Olly, ‘Tutta vita (SEMPRE)’ tra estetica e mantra: «La forza di un artista è sbagliare, cadere, reinventarsi»

Un anno che ne vale dieci e un progetto che è ai vertici delle classifiche dalla sua pubblicazione. Olly, impegnato nel suo nuovo viaggio live sui palchi italiani, rilancia con ‘Tutta vita (SEMPRE)’ che arricchisce il disco originario di otto nuove tracce. Un racconto che completa, dunque, una narrazione cominciata dodici mesi fa e che ha profondamente modificato un percorso condotto finora passo dopo passo.

In un’accelerata senza freni, Olly al secolo Federico Olivieri oggi si ritrova con una vittoria a Sanremo in tasca, un tour nei palazzetti sold out e una tripletta nello stadio della sua città, Genova, da tutto esaurito. Mica facile mantenersi in equilibrio di fronte a certi numeri, ma anche a certe critiche, come quelle che gli sono piovute addosso proprio dopo la vittoria sanremese.

In questo, gli amici di sempre – quella compagnia che fa cerchio attorno Olly nella buona e nella cattiva sorte – sono stati salvifici. A partire dal fedele Juli, producer dell’album e direttore musicale del tour, ormai in simbiosi artistica con Olivieri. E in quel SEMPRE del nuovo titolo ci sono anche loro, c’è lo stare insieme e c’è il guardare avanti ma soprattutto guardarsi attorno. Perché i piedi devono rimanere saldi a terra, pur con qualche uscita di posta che l’età si merita.

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Proprio con l’età, del resto, Olly gioca anche sulla copertina e nell’artwork dell’album dove rispetto a quella di partenza si mostra con qualche capello bianco in più. Cresciuto certo, cambiato anche ma non troppo, perché mantenere ciò che di sé è più autentico è quello che conta. Un aspetto su cui Federico ha lavorato parecchio in questi mesi, lui che nella discografia ha un brano dal titolo Paranoie. Cosa che la dice lunga. Di questo e di altro abbiamo parlato con l’artista.

L’estetica: copertina e videoclip di Questa domenica

Partiamo dalla copertina, quella di ‘Tutta vita’ e quella del repack che hanno un dialogo visivo molto evidente.
Sì, cambia un po’ il mood. Non solo si passa dal giorno al tramonto, ma anche da una mia versione più giovane a un me un po’ più in là con gli anni. Tra l’altro nella cover mi hanno reso fin troppo figo: non sarò mai così, anzi, se ci arrivo sarò sicuramente più brutto (ride). Sul retro invece ci sono due bambini che corrono: sono nipotini che riportano al tema dei ricordi. L’idea era di restare nello stesso posto, con condizioni diverse. C’è il laghetto, la città che cresce sullo sfondo, la macchina coperta di muschio: il tempo va avanti, ma restiamo sempre lì. ‘Tutta vita,’ appunto.

Devo dire che trovare un nuovo titolo per il repack è stato difficile, perché ‘Tutta vita ‘per me era già diventato tutto: la gente se lo sta tatuando, e per me significava quello. Il titolo nuovo è stata più un’esigenza discografica. Fosse dipeso solo da me, non l’avrei cambiato.

Tutta Vita
Tutta Vita (Sempre)

E a proposito di estetica hai lavorato molto anche alle atmosfere di Questa domenica, girato a Cinecittà World. Ha un’estetica molto cinematografica: hai avuto delle reference?

Sai di cosa mi sono accorto? Nei miei video, o mi picchiano o muoio (ride). È una cosa su cui giuro che inizierò a lavorare! Per quanto riguarda il video di Questa domenica, bisogna dire che io scrivo tantissime canzoni d’amore: è un fatto. L’amore per me è sempre al centro, in tutte le forme. Che sia l’amore tra me e le persone attorno a me in questo momento, quello tra me e Juli quando siamo in studio o fuori. Oppure l’amore con la donna della mia vita, che spero di incontrare molto presto.

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Questa domenica racconta proprio l’amore appena nato, e la paura di ammetterlo. Io ho una paura enorme dell’amore: per definizione dovrebbe essere una cosa libera, invece io lo percepisco spesso come una gabbia. E quindi la versione più pessimistica, che non può che essere la mia, è quella di uno che si trova in questa gabbia con la pistola puntata alla fronte. Magari ci lasci le penne… ma per un amore così forte ne vale la pena.

