Dai 15 interventi di Blu Art a Roma al progetto green di via Muzio a Milano, il CEO di Jungle racconta come arte, sostenibilità e comunità stiano cambiando il modo di vivere gli spazi pubblici.

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Lorenzo Fabbri, CEO & Founder di Jungle, è una delle figure più influenti nel panorama italiano dell’urbanismo tattico, capace di portare arte, sostenibilità e design nello spazio pubblico con un approccio radicalmente concreto. Dai quindici interventi realizzati a Roma con Blu Art – I colori dell’aria, fino alla riconversione pedonale dell’area scolastica di via Emanuele Muzio a Milano, Fabbri guida un modello di rigenerazione urbana che mette al centro comunità, qualità dell’aria e creatività.

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Le sue visioni non si limitano alla trasformazione estetica delle città: propongono un nuovo modo di viverle, grazie all’uso di materiali fotocatalitici, processi partecipativi e collaborazioni pubblico–private che aprono prospettive inedite per le amministrazioni. Con lui abbiamo parlato di futuro delle città, ostacoli istituzionali, energia civile e di come il colore possa diventare un dispositivo politico e ambientale.

JUNGLE, Urbanismo Tattico - Roma
Immagine da Ufficio Stampa

Jungle: intervista a Lorenzo Fabbri

Partiamo dal principio. Come nasce Jungle?
«Jungle nasce 12 anni fa. L’idea era quella di concepire un’agenzia di comunicazione che potesse fare progetti territoriali: da una parte creativi, dall’altra capaci di favorire la collaborazione con le istituzioni e far sì che l’advertising porti qualcosa di buono nelle vite delle persone. All’inizio siamo partiti con uno strumento di comunicazione, Green Graffiti, che abbiamo brevettato. Prevede l’installazione di messaggi pittorici realizzati con una miscela completamente naturale sulla pavimentazione dei marciapiedi. Negli anni proponevamo questa soluzione come alternativa alla cartellonistica, che oggi è spesso rimpiazzata dai led wall in esterno. I led wall non prevedono rifiuti, ma richiedono una grande mole di energia».

Qual era quindi, e qual è tuttora, il punto di forza di Green Graffiti?
«Quando l’abbiamo concepito, l’idea era quella di rendere la cartellonistica meno impattante, perché ogni 14 giorni vengono mandate al macero tonnellate di carta. In questo caso, dipingendo direttamente sul pavimento, si elimina il supporto cartaceo. Inoltre l’inchiostro è completamente naturale e viene rimosso con la sola acqua. È un sistema che abbiamo integrato due anni fa con una tecnica aggiuntiva: la posa di una sostanza fotocatalitica. L’esperienza maturata con questo strumento è stata l’incipit per tutto il mondo delle decorazioni pavimentali e dell’urbanismo tattico, iniziato ormai 10 anni fa».

Urbanismo tattico: la visione di Lorenzo Fabbri

Di cosa si tratta esattamente?
«Usiamo le pavimentazioni come strumento di comunicazione per parlare con i cittadini. Abbiamo sviluppato una serie di progetti che poi, piano piano, si sono trasformati in soluzioni. Ti faccio un esempio: da diversi anni collaboriamo con il Comune di Milano per realizzare alberi di Natale brandizzati per il centro storico. Parallelamente illuminiamo anche una serie di vie e piazze periferiche. Questo format, costruito dal Comune di Milano, è anche la modalità che cerchiamo di applicare ai progetti che portiamo avanti per i brand commerciali. Lo abbiamo portato a Roma tre anni fa, facendo approvare un bando al Comune e portando un albero di Natale a Trinità dei Monti per il brand Dior. Contestualmente abbiamo illuminato 11 km di vie e piazze periferiche gratuitamente per il Comune, perché la spesa è stata interamente a carico del brand».

JUNGLE, Urbanismo Tattico - Roma
Immagine da Ufficio Stampa

Rigenerazione urbana, quindi, a 360 gradi.
«Lo scorso anno abbiamo portato Dior in Galleria Vittorio Emanuele e, oltre a illuminare una decina di piazze esterne al centro città, abbiamo inserito nel progetto anche la riqualificazione della Fontana del Piermarini, la fontana di Piazza Fontana. Era un aspetto che dava maggiori garanzie per accedere alla presentazione, ma allo stesso tempo era un modo per restituire qualcosa alla cittadinanza. Ed era una conditio sine qua non, senza la quale non avrebbero potuto realizzare il progetto. Questo approccio ci ha portati a sperimentare molto: abbiamo un comparto creativo interno molto sviluppato che conosce profondamente il territorio».

Roma e Milano: due casi di rigenerazione urbana

Un modello simile a ciò che avete fatto per Parco Ravizza, sempre a Milano.
«Lì era la prima volta che portavamo un brand a investire nell’ambito dell’urbanismo tattico. Nel 2022 non esistevano aziende specializzate. Abbiamo coinvolto Serravalle Designer Outlet, il brand McArthurGlen, in un progetto che ha riqualificato con un’opera pavimentale dello street artist Luca Font l’area di Parco Ravizza. Inoltre abbiamo inserito all’interno del parco un’area workout destinata alla città, che abbiamo mantenuto fino allo scorso anno».

