Il Centro Culturale Candiani di Mestre propone una mostra che esplora l’eredità di Edvard Munch dalle Secessioni all’Espressionismo contemporaneo, con opere dalle collezioni civiche di Ca’ Pesaro.
Non dipingerò più interni con uomini che leggono e donne che cuciono. Dipingerò persone vive, che respirano e sentono e soffrono e amano. Queste parole di Edvard Munch non sono solo un manifesto personale, ma un urlo che riecheggia attraverso il tempo, definendo l’essenza dell’Espressionismo. La nuova mostra Munch. La rivoluzione espressionista, dal 30 ottobre al 1° marzo 2026 al Centro Culturale Candiani di Mestre, curata da Elisabetta Barisoni per Fondazione Musei Civici di Venezia, prende proprio da questa dichiarazione il filo conduttore per un’esplorazione profonda e coinvolgente.
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Edvard Munch (Loten 1863 – Oslo 1944) emerge come un protagonista attivo della cultura mitteleuropea, cittadino del mondo. I suoi soggiorni a Parigi, in Germania, Belgio e Italia lo immergono in un contesto esplosivo. Dal Salon des Refusés ai movimenti secessionisti, tra i giovani ribelli che sfidano l’accademismo. Munch raccoglie echi da giganti come Goya e Rembrandt, Redon e Toulouse-Lautrec, fino a Van Gogh e Gauguin, filtrandoli attraverso il Simbolismo e il Postimpressionismo per forgiare un segno inconfondibile.
Il suo spirito nordico infonde nuove sonorità pittoriche in Europa, influenzando le Secessioni di Monaco, Vienna e Berlino, di cui diventa figura cardine. Munch è il suo tempo – e il nostro – perché quell’urlo espressionista, nato dal corpo e reso totalizzante dall’arte, carico di dolore, memoria e denuncia, continua a risuonare, mai esaurito.
L’esposizione a Mestre
Ideata dalla Fondazione Musei Civici, la mostra – eccezionalmente ospitata nelle sale del terzo piano – si configura come una guida avventurosa alla scoperta dell’arte contemporanea, partendo dalle collezioni della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro. Al centro, quattro opere grafiche di Munch: Angoscia, L’urna, La fanciulla e la morte e Ceneri, che fungono da fulcro. Attraverso sette sezioni tematiche, il percorso intreccia biografia, influenze e eredità, offrendo un dialogo fluido tra passato e presente.

La prima sezione apre con Munch a confronto con i fermenti naturalisti e impressionisti, accostato al connazionale Aksel Waldemar Johannessen (Kongsvinger 1880 – Oslo 1922). La sua vicenda, breve e travagliata, condivide con Munch la ricerca di un mondo interiore tormentato. Ma vira verso un realismo sociale carico di tensione espressiva, lontana dall’estetica francese dominante in Norvegia all’epoca.
Due capitoli dedicati alle Secessioni illuminano le rotture artistiche nell’area tedesca: da Monaco nel 1892, a Vienna nel 1897 e Berlino nel 1898. L’eredità di Munch, con il suo segno vibrante e la tensione psicologica, permea questi laboratori creativi dove Simbolismo, Jugendstil e Postimpressionismo si fondono in un rinnovamento profondo.
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Per Berlino, Munch è quasi il casus belli: nel novembre 1892, la critica tradizionalista chiude dopo una settimana la sua esposizione al Verein Bildender Künstler, scatenando polemiche che lo rendono celebre in Germania e accelerano la frattura con l’accademismo. Nel 1898 nasce la Secessione berlinese, con Munch protagonista in un fermento cosmopolita che spinge verso la modernità artisti come Max Liebermann, Max Klinger, Hans Dettmann e Albin Egger-Lienz.

Superando le premesse impressioniste, Munch si volge al Simbolismo, ispirato da Odilon Redon, Paul Sérusier, Pierre Bonnard, Klinger e Arnold Böcklin. E affina un linguaggio allusivo, onirico e misterioso. In Belgio, la corrente fiorisce con Félicien Rops e James Ensor, creatore di un universo grottesco di maschere, scheletri e mostri, intriso di satira sociale e fantasticheria caricaturale. In Italia, il Simbolismo assume declinazioni uniche: dalle sculture drammatiche di Adolfo Wildt, agli scenari opprimenti di Cesare Laurenti, fino allo spirito ribelle di Ugo Valeri.
Un’ampia selezione di opere grafiche testimonia il debito dell’Espressionismo tedesco verso Munch, cruciale soprattutto nella stampa per il gruppo Die Brücke. Artisti come Erich Heckel rivitalizzano xilografia e tecniche incisorie in chiave primitiva e diretta, ispirati da Dürer e dalle innovazioni del norvegese.

L’ultima sezione, L’urlo contemporaneo, proietta la lezione di Munch nel Novecento e oltre. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Espressionismo rivive nelle testimonianze degli orrori. Se Renato Guttuso denuncia la brutalità della storia, Zoran Mušič evoca l’indicibile dei campi di concentramento. L’urlo deforma visioni in Maternità di Ennio Finzi o nelle Figure alterate di Emilio Vedova. Gli echi persistono negli teschi di Mike Nelson, nei mondi mostruosi di Brad Kahlhamer e Tony Oursler, nel grido per la guerra jugoslava di Marina Abramović, fino alla denuncia incisa sulla pelle del popolo iraniano da Shirin Neshat.
Immagini da Ufficio Stampa / In copertina: Edvard Munch, Two Old Men, 1910, olio su tela. Collezione Prins Eugens Waldemarsudde Stoccolma