L’immaginario è molto cinematografico, sì. C’è un po’ l’atmosfera di Romanzo Criminale. Anche perché nel video c’è Giorgio Careccia, che ha fatto davvero l’attore nella serie. È stato incredibile lavorare con lui: riusciva a passare in un secondo dalle chiacchiere tra amici a una scena di una potenza pazzesca.

La vita: Sanremo,  critiche social, cadute e risalite

Ad aprire la tracklist del repack c’è Così così, traccia che ha già conquistato il pubblico e che sarà di certo tra i brani da cantare a squarciagola in tour. Scritta a fine maggio, la canzone arriva dritta come uno sfogo, frutto di una prima metabolizzazione del post Sanremo. «È stato uno shock per me, abituato a fare le cose un passo alla volta – racconta senza mezzi termini Olly – E i mesi successivi sono stati molti difficili». Responsabili, in primis, i commenti sui social.

Cosa ti ha segnato di più?
Leggere insulti continui, senza senso, rivolti non solo alla musica ma anche alla persona, fa male. A un certo punto, grazie a Juli, sono riuscito a trasformare quella rabbia in musica. Ho iniziato a leggere gli insulti con l’idea di sfruttarli per sfogarmi, ed è diventata una regola per me. Quando avrò dei mostri da togliermi di dosso, ne parlerò in musica. È il mio modo di esorcizzare, perché a parole faccio più fatica.

Nel pezzo c’è anche forse più attitudine più arrogante del solito…
È quello che cercavo. Olly, sul palco, può essere arrogante mentre Federico non lo è per niente. È un gioco di ruoli che però mi aiuta a liberarmi: l’arroganza, in questo caso, è servita a scrollarmi di dosso certi mostri. Adesso leggere un insulto è più gestibile, so che nessuno ce l’ha davvero con me, con Olly. E allora mi è piaciuto scherzare proprio sulle frasi più dure: “ammazzati”, “ubriacone”, “maleducato”, “raccomandato”.

Su quest’ultimo, per esempio, c’è stata tutta la polemica post-Sanremo: si diceva che fosse tutto pilotato, al punto che mi hanno dato anche un Tapiro. E io penso che sia stato il Tapiro meno giustificato della storia. Anche perché, a telecamere spente, la stessa persona che me lo consegnava mi ha fatto i complimenti. Quella è stata la mia prima vera esperienza da “famoso”: ero basito.

Hai accennato al concetto di “miracolato”. Ti ha colpito quell’etichetta?
È uno degli insulti che fanno più sorridere. Io l’ho preso quasi come un complimento: i miracoli sono belli, ma questo non è un miracolo. È il frutto di tanto lavoro. Farlo passare come qualcosa di piovuto dal cielo sarebbe riduttivo.

E poi ci sono altre frasi assurde. Per esempio: “hai dieci fidanzate”. Secondo certa stampa, dopo Sanremo mi sono state attribuite storie con chiunque. Io invece sono una persona molto riservata, voglio semplicemente vivere la mia vita da ragazzo normale. Ho lottato tutti i giorni per potermi prendere un caffè al bar o andare al ristorante senza ansia. Ad agosto, quando la città era vuota, ho riscoperto cosa significa uscire senza paura di finire il giorno dopo su TikTok.

È il prezzo del mainstream?
Sì, credo di sì. Non significa che non mi tocchi, ma ho imparato a gestirlo. La mia guerra interna è questa. In tre anni sono passato dai club come l’ARCI Bellezza, ai palazzetti da 30 mila persone: è chiaro che la pressione aumenta, e c’è sempre qualcuno pronto a dirti che devi stare attento, che il tour può “bruciarti”. Ma per me è il contrario: in tour fumo la metà, non bevo, mangio bene, mi alleno. Mi salva la vita, mi responsabilizza.

C’è stato un momento in cui ti sei pentito di aver fatto Sanremo?
Pentito mai. Forse, lì per lì, negli ultimi cinque minuti prima di salire sul palco, ho pensato “chi me l’ha fatto fare?” (sorride). Ma alla fine sono convinto che la vera forza di un artista stia anche nello sbagliare, cadere, reinventarsi. I più grandi della storia lo hanno fatto. Io non mi considero uno di loro, ma cerco di imparare: proiettarmi al domani, al dopodomani. È il lavoro più grande che devo fare è su Federico: per questo continuo ad andare in analisi, ne sono fierissimo. Il tentativo è farmi le spalle grandi e mantenermi bello saldo.

