Il film Orfeo (regia di Virgilio Volloresi) è l’adattamento cinematografico del graphic novel Poema a fumetti di Dino Buzzati e porta sul grande schermo un’opera visionaria che fonde arte, letteratura e cinema sperimentale. Pubblicato nel 1969 e considerato primo graphic novel italiano, il Poema rilegge il mito di Orfeo ed Euridice in una Milano moderna, esplorando temi cari a Buzzati. Tra questi l’amore, il mistero, l’erotismo e il rapporto tra vita e morte.
Oggi, a quasi sessant’anni dall’opera letteraria, quelle pagine diventano nuova linfa per una pellicola che riscrive una storia senza tempo. Orfeo cattura, infatti, l’essenza originaria del mito proiettandola nel presente e oltre. Con un linguaggio visivo unico, che combina pellicola 16mm, animazione in stop motion e scenografie artigianali.
L’influenza di Buzzati è stata magnetica, come lo stesso regista ha dichiarato a proposito di Poema a fumetti, “opera che ho sentito da subito vicina per immaginario e potenza evocativa. È diventata per me l’occasione di fondere linguaggi coltivati nel tempo – tra animazione artigianale, cinema sperimentale e tecniche ottiche – in un racconto simbolico e sensoriale”.
Un mito moderno tra letteratura e cinema
Poema a fumetti è uno dei capolavori di Buzzati, che l’autore stesso considerava il suo testamento artistico. Ambientando il mito di Orfeo in una Milano misteriosa, l’opera intreccia narrazioni visive e letterarie, dando vita a un universo di simboli e suggestioni. Il protagonista è un pianista visionario ossessionato da una villa abbandonata, teatro di leggende mai chiarite. A segnarne la vita l’incontro con Eura, una donna enigmatica, che lo accende di un amore travolgente, interrotto dalla sua improvvisa scomparsa.
Seguendola attraverso una porta misteriosa in via Saterna, Orfeo si ritrova in un aldilà immaginifico, popolato da creature come le Melusine, il Mago dei Boschi e scheletri militari. La narrazione, densa di simbolismo, culmina in un finale malinconico, con Orfeo che suona per mantenere vivo il ricordo di Eura.
Buzzati, maestro del Novecento italiano, usa il mito per esplorare il confine tra vita e morte, celebrando l’arte come inno alla vita e alla “fantasia spudorata”. Un approccio che Virgilio Volloresi ha adottato anche per il suo film, scegliendo un’estetica che privilegia l’artigianalità e l’immaginazione, lontana dalla standardizzazione digitale. “Ho voluto realizzarlo pensando al cinema come a un luogo dei sogni, in cui lo spettatore inizi un viaggio onirico”, spiega.
“Rispetto a una narrazione tradizionale, ho scelto un ritmo che seguisse la logica instabile del sogno. Ho girato in pellicola 16mm in studio, con scenografie costruite a mano e tecniche legate a illusioni ottiche”, prosegue. “Per le animazioni ho usato stop motion, animando tutte le creature con una Bolex 16mm. In una sequenza di danza ho impiegato il found footage: vecchi filmati di repertorio in Super8 di mia madre che balla, ricostruendo maniacalmente in studio la scena originale.
Attraverso un gioco di montaggio – conclude – ho fuso le coreografie d’epoca con quelle interpretate da una compagnia di danza e dall’attrice. Creando una scena fluida, come se si svolgesse in uno stesso spazio. È un omaggio intimo a mia madre, che è stata una ballerina”.
Malinconia, erotismo e riflessione esistenziale si rinnovano, così, in una pellicola che consegna lo spirito di sperimentazione del graphic novel. In una storia densa di elementi che diventano simboli di un viaggio interiore, dove l’arte – musicale, visiva e letteraria – diventa un mezzo per affrontare il mistero della vita e della perdita.
Immagini da Ufficio Stampa Fantasmagoria