Pallavicini-Rospigliosi: una collezione privata come esempio virtuoso di collaborazione

Che cosa significa studiare oggi una grande collezione privata del Seicento? E perché una raccolta nata tra Genova e Roma può ancora dire molto alla storia dell’arte europea contemporanea? A queste domande risponde il progetto di ricerca guidato da Maria Cristina Terzaghi, docente di Storia dell’arte presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, dedicato alla collezione Pallavicini-Rospigliosi, una delle più importanti raccolte pittoriche private del XVII secolo conservate a Roma.

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Avviata dai Pallavicini, banchieri genovesi dalla spiccata vocazione internazionale, la collezione nasce in un contesto già europeo per natura: Genova come crocevia di scambi, committenze e circolazione di artisti, con Rubens tra i protagonisti assoluti. Il trasferimento a Roma di un ramo della famiglia, con l’ingresso del cardinale Lazzaro Pallavicini nella Curia pontificia, segna una svolta decisiva. Roma barocca diventa il nuovo centro di gravità della raccolta, che si arricchisce progressivamente di opere di artisti contemporanei, italiani e stranieri, riflettendo i grandi flussi culturali del tempo.

La collezione Pallavicini – Rospigliosi

Nel corso dei secoli, la collezione cresce e si trasforma. Accanto alla pittura seicentesca, nell’Ottocento entrano nuclei fondamentali di opere quattrocentesche, i cosiddetti “primitivi”, fino a raggiungere un insieme di circa 600 dipinti, cui si affiancano sculture e apparati decorativi. Un patrimonio che non è solo artistico, ma anche storico e culturale, capace di raccontare le dinamiche del collezionismo, del gusto e del potere in età moderna.

Pur restando di proprietà privata, la raccolta è oggi tutelata dallo Stato attraverso una dichiarazione di rilevante interesse pubblico, che ne garantisce la conservazione e la permanenza sul territorio nazionale. È proprio in questo spazio di dialogo tra pubblico e privato che si inserisce il progetto CHANGES: un esempio virtuoso di collaborazione che punta a rendere accessibile la conoscenza senza snaturare la natura del bene.

Il cuore della ricerca è la realizzazione di un nuovo catalogo scientifico, destinato ad aggiornare e ampliare lo storico catalogo compilato da Federico Zeri nel 1959. Un’impresa monumentale, che coinvolge studiosi italiani e stranieri, organizzati in un comitato scientifico internazionale. Ogni opera viene riletta alla luce degli studi più recenti, delle nuove attribuzioni e dei restauri condotti negli ultimi anni, alcuni dei quali hanno restituito piena leggibilità a dipinti a lungo considerati minori.

Nuovi modi di fruizione digitale

Le sorprese non mancano: artisti rimasti anonimi per decenni trovano finalmente una fisionomia precisa, mentre nuclei pittorici – come quello delle nature morte, oggetto di un secondo volume – aprono nuovi scenari di ricerca. Il lavoro sulle fonti, sugli inventari storici e sulle provenienze consente inoltre di ricostruire in modo più accurato la storia interna della collezione, offrendo una visione d’insieme finora inedita.

Accanto al catalogo, il progetto prevede anche strumenti di fruizione digitale mirata, come un tour virtuale di alcuni ambienti emblematici del palazzo, tra cui il celebre Casino dell’Aurora con l’affresco di Guido Reni. Un’esperienza immersiva che non sostituisce la visione diretta dell’opera, ma permette di comprendere meglio gli spazi, le proporzioni e il contesto, ampliando le possibilità di accesso a luoghi normalmente non visitabili.

Il digitale, sottolinea Terzaghi, non è un fine ma un supporto: facilita i confronti, accelera la ricerca, moltiplica le immagini e le fonti disponibili, senza sostituire il giudizio critico né l’esperienza dal vivo. È uno strumento potente, da usare con consapevolezza, che ha già cambiato profondamente il lavoro dello storico dell’arte.

Il Progetto Changes e la formazione

Un aspetto centrale del progetto riguarda anche la formazione. Grazie a borse e assegni di ricerca finanziati da CHANGES, giovani studiosi hanno potuto lavorare a stretto contatto con un patrimonio straordinario, acquisendo competenze avanzate nella catalogazione, nella gestione di progetti complessi e nel lavoro interdisciplinare. Un’esperienza che dimostra come gli studi umanistici, se inseriti in contesti di ricerca strutturati, offrano reali prospettive professionali.

Il messaggio che emerge è chiaro: studiare una collezione come la Pallavicini-Rospigliosi significa interrogarsi sul valore della conoscenza, sul ruolo del collezionismo come costruzione culturale e sulla responsabilità di trasmettere il patrimonio alle generazioni future. Non come reliquia del passato, ma come strumento vivo per comprendere il presente.