Viviamo in un’epoca in cui arte e brand convivono. Come vedete e vivete questa commistione?
«La cooperazione artistica è sempre stata di altissimo livello. La differenza oggi è che i brand usano l’arte. L’arte è sempre stata applicata al packaging e alla comunicazione: è un colloquio che nel tempo si era un po’ perso e ora è stato ripreso. Questo legame riguarda arti visive, musica e altre forme di espressione. Quello che noi cerchiamo di fare è inserire un valore per la cittadinanza. Non basta dire Uso gli stratagemmi artistici per promuovere un brand. Bisogna creare progetti di valore per la città, che siano anche di lungo periodo. Non è solo Ti regalo il concerto, ma Ti creo una piazza, un nuovo luogo di socialità

Il ruolo degli artisti nell’urbanismo tattico

Cade a fagiuolo il progetto romano Blu Art – I colori dell’aria.
«Quel progetto ci è stato commissionato dal Comune di Roma. Abbiamo creato 15 interventi di urbanismo tattico con l’obiettivo di prendere spazi prima destinati al traffico veicolare e riqualificarli, destinandoli – anche solo temporaneamente – a una socialità pedonale. Per i singoli municipi è stato importantissimo: hanno chiuso un’area di fronte a una scuola elementare che prima era un parcheggio e ora è uno spazio colorato in cui si può giocare. Qui si va oltre il semplice approccio artistico: si usa l’arte per dare qualcosa di duraturo alla città».

In che modo coinvolgete gli artisti? E come funziona poi il processo creativo fine a se stesso?
«Gli artisti li scegliamo sempre in base alla tipologia, al contesto, al perimetro operativo dell’operazione. Se si parla ad esempio di urbanismo tattico, quindi di un lavoro su spazi ampi, abbiamo bisogno di colori quindi cerchiamo illustratori e street artist che hanno stili analoghi. Se puntassimo su artisti con un stile molto più dettagliato, sapremmo già che la resa finale sarebbe poco percepibile da chi vive la piazza, quindi non avrebbe senso. C’è sempre quindi prima un’analisi del contesto. Una volta abbiamo coinvolto uno street artist per fare delle riproduzioni sul cofano di un’auto elettrica: chiaramente abbiamo cercato qualcuno che avesse uno stile, delle forme che potessero adattarsi a quel pattern molto specifico che è la carrozzeria di un’automobile».

Come Jungle trasforma lo spazio pubblico tra arte e sostenibilità

C’è poi il tema della sostenibilità nel mondo di Jungle. Quanto è importante e che peso ha?
«Noi siamo green ante litteram. Un’amica, quando avevo fondato Green Graffiti ormai 15 anni fa, mi diceva Ah, la moda del green, durerà un anno o due. Fortunatamente le cose sono cambiate, ormai anche Fiat fa una campagna interamente concettuale sulla sostenibilità. Non c’è brand che non ne parli, non c’è istituzione che non la citi nella propria politica: è ormai ineccepibile. Al netto di questo, al tempo era uno strumento pensato apposta per essere leggero, con una produzione appunto sostenibile e che si rivolgesse ad una mobilità pedonale. I messaggi di Green Graffiti parlano solo ai pedoni e ragionano su un modo di vivere la città diverso rispetto ad altri strumenti».

Non c’è solo la realtà di Green Graffiti però…
«Abbiamo dei laboratori in cui facciamo dei test, cerchiamo soluzioni innovative. Quest’anno abbiamo preso anche la certificazione 20121 per l’organizzazione di eventi sostenibili, che è un’altra parte di quello che facciamo. C’è poi l’attenzione all’approvvigionamento di materiali, che devono venire da fonti certe e certificate, lo smaltimento, che deve seguire un certo flusso ed essere sempre monitorato, certificato. La sostenibilità oggi veramente rientra in ogni aspetto delle nostre vite, e dobbiamo tenerne conto assolutamente».

Sfide e gioie dell’urbanismo tattico

Quale diresti oggi che è la più grande sfida nel contesto dell’urbanismo tattico?
«La sfida principale è legata al fatto che si tratta di una nicchia, un ambito molto specifico che ancora pochi capiscono e pochi conoscono. Da una parte è una grande soddisfazione, perché quando andiamo a realizzare una progettazione di questo tipo vediamo sempre occhi a cuore, una sorpresa rispetto a quello che riusciamo a produrre e alla qualità degli output. Tuttavia, è ancora agli albori.

JUNGLE, Urbanismo Tattico - Roma
Immagine da Ufficio Stampa

Per quanto sindaci e assessori di diverse città abbiano iniziato ad approcciarsi a questo tema, è ancora percepito e conosciuto relativamente. Crediamo che sia una strada e un percorso che si andrà a strutturare sempre di più nel tempo, anche perché racconta di un modo di vivere la città, perché l’urbanismo tattico nasce da un modo differente di concepire gli spazi. Sono tentativi leggeri o pesanti che però prevedono una visione. Questa visione non è così comune a tutti, è un punto di partenza».

E qual è invece la vera forza dell’urbanismo tattico?
«È fondamentale perché nasce da un’esigenza. La bellezza di un progetto di questo tipo deriva dal fatto che non viene imposta. È un desiderio che parte dal basso, ed è un desiderio forte. C’è quindi da una parte grande coinvolgimento delle comunità e, dall’altra parte, la possibilità – soprattutto quando si lavora su aree vicine o interne a presidi scolastici – di regalare qualcosa che ha veramente un valore.

JUNGLE, Urbanismo Tattico - Roma
Immagine da Ufficio Stampa

Un adulto è abituato e vede tutto con occhio critico, i bambini fortunatamente hanno un occhio romantico e riescono a vedere in un’opera d’arte delle prospettive. C’è la possibilità di aprire delle conversazioni e portare a casa questi temi è qualcosa di valore. Questi progetti sono utili anche alle maestre per parlare ai bambini: è un flusso, è qualcosa di circolare che fa cultura e tocca tanti aspetti delle vite delle persone».

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