Il light designer Francesco Murano illumina la mostra dedicata a M.C. Escher a Milano per un’esperienza immersiva.

Dopo un decennio di assenza, le opere di Escher tornano a Milano grazie alla mostra in corso al Mudec fino all’8 febbraio 2026. Sala dopo sala, architetture impossibili, tassellazioni e illusioni ottiche si fondono con la matematica percettiva, mentre l’influenza dell’arte islamica emerge come chiave del suo stile. A orchestrare questa sinfonia luminosa è Francesco Murano, light designer italiano tra i più autorevoli, che per l’occasione rinnova un dialogo ventennale con l’universo escheriano.

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Dagli anni ’80, Murano ha illuminato oltre 10 allestimenti su Escher, trasformando la luce in equazione emotiva che guida lo sguardo senza sovraccaricare la carta fragile delle litografie. L’approccio bilancia tutela e immersione partendo dalla considerazione che la carta, base di molte opere, reagisce alla luce con sensibilità immediata, richiedendo un’illuminazione misurata.

Qui, il light design non invade, ma accompagna, rispettando i limiti di conservazione e l’intimità del segno grafico. L’architetto, che ha collaborato con musei internazionali, privilegia livelli di illuminamento bassi per preservare i dettagli senza alterarli. Una scelta etica che eleva la visita a un atto di rispetto, dove la luce diventa alleata della percezione, non semplice effetto scenico.

Escher, Mudec - Foto di Carlotta Coppo
Escher, Mudec – Foto di Carlotta Coppo

Tra ombre e dettagli

L’essenza di Escher impone un’illuminazione che elimini interferenze. Murano opta per una luce laterale, studiata per spostare le ombre oltre il campo visivo, permettendo di esplorare ogni incisione senza ostacoli. Questa tecnica trasforma la visita in un gioco percettivo, dove lo spettatore si avvicina alle stampe senza che la propria presenza le tradisca.

«Quando lo spettatore si avvicina a una litografia, deve poter esplorare ogni dettaglio senza che la propria ombra lo tradisca – racconta Murano –. Per questo il sistema luminoso è studiato lateralmente, in modo che la proiezione dell’ombra cada oltre il campo visivo. È un modo per entrare nell’opera senza violarla». I LED calibrati, posizionati con precisione, accentuano dunque i contrasti geometrici, rendendo le tassellazioni un’esperienza dinamica che sfida la staticità.

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Un legame, quello di Murano con Escher, che – si diceva – risale agli anni ’80, quando programmò un software per generare tassellazioni, ignorando inizialmente il parallelo con l’olandese. «Non sapevo ancora quanto quelle figure incastrate avessero a che fare con Escher. Poi ho capito che la sua grandezza sta nel trasformare la geometria in emozione visiva. È una lezione che continuo a portare nel mio lavoro: la luce è la mia equazione visiva».

Escher, Mudec - Foto di Carlotta Coppo
Escher, Mudec – Foto di Carlotta Coppo

Oggi, questa intuizione guida l’allestimento al Mudec, dove la luce è emotiva: definisce percorsi, orienta lo sguardo e lascia spazio al mistero. «L’uso di superfici riflettenti e pavimenti decorati – prosegue Murano – crea un’atmosfera caleidoscopica che ricorda le architetture impossibili di Escher. In questi contesti la luce diventa materia architettonica: definisce, orienta, ma lascia sempre un margine al mistero». Il risultato è un flusso percettivo che amplifica la meraviglia, rendendo la mostra un laboratorio dove scienza e illusione si fondono.

Murano vede la luce come partner attivo, non semplice illuminazione. «Non credo esista una ‘luce escheriana’ – sottolinea – ma esiste una luce che ragiona, che osserva insieme allo spettatore. La mia ambizione è far sì che ogni visitatore esca con la sensazione non solo di aver osservato un’opera di Escher, ma anche di aver compreso il modo in cui la nostra mente può coniugare il rigore geometrico alle visioni oniriche». Questa filosofia etica permea l’allestimento, dove LED e fasci laterali eliminano ombre invasive, permettendo una lettura profonda delle opere.

Immagini da Ufficio Stampa

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