Pittura e musica sono le arti che Herbert Pagani, il ‘cantapittore’, ha fatto dialogare e di cui ora la sorella Caroline si fa portavoce e interprete. La nostra intervista.

Con Pagani per Pagani, l’attrice e cantante Caroline Pagani vince la Targa Tenco 2025 come Miglior Album a Progetto, conquistando critica e giuria con un lavoro intimo e visionario dedicato al fratello Herbert Pagani. Un doppio disco che è insieme tributo, atto d’amore e progetto culturale, capace di restituire la complessità di un artista che ha attraversato – con la stessa intensità – musica, pittura, teatro, cinema e parola.

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Pagani, infatti, è stato artista eclettico e precursore, affrontando nei suoi lavori temi oggi più che mai urgenti. Pandemie, guerre, crisi climatica, iper-tecnologia, riciclo e sostenibilità, solo per citarne alcuni Un’eredità che oggi la sorella Caroline custodisce e testimonia in un gesto di continuità con cui restituisce al pubblico l’essenza di un autore visionario.

Cosa rappresenta per te, non solo come artista ma anche come sorella, ricevere un riconoscimento prestigioso come la Targa Tenco?
Come artista, per me, significa che il lavoro certosino a cui mi sono dedicata per realizzare questo doppio album, nell’arco di circa due anni, in cui ho impiegato molte energie e risorse, artistiche, emotive, di tempo ed economiche, è stato riconosciuto, apprezzato e condiviso. E quindi ha un plus valore. Non mi sono occupata solo della produzione artistica dell’album, ma anche della direzione musicale, della scelta e coinvolgimento di alcuni artisti ospiti. Di studiare e interpretare al meglio 15 canzoni su 20, di legare la scelta di queste canzoni fra loro con un fil rouge, tematico ed estetico.

Pagani per Pagani

Mi sono occupata anche della grafica, sia del doppio cd, sia del vinile. È stato un lavoro estremamente impegnativo, ma molto bello, emozionante, credo anche elegante e con una qualità elevata, artigianale. La bellezza e il valore di questo lavoro sono stati riconosciuti, di questo sono contenta.

Come sorella è una grande emozione, una gioia che mi commuove, perché è un po’ come se Herbert fosse ancora vivo. È come se fossimo in comunicazione, connessi, in dialogo, insieme, e questo è un fatto più unico che raro. Inoltre, fu proprio Herbert a fare l’ultima intervista a Luigi Tenco, qualche settimana prima dell’inizio del Festival di Sanremo, quando era conduttore radiofonico a Radio Monte Carlo. Tenco rilasciò una lunga intervista a Herbert, Radio Monte Carlo era un’emittente molto ascoltata dai giovani perché era l’unica a prestare attenzione ai lori gusti e alle loro mode. In questa intervista, Tenco non risparmia critiche feroci ai suoi colleghi, ironizza contro i mass-media, rei secondo lui di diffondere soltanto canzoni futili. Qui denuncia l’ipocrisia del mondo della canzone e dei discografici. 

Herbert è stato definito un cantapittore, perché capace di unire musica, pittura, teatro e poesia. Nel tuo lavoro quanto c’è della sua visione e quanto invece di Caroline artista autonoma?
Nel mio lavoro c’è molto della sua visione. C’è il rimescolamento di tutte le arti, che sono in comunicazione fra loro, c’è il riconoscimento delle arti sorelle. Le arti devono danzare insieme, e il teatro è forse il luogo privilegiato in cui arti diverse si incontrano di più e in modo più intrecciato e intenso. Nel teatro c’è corpo, gesto, voce, musica, pittura, luci, danza. È il luogo da cui si vede, è lo spazio per eccellenza del rimescolamento di tutte le arti.

Herbert disegnava e dipingeva le scene dei suoi concerti, anch’ io non mi limito a fare l’attrice, l’autrice o la cantante. Ma scrivo i testi, realizzo la scenografia, i costumi, la regia. Entrambi abbiamo scelto di non avere padroni. Caroline artista autonoma, come lo era Herbert, in quanto donna, si occupa principalmente di trattare nei testi e negli spettacoli, soprattutto ma non solo, tematiche femminili e femministe. Legate all’amore, all’arte, al potere e spesso anche al mondo dello spettacolo.

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Uno degli obiettivi del progetto è tramandare l’opera di Herbert alle nuove generazioni. Come pensi che un giovane del 2025 possa rispecchiarsi nella sua poetica?
Penso che i giovani della nostra epoca possano benissimo rispecchiarsi nella poetica di Herbert, perché le sue canzoni parlano spesso di emozioni e sentimenti universali, quindi senza tempo. Come l’amore, l’amore romantico e passionale fra esseri umani, le dinamiche fra uomo e donna. Ne è un esempio il testo di Teorema, canzone scritta da Herbert, ma anche di dinamiche fra uomo e uomo e donna e donna.

