A Bienno incontriamo il compositore e musicista Manuel Sosa, la cui arte parte dal suono per estendersi a parole, numeri, visioni.

loading

Fogli sparsi sulla scrivania, un libro di poesie di Giuseppe Ungaretti, spartiti: Manuel Sosa sembra ormai di casa a Bienno, il Borgo degli Artisti che ogni anno accoglie residenze e nuove opere. «Sono venuto la prima volta lo scorso autunno, alla fine di ottobre del 2024. – ci racconta – Ho suonato, grazie all’invito di Cinzia Bontempi, qui al Palazzo Simoni Fè. Ho eseguito una mia opera che mette insieme l’occhio e l’orecchio grazie ad un aspetto visivo del progetto. Poi sono stato invitato a tornare e passare un po’ di tempo. È meraviglioso lavorare qui».

L’articolo continua più sotto

La nostra newsletter bisettimanale dedicata al mondo dell’arte e della cultura

LEGGI ANCHE: Barbara Ventura: «La carta come strumento espressivo»

Compositore, insegnante, musicista. Per Manuel Sosa, «il ritmo della vita a Bienno, come nel resto d’Italia, è molto positivo». «Stare qui – ci confessa – è molto produttivo. Non solo per la musica stessa, ma anche per la mia personale evoluzione interiore». È difficile spiegare cosa effettivamente crea e compone Manuel. «Ciò che mi ispira di più sono i numeri e le parole, quindi sono sempre circondato da poesia e libri. – ci spiega – Creo queste fantasie con i numeri e le parole da cui escono i suoni. Questo non vuol dire che il suono non sia la scintilla iniziale. Di solito lo è, o è una visione che coinvolge il suono, ma ho bisogno dell’interazione con parole e numeri. Così si crea un attrito che mantiene viva quella scintilla originale per molto tempo».

Va da sé che la musica di Manuel Sosa sia fondamentalmente ed estremamente libera. «Mi ci vuole molto tempo per scrivere un pezzo di musica. – dice – Devo sentirmi a mio agio con lo spazio che ho creato con i suoni, le parole e i numeri. Voglio mantenere quella scintilla: deve evolvere senza perdere la sua fiamma originale. Quella che ha scosso il mio essere interiore». È inutile dunque parlare di tempi, durate, schemi.

«È problematico se sei nel business. – puntualizza infatti il compositore – La commissione di solito arriva con una limitata quantità specifica di tempo. Inoltre so sempre quando posso iniziare un pezzo di musica, ma non so mai quando lo finirò. Ho bisogno di libertà per poter creare. Lavoro con grandi pezzi di carta, rotoli di carta come farebbe un architetto. Ho bisogno anche di lunghezza per vedere il movimento delle linee che ho messo sulla pagina». Un lavoro complicato che dà tuttavia i suoi frutti.

Il concerto a Bienno, ad esempio, ha stupito lo stesso Manuel. «Immagino – ricorda – che molta gente sia venuta a vedermi non sapendo di cosa si sarebbe trattato. Io stesso non sapevo cosa sarebbe stato, perché c’è molta improvvisazione. Sono rimasto sorpreso che più tardi diverse persone siano venute da me e mi abbiano detto di essere molto commossi e toccati da quello che avevo fatto. Sia con lo strumento che per gli aspetti visivi, perché il lavoro si basava su stampe che ho realizzato proiettate durante il concerto».

E, in fondo, non è tutto qui? Arte che crea stupore e commozione? «Penso che il concerto stesso abbia piantato molti punti interrogativi, ed è sempre bello. – ci dice Sosa – Non sono necessariamente risposte, ma penso che l’intero concerto abbia generato alcune domande nel pubblico: è ciò che desidero, ciò che voglio vedere».

Foto di Elisa Ciarniello

Revenews