Foliage nell’arte: cinque opere che raccontano l’autunno

L’autunno è – inutile dirlo – la stagione del foliage. Finché il bel tempo resiste, è ormai rito comune camminare tra boschi e parchi per lasciarsi avvolgere dallo spettacolo delle foglie che cadono, dalle sfumature dorate e ramate che trasformano il paesaggio in un quadro vivente. C’è una bellezza malinconica, nella sua decadenza, che da sempre affascina pittori di ogni epoca.

LEGGI ANCHE: Tarvisio e i sentieri del foliage: tra laghi, valli e boschi millenari

Ognuno di loro ha cercato, a suo modo, di fermare sulla tela quell’istante in cui la natura si congeda con grazia. Ecco cinque dipinti che hanno saputo catturare la magia del foliage.

L’autunno nell’arte: la magia del foliage

Van Gogh e l’albero che sfida le stagioni

Vincent van Gogh, The Mulberry Tree (1889)
Olio su tela, Norton Simon Museum, Pasadena

Dipinto nell’ottobre del 1889 durante il periodo trascorso al manicomio di Saint-Rémy-de-Provence, The Mulberry Tree rappresenta una delle espressioni più luminose e vitali dell’ultimo Van Gogh. Al centro della tela, un piccolo gelso dai rami infiammati di giallo e arancio si staglia contro un cielo blu intenso: un contrasto che trasforma il paesaggio in un vortice di energia. Le pennellate dense, cariche di materia, danno corpo al vento e al movimento, mentre la luce sembra vibrare tra i colori complementari. Nella solitudine dell’asilo, Van Gogh trovava nella natura un riflesso della propria forza interiore. E, in questo albero che resiste al mutare delle stagioni, una metafora della vita che continua nonostante tutto.

Monet e la sinfonia di luce di Argenteuil

Claude Monet, Effetto d’autunno ad Argenteuil (1873)
Olio su tela, Courtauld Gallery, Londra

Durante gli anni trascorsi ad Argenteuil, sulle rive della Senna, Monet trovò il suo laboratorio di luce. In Effetto d’autunno ad Argenteuil cattura il paesaggio nel pieno del mutamento stagionale: le foglie si tingono di arancio e oro, il cielo si vela di riflessi lattiginosi, l’acqua ne restituisce il tremolio. Le pennellate rapide e leggere dissolvono i contorni, traducendo il paesaggio in pura sensazione. Non è un autunno malinconico, ma una sinfonia di luce che scorre insieme al fiume. In questo equilibrio fragile tra natura e tempo, Monet racconta la poesia dell’istante: quel momento in cui la vita si fa colore.

Klimt e il bosco come luogo dell’anima

Gustav Klimt, Beech Grove I, (1902)
Olio su tela, Galerie Neue Meister, Dresda

In questo paesaggio Klimt trasforma il bosco in una trama di colore e ritmo. Beech Grove I (letteralmente, Faggeto) raffigura un sottobosco fitto, dove i tronchi dei faggi si moltiplicano in verticali argentee, mentre il tappeto di foglie rosse e ocra occupa quasi tutta la tela. Con piccoli tocchi puntinati e pennellate ondulate, l’artista costruisce un intreccio di luce e materia che invita lo sguardo a perdersi tra gli alberi. Non c’è un punto di fuga, ma un’immersività totale: il paesaggio avvolge lo spettatore come un luogo dell’anima. Klimt, che raramente dipinse paesaggi, riesce qui a unire l’eleganza decorativa dei suoi ritratti alla potenza silenziosa della natura, trasformando il foliage in un’esperienza sensoriale e spirituale.

Millais e la malinconia delle foglie

John Everett Millais, Autumn Leaves (1856)
Olio su tela, Manchester Art Gallery, Manchester

Esposto alla Royal Academy nel 1856, Autumn Leaves è uno dei dipinti più poetici e misteriosi di Millais, definito da Ruskin «il primo vero crepuscolo mai dipinto». Quattro ragazze raccolgono foglie in un giardino al tramonto, preparandole per un falò invisibile: solo un velo di fumo tradisce la fiamma. L’artista voleva creare un’opera piena di bellezza e senza soggetto, ma la scena evoca inevitabilmente il tema della giovinezza che svanisce, delle cose che finiscono. L’atmosfera sospesa e malinconica, ispirata alla poesia di Tennyson, trasforma un gesto quotidiano in una meditazione sul tempo e sull’innocenza perduta. La luce che muore tra le foglie d’autunno diventa, qui, una metafora della vita stessa.

Kusama: le zucche come simbolo di rinascita

Yayoi Kusama, Pumpkin Series (dal 1946 a oggi)
Sculture e installazioni

Da quasi ottant’anni Yayoi Kusama trasforma la zucca — la kabocha giapponese — nel suo emblema personale. Appare nei suoi dipinti, nelle grandi sculture bronzee e nelle installazioni punteggiate da pois, simbolo della ciclicità della vita e del legame con la natura. La passione dell’artista nasce nell’infanzia, quando la sua casa era circondata da campi di zucche: da allora, questo frutto umile e buffo è diventato per lei un alter ego, una forma di autoritratto. «Le zucche mi parlano della gioia di vivere», ha dichiarato Kusama, che ne ammira la resistenza e l’ironia. Dal 1994 una grande Pumpkin gialla e nera accoglie i visitatori sull’isola di Naoshima, dove l’arte incontra il mare. La serie continua ancora oggi, con sculture monumentali come Pumpkin (2024) ai Kensington Gardens di Londra, alte fino a sei metri: icone contemporanee del colore e della rinascita.

Dall’Inghilterra vittoriana al Giappone di oggi, il foliage resta un linguaggio universale: un modo in cui l’arte racconta il tempo che scorre e il suo eterno ritorno.