Il mantra: gli amici, la vita di ‘SEMPRE’ e le difficoltà

Ti sei portato un po’ di Genova a Milano. Quanto questo ti ha aiutato? E lo step successivo sarà portarti altre persone qui?
Mi aiuta tantissimo. Però è anche una cosa molto “genovese”, fare lobby. In realtà è più facile – non lo nascondo – dire ai miei amici “salite, stiamo insieme questo weekend” piuttosto che buttarmi nella mischia e trovare nuovi rapporti. Ho la fortuna di aver conosciuto tantissime persone in questi anni. Sono a Milano dal 2019, ci arrivai per l’università e poi è andata come sta andando adesso. Le possibilità ci sono, le pressioni pure, ma ho sempre avuto persone intorno.

Io non sono mai davvero da solo: i momenti di solitudine me li creo, ma in ambienti “safe”, tranquilli. Quando vado “in pasto” al mondo mi piace avere persone con me che mi conoscono davvero. Mi è successo in questi mesi che dei miei amici mi prendessero per l’orecchio. Senza di loro oggi chissà dove sarei, forse perso con la testa. Questa è la mia fortuna più grande.

Prima dell’estate hai pubblicato il brano Depresso Fortunato. Come è nato?
Depresso Fortunato l’abbiamo scritta appena tornati da Sanremo. Mi avevano percepito in un momento un po’ di “mutismo selettivo” e allora ci siamo detti: “Andiamo via”. Siamo andati sul Lago Maggiore a scrivere, due settimane di fila. Depresso Fortunato è nata la prima sera, quasi per rompere il ghiaccio: una cena, un tavolo, e abbiamo iniziato a scrivere come penso si facesse un tempo, tra amici che suonano, cantano e raccontano. Anche lì sono venute fuori realtà scomode, cose vere. Per esempio, la storia della fede al dito: l’ho raccontata ironicamente ma non troppo, perché è davvero successa. E avevo voglia di dirla.

Depresso fortunato
Questa domenica

In quel momento avevo ancora un timore, che per fortuna mi sto levando un po’ di dosso: quello di passare per “il ragazzo della porta accanto”. Io in realtà lo sono, il ragazzo della porta accanto. Ma sono anche quello che fa musica fino a tardi e ti dà fastidio. E quindi bisognava metterlo nero su bianco, quasi come un documento d’identità: io sono anche questo. Non avrei mai pensato che nel giro di due mesi avrei dovuto virare dall’altra parte (ride), ma forse questo è il mio gioco: mostrare tutte le parti di me. Che cambiano, certo, ma hanno sempre la stessa anima. E questo sarà il mio gioco per i prossimi anni.

E ora nuovo giro live.
Mi ero detto che dopo La Grande Festa all’Ippodromo di San Siro mi sarei fermato ma purtroppo sono anche io figlio di questo sistema e devo dire la verità. Ho pensato che, oggettivamente, la gente vuole sentire questo concerto, vuole vedere, vuole vivere questa esperienza. Chi sono io per negargliela?  Considerando anche che a me piace stare in tour…. Come dicevo prima, il tour mi salva la vita.

Ho iniziato il tour a maggio con una faringite brutta, dovuta principalmente, credo, al mio fumo – anche nervoso – che in quel periodo era aumentato drasticamente. Quindi non me lo sono goduto come avrei voluto. Era anche la prima volta che tornavo in mezzo alla gente dopo Sanremo: ricordo lucidamente la prima data di Torino, tutti i telefoni alzati… e per me in quei mesi il telefono era diventato sinonimo di stress e ansia.

Dopo due o tre canzoni ho pensato: “Non vedo l’ora che finisca, sono nel panico”. Poi mi sono detto: “Aspetta, questa è la mia dimensione”, e lì mi sono ritrovato. Da quel momento ero di nuovo contento di esserci. Quella è stata l’unica vera difficoltà, perché avevo un limite fisico. Se sto bene, cantare su un palco, stare con gli amici, divertirmi e far divertire… potrei farlo all’infinito. Però credo sia sano, a un certo punto, darsi una calmata e dedicarsi anche ad altre cose nella vita.

Vuoi dire che a fine tour – dopo Genova, Roma e Caserta – ti fermerai?
La musica la farò per sempre, ma ho 24 anni: voglio girare il mondo, conoscere cose nuove, dedicarmi ai rapporti umani, a quelli più forti. Ci sono un sacco di momenti importanti che voglio vivermi. La musica, in questi anni, mi ha tolto la possibilità di viverne alcuni per darmi in cambio il regalo di viverne altri, giganti. Ma nel momento in cui non avrò più l’esigenza di fare qualcosa “per forza”, probabilmente mi dedicherò anche ad altre cose importanti della mia vita.

Immagini da Ufficio Stampa