare sull’idea di inserire dei bambini in questa storia, menti umane trasferite in corpi sintetici, l’analogia con Peter Pan è arrivata quasi subito».

Uno degli aspetti più interessanti della serie è proprio la caratterizzazione degli ibridi: una coscienza infantile in un corpo adulto ha permesso di esplorare questa era con una certa visione illusoria. «Wendy – dice in proposito Sydney Chandler – è una pagina bianca. Sugli ibridi non puoi fare ricerche. Credo che Noah sia stato in grado di creare un personaggio ricco di sfumature, ma credibile. Ho immaginato due calamite attaccate l’una all’altra: cosa c’è in mezzo? È quello che Wendy cerca di capire».

Samuel Blenkin

Capitalismo e corporazioni

Un altro significativo aspetto sociale di Alien: Earth riguarda invece le sottili critiche al capitalismo e alle corporazioni. Boy Kavalier, il CEO che ha creato Wendy e i suoi simili, è lui stesso una figura à la Peter Pan: genio infantile, irresponsabile e potentissimo.

«In questa era di Alien – dice Hawley – le corporazioni hanno un volto ed è quello di giovani tecnocrati, CEO miliardari. Se avessi dovuto fare una versione anni ‘70 del capitalismo, non sarebbe stato corretto per il mondo in cui viviamo oggi. Ma appena è emersa l’analogia con Peter Pan nello storytelling, è stato chiaro che il CEO ideatore della tecnologia ibrida dovesse essere lo stesso Peter Pan nel corpo di Boy Kavalier (interpretato da Samuel Blenkin, ndr). Gli individui sono quindi a disposizione non di corporazioni senza volto, ma di questi geni».

È un approccio specifico del genere sci-fi. Secondo Hawley, nella fantascienza il futuro può essere distopico o speranzoso. «Star Wars è positivo – spiega – Alien non tanto. La mia responsabilità era quella di portare Alien sul piccolo schermo, creando la visione di un futuro preciso: quella in cui i personaggi della serie si chiedono cosa significhi essere umani e se l’umanità possa sopravvivere ai suoi stessi peccati. Questo potrebbe portare un po’ di ottimismo».

Timothy Olyphant

Mostri e location

C’è poi tutta la parte riguardante i mostri, che ha un’ovvia importanza. Nuove creature – sottolinea Hawley – fanno in modo che tu non sappia «come si riproducono o cosa mangiano, il che ti fa tremare ogni volta che le vedi sullo schermo». «Per me – continua – la funzione è più importante della forma. Abbiamo curato il processo di design con Wētā e sono fiero soprattutto di aver potuto dare agli attori una vera esperienza. Sapevano con chi stavano combattendo e cosa fossero quelle creature».

Ridley Scott ha in parte supervisionato l’intero processo. «Ho iniziato a parlarci molto presto. – dice Hawley – Volevo esplorare questa idea ma prima volevo parlargli, chiedergli della sua esperienza nel primo film e condividere i miei progetti. Ogni volta che gli parlavo, lavorava a un film diverso. Io stavo lavorando a una stagione tv e lui a 87 anni nello stesso tempo ha fatto tre o quattro film».

Qualcosa sulla location. La maggior parte delle riprese si è svolta in un set in Thailandia per più di sei mesi. Come dice Alex Lawther, «un paese estreamente torrido in cui lavorare. In questa serie c’è molto sudore: in parte è merito del team di make up artist, ma un buon 50% ha a che vedere con l’umidità tailandese». Tra le location outdoor spicca Krabi. Paesaggi che l’intero cast considera simili agli stessi personaggi: bellissimi e drammatici.

Alex Lawther, Diêm Camille e Moe Bar-El

La responsabilità del genere sci-fi

In conclusione, per Noah Hawley, il cuore di Alien è il tema dell’umanità intrappolata tra natura e tecnologia. «Entrambe cercano di ucciderci. – continua – La domanda quindi nei film è: riusciranno questi due o tre umani a sopravvivere? Nella serie è più: riuscirà l’umanità intera a sopravvivere? E questa domanda ne scatena altre: meritiamo di sopravvivere? Possiamo migliorare come specie? Il miglior modo di esplorare questi aspetti è quello di guardare al mondo umano con gli occhi di un bambino. I bambini non sanno mentire. Non sanno fingere di non avere paura. Non danno per scontate cose che per gli adulti sono normali. Il punto di vista di Wendy e degli altri Bimbi Sperduti le permette di avere una purezza che si confronta con il mondo adulto».

«Spero che il pubblico percepisca la mia ambizione. – conclude Hawley – Voglio che questo genere sia più di semplice intrattenimento. È divertente certo, perché c’è azione e horror. Ma credo che il genere sci-fi abbia una responsabilità: quella di guardare ai problemi con cui stiamo lottando ora nel mondo e cercare di immaginare un futuro in cui possiamo risolverli. La mia speranza è che le persone si godano gli episodi e poi pensino e riflettano sulla serie».