Dopo gli squali, Bertie Gregory torna con un nuovo speciale su Disney+, sempre targato National Geographic: Bertie Gregory: A tu per tu con i Delfini (Dolphins Up Close) debutta il 19 settembre e ci porta sulle isole Azzorre, nell’Oceano Atlantico, una sosta imprescindibile per qualsiasi animale predatore.
«Volevo andare alle Azzorre da molto tempo. – ci dice subito Bertie – In realtà mi sentivo abbastanza ignorante quando sono arrivato e quando ho capito quanto fosse spettacolare questo luogo. Ci sono enormi vulcani che eruttarono nell’oceano, circondati da tanta incredibile vita marina. Mi sono chiesto come mai non fossi già stato lì, visto che sono le Hawaii dell’Europa. Ho pensato Sono davvero felice di essere qui, ma davvero infastidito di non essere mai stato qui».
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In effetti, le Azzorre sono un paradiso terrestre per ammirare e studiare la natura. In A tu per tu con i Delfini – in particolare – Bertie Gregory e il suo team (tra cui Jeff Hester, esperto di riprese subacquee) cercano di intercettare e immortalare una vera e propria caccia, a cui partecipano varie specie di delfini, balene, squali e persino berte. «Succedono molte cose. – commenta Bertie – Le persone hanno abbastanza familiarità con i delfini perché fanno parte della nostra cultura pop. Quando pensi a un delfino, immagini un animale sorridente, felice, atletico che salta fuori dall’acqua. Sono abbastanza intelligenti, vivono in famiglie e questo è fondamentalmente tutto. Non pensi a un predatore».
Lo scopo di Gregory era dunque spiegare «quella socievolezza, quel vivere in gruppo, quell’intelligenza». «Il motivo per cui sono così intelligenti – aggiunge – e vivono in queste grandi famiglie è in parte perché devono arrivare a radunare il loro cibo. E sono coinvolti quotidianamente in questo tipo di blockbuster epico, tra inseguimenti la cui scala era davvero strabiliante». Un’intelligenza «che avvantaggia tanti altri animali», tra uccelli e «balene pigre che aspettano che i delfini radunino tutto il cibo per mangiarlo».
Per quanto le immagini siano strabilianti, la preparazione per realizzare un documentario simile deve essere eccelsa. «Lavorare in mare è difficile a causa della logistica della barca. – dice infatti Gregory – Sei in balia del meteo. Non solo devi assicurarti di operare in sicurezza in quel momento, ma per le prossime quattro ore perché potresti aver bisogno di quel tempo di viaggio per tornare indietro al sicuro». E poi preparazione nelle immersioni, «una seconda natura» per chi lavora in queste condizioni.
«Tutta la nostra attenzione – spiega il Nat Geo Explorer of the Year – deve concentrarsi sull’interpretare ciò che gli animali faranno dopo. C’è così tanto da fare sott’acqua che hai davvero bisogno di avere la testa sulle spalle». Una delle nostre curiosità riguarda poi l’uso dei droni, che sembra necessario nello speciale per catturare i movimenti di delfini e altri animali.
«In termini di cinematografia – ci risponde Bertie – soprattutto nell’oceano sono perfetti per darti il senso del luogo e la sua grandezza. Soprattutto quando ci sono molti animali, possono volare velocemente e ti permettono di stare al passo con l’azione. Questo aiuta anche lo spettatore a sentirsi parte di questa avventura. Invece, in termini pratici, quando cerchi la fauna selvatica in mare, hai solo un’idea di cosa sta succedendo sott’acqua. Al contrario, con il drone puoi alzarti e guardare in basso. Quindi è davvero utile per cercare di capire dove dovremmo entrare e concentrarci».
Infine, gli incontri con le persone del posto – sempre nucleo fondamentale dei lavori di Gregory – ci mostrano stavolta come stia cambiando la mentalità degli esseri umani nei confronti della natura. «Una parte davvero fantastica del mio lavoro è che, oltre a frequentare animali fantastici, posso uscire con persone fantastiche. – commenta – E penso che sia una parte davvero importante perché badare all’ambiente è un’azione che non riguarda la fauna selvatica, ma le persone». Nelle Azzorre, Bertie Gregory incontra in particolare un ex cacciatore di balene, ora loro osservatore.
«La gente uccideva le balene nelle Azzorre alla fine degli anni ’80, è molto recente. Volevamo mostrare questa storia non per agitare un dito e giudicare. Era cultura, parte cruciale del loro sostentamento. Mostriamo però il cambiamento che hanno fatto loro stessi. Il cacciatore di balene, diventato osservatore di balene, è molto onesto e dice Sai il motivo per cui sono cambiato non è perché sentivo che stavo facendo qualcosa di male. Faceva parte del mio sostentamento. Sono cambiato perché le balene valgono di più vive che morte».
«Ora chiama le balene le sue ragazze, le figlie che ama. Dimostra che una comunità che ha un legame così radicato con una certa attività può cambiare per il bene della natura e delle persone. E penso che questa sia la cosa davvero fondamentale: mostrare che prendersi cura del mondo naturale non è solo qualcosa che dovremmo fare perché ci fa sentire più amorevoli, ma perché prendersi cura della natura avvantaggia le persone. Abbiamo bisogno di un mondo sano, di un oceano sano».
Foto National Geographic