‘Notre Dame de Paris’, segreto di un’opera: «Una magia non si tocca»

A oltre vent’anni dal suo debutto italiano, Notre Dame de Paris continua a essere molto più di uno spettacolo teatrale. È un fenomeno culturale capace di attraversare generazioni, linguaggi e confini. Con oltre 120.000 biglietti già venduti per la prossima tournée, l’opera popolare moderna più famosa al mondo si prepara a tornare nei teatri italiani a partire dal 26 febbraio 2026, avvicinandosi a un traguardo simbolico importante. Nel 2027 celebrerà, infatti, il venticinquesimo anniversario dal debutto nel nostro Paese.

Con le musiche di Riccardo Cocciante e l’adattamento in italiano dei testi di Pasquale Panella sull’originale di Luc Plamondon, l’opera ispirata a Victor Hugo suona più attuale che mai. Con il suo intreccio in cui trovano spazio temi come l’amore, l’emarginazione, la paura del diverso e il bisogno universale di riconoscimento. Sullo sfondo, la Cattedrale di Notre-Dame di Parigi diventa simbolo eterno di un’umanità fragile e contraddittoria.

Fin dalla prima messa in scena, Notre Dame de Paris ha trovato nel pubblico italiano una risposta straordinaria. In un Paese in cui il teatro musicale e l’opera affondano radici profonde, lo spettacolo ha contribuito a ridefinire il rapporto fra tradizione colta e linguaggi popolari, trasformandosi in un vero cult dello spettacolo dal vivo.

Foto Prandoni da Ufficio Stampa

Parte del suo successo risiede nella capacità di rimanere attuale senza tradire la propria identità. Notre Dame de Paris parla di esclusione, pregiudizio e diversità come risorsa, ma anche di desiderio d’amore, giustizia e ricerca di un posto nel mondo. Temi che, a distanza di decenni, continuano a risuonare con forza, sostenuti da una forma scenica che fonde danza, canto e musica in un linguaggio immediatamente riconoscibile. La danza mescola stili diversi – dal balletto classico alla breakdance – mentre le canzoni, diventate vere hit, vivono anche al di fuori del palcoscenico.

Proprio n vista del ritorno sulle scene italiane, abbiamo raccolto le voci di chi ha contribuito a costruire e far vivere questo universo: Riccardo Cocciante, Elhaida Dani e Giò Di Tonno raccontano il senso profondo di un’opera che continua a parlare al presente, tra tradizione, modernità e umanità condivisa.

L’intervista

Notre Dame de Paris è considerata una delle prime vere opere popolare contemporanee. In che modo ha contribuito a ridefinire il rapporto fra cultura alta e cultura popolare, fra tradizione europea e nuovi linguaggi dello spettacolo?

Riccardo Cocciante: «La nostra opera classica italiana è profondamente popolare, rispetto alle opere tedesche o di altri paesi. È stata voluta così: Verdi, Puccini, Mozart hanno sempre cercato di renderla accessibile al popolo.

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Io mi sono riallacciato a questo principio. Loro scrivevano con la musica della loro epoca, ovviamente non potevano fare altro. Ma i tempi sono cambiati: oggi ci si esprime con un altro linguaggio musicale, con altri strumenti che nel frattempo sono arrivati. L’intento di Notre Dame era proprio quello di riallacciarsi a questa forza italiana di fare un’opera accessibile a tutti, però con il linguaggio di oggi.

E dico “regalato” perché ci sono strumenti eccezionali, compresa la voce e il microfono. Io ho sempre voluto il microfono ravvicinato per i cantanti: è uno strumento formidabile. Non aiuta a cantare meglio, anzi, amplifica anche i difetti, ma è un mezzo di espressione. Oggi ci si esprime così, i giovani si riconoscono in questo linguaggio, negli strumenti di oggi: la chitarra elettrica mescolata con gli strumenti classici.

Foto Prandoni da Ufficio Stampa
Foto Prandoni da Ufficio Stampa

Quello che ho evitato è la batteria, proprio per non far invecchiare lo spettacolo troppo velocemente. Le percussioni sono eterne: vengono dal passato, sono nel presente e spero nel futuro. Sono di tutti i popoli, dall’Africa a noi. C’è una continuità. Il linguaggio però doveva essere adattato a oggi: ed è quello che abbiamo fatto. Io la chiamo un’opera popolare, un’opera comunicabile a tutti con il linguaggio di oggi».