E ancora, di amore fra genitori e figli, quello che dovrebbe essere l’amore incondizionato per eccellenza. Parla anche di amore per le proprie vocazioni, per i mestieri che si amano, per le città in cui viviamo, per gli animali. Nelle sue canzoni, oltre ai sentimenti, c’è poi un’attenzione particolare rivolta anche all’ambiente che ci circonda, al nostro pianeta, alla Natura, al fare. Esprime l’esigenza di un mondo a misura d’uomo e invita a non soffocare la propria umanità. A non affidarsi all’iper-tecnologia che rende gli uomini ancora più soli, alienati e disumani.

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Il brano Palcoscenico che ha anticipato il disco è un’ode al teatro, ma anche una satira del mondo dello show business. Qual è oggi per te il vero ruolo dell’arte in una società sempre più digitale?
Per me il vero ruolo dell’arte, oltre a quello di sviluppare una visione critica e un punto di vista sul mondo, è anche quello di mantenerci più possibilmente umani e meno robotici, ‘replicanti’ e ‘rettiliani’. È quello dell’homo faber, non dell’AI. È la ricerca e la creazione di una dimensione poetica, unica e irripetibile, in contrapposizione a tutto ciò che è replicabile e seriale. Ed è soprattutto specchio e lente d’ingrandimento di una società di uomini e donne, che riflette sull’uomo e sulla donna, sulle passioni, sul modo in cui sentiamo e funzioniamo, sull’arte, sulla società civile, sulla società dello spettacolo e su quella del potere.

Herbert, già decenni fa, anticipava temi come pandemie, crisi climatiche, iper-tecnologia. Pensi che l’arte abbia ancora il potere di leggere il futuro?
Penso di sì. Lo possiamo constatare anche nell’arte contemporanea, in quella concettuale, a teatro, al cinema, in qualunque tipo di espressione artistica. L’arte ha il potere e il dovere di mostrarci quello che accade, di indagare l’umano, di porgere uno specchio alla natura, alla natura umana e a quella di tutto ciò che vive, nel mondo visibile e in quello invisibile.

Di rendere visibile l’invisibile, di mostrare vizi e virtù, bello e brutto, luce e ombra. Inoltre ha il potere di farci dialogare con i vivi e con i morti, può occuparsi di altre dimensioni e tanto del presente, quanto del passato, con uno sguardo rivolto al futuro. In questo credo che Herbert sia stato profetico, come quando nell’opera rock ‘Megalopolis’, a cui collaborò anche Ivan Graziani, mette in guardia dai pericoli dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Oltre che da un’eccessiva e perniciosa fiducia in un futuro iper tecnologico.

La tua carriera è segnata da discipline diverse. Quanto credi che la contaminazione sia oggi necessaria per una proposta artistica riconoscibile, direi unica?
La contaminazione, o meglio il conoscere e comprendere quanto le arti siano fra loro interdipendenti, è importante e utile. Lavorare sulla voce vuol dire studiare e conoscere anche la fisiologia, la musica, le immagini, il corpo, il gesto, l’antropologia, realizzare uno spettacolo vuol dire far danzare insieme tutte le arti che s’incontrano su un palcoscenico. Studiare la Storia dell’Arte aiuta anche a comprendere il rapporto dell’uomo con lo spazio, quale tipo di scena pensare per uno spettacolo, quali colori. Studiare Filosofia è utile per organizzare il pensiero e anche un testo scritto, per imparare ad imparare. Herbert, nell’opera rock ‘Megalopolis’ ha elaborato una forma molto originale di teatro-canzone, che combinava la musica con la pittura e con il cinema.

Viviamo un momento in cui tutto tende a consumarsi velocemente, a partire dalla musica, mentre il tuo è un progetto che richiede impegno, tempo e attenzione quasi artigianale. Lo definiresti ‘rivoluzionario’ in questo senso?
Forse sì, anche se dovrebbe essere la norma, l’arte è artigianale, è legata al fare. Al pensiero e al sentire, che diventano visibili e tangibili, che si traducono e si trasformano nella concretezza. È legata all’umano, alle emozioni, all’umanità, altrimenti è solo intelligenza artificiale, replica, fotocopia. Credo che l’artigianalità influenzi anche il modo e la qualità della nostra fruizione artistica, la capacità che un’opera d’arte ha di emozionarci, di farci riflettere, di parlare a tutte le generazioni, in qualunque epoca. E in qualche modo di cambiarci e arricchirci, anche come esseri umani.

https://open.spotify.com/intl-it/album/2v0P3kLPO81t2hzdmRg3Eb?si=JO4okUVaTDy4r3OILdYIUg

Immagini da Ufficio Stampa

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