L’allestimento italiano del 2002 segnò una svolta storica: fu costruito un intero teatro per accogliere lo spettacolo. Per la nuova stagione ci saranno gli stessi elementi o sarà introdotto qualcosa di nuovo?

RC: «Generalmente è la stessa cosa. Ovviamente il tempo ha voluto che qua e là ci siano state delle piccole correzioni per perfezionare il tutto, ma ho sempre insistito perché non cambiasse molto: Notre Dame deve rimanere il più autentica e vera possibile, perché quando c’è una magia non si tocca niente. Lo ripeto sempre: è come un castello di carte, se togli una carta crolla tutto. Quindi no, non è cambiato molto.

Tu dicevi il teatro: il teatro lo facciamo noi sul palco, siamo noi che siamo il teatro. Non sono importanti le mura, non sono importanti gli allestimenti esterni. L’artista fabbrica la propria atmosfera, il proprio teatro. Io lo ribadisco sempre anche da cantante: fatemi cantare in qualsiasi posto, devo creare io la mia atmosfera, ed è questo che è importantissimo».

Foto Prandoni da Ufficio Stampa

In che cosa ti riconosci in Esmeralda, per caratteristiche, temperamento, attitudine?

Elhaida Dani: «Devo essere sincera: ultimamente mi ritrovo sempre di più in Esmeralda. Più cresco, più mi riconosco in lei, perché è stata proprio lei a permettermi di ritrovare me stessa. Quando ho cominciato ero più bambina, più insicura, avevo bisogno di rassicurazioni. E avere tre uomini intorno che ti cantano “bella” ti dà, devo dirlo, un po’ di autostima. Quel piccolo momento di Notre Dame, nella coscienza di una ragazzina, lascia qualcosa.

Mi riconosco soprattutto nella libertà. Sono partita da casa molto giovane per inseguire un grande sogno e non ho paura di essere sola. Voglio vivere il mio sogno, voglio vivere il mondo, voglio essere libera. E mi riconosco anche nella forza di raggiungere ciò che desidero. Sto dicendo tante cose belle… poi qualcuno mi deve dire anche i difetti».

Foto Prandoni da Ufficio Stampa
Foto Prandoni da Ufficio Stampa

Che tipo di evoluzione ha avuto il personaggio di Quasimodo in questi quasi 25 anni? Sei cresciuto tu, ma è cresciuto anche lui?

Giò Di Tonno: «L’evoluzione è andata di pari passo. Quasimodo è stato scritto con una cura enorme da Victor Hugo, e non puoi scardinare qualcosa che è sulla carta da secoli. È stato scritto così ed è stato rappresentato così in Notre Dame. Io ho potuto metterci la mia esperienza e il fatto che sono cambiato come persona.

All’inizio, da giovane interprete, mi preoccupavo soprattutto di rendere Quasimodo credibile a livello attoriale, di movimento, di mimica, di vocalità, rispettando la partitura e la messa in scena. Poi sono passato a una lettura più profonda del personaggio: ho sentito il bisogno di dargli dignità pensando alle persone che vivono davvero quella condizione.

Non mi sento affine al personaggio in senso stretto, anche se tutti gli artisti hanno l’urgenza di comunicare, come lui. Mi sento però molto vicino, per sensibilità, alle persone che vivono quel disagio, quella difficoltà quotidiana. Ed è lì che oggi sento il vero legame».

La tournée italiana di Notre Dame de Paris, prodotta da Clemente Zard e curata e distribuita da Vivo Concerti, prenderà il via il 26 febbraio 2026 da Milano, dove resterà in scena fino al 29 marzo. Lo spettacolo toccherà poi numerose città italiane e internazionali, tra cui Jesolo, Eboli, Pesaro, Reggio Calabria, Montichiari, Lugano, Genova, Senigallia, Caserta, Ferrara, Lanciano, Sabaudia, Olbia, Palermo, Verona, Bergamo, Torre del Lago, Messina, Napoli, Bari, Firenze, Conegliano, Torino, Casalecchio di Reno, Trieste, per concludersi il 6 gennaio 2027 a Roma.

I biglietti sono disponibili sui circuiti ufficiali di